Wednesday, February 21, 2007
"...Lived in a bubble days were never ending..."
Steven Soderbergh è un regista capace di passare con disinvoltura da progetti commerciali e di grande richiamo (come l'insufficiente Ocean's Twelve) ad altri diametralmente opposti come questo Bubble. Il film in questione nasce principalmente come un tentativo di sperimentazione produttiva ma, soprattuto distributiva. Cominciamo ad esaminare quest'ultima: secondo Soderbergh la distribuzione cinematografica, con la diffusione di massa di tv satellitare/via cavo e dei nuovi supporti per l' home video (DVD in primis), ha subito radicali cambiamenti direttamente proporzionali a quelli imposti dal bacino d'utenza verso il quale il cinema si rivolge. La diminuzione di affluenza di pubblico nelle sale, unito al successo planetario del Digital Versatile Disc, ha portato il regista americano ad una scelta quanto mai originale: annullare il lasso di tempo che intercorre tra l'uscita in sala di una pellicola, la sua pubblicazione in DVD o trasmissione in TV. Ed ecco che Bubble esce (almeno in America) contemporaneamente nei cinema, nelle videoteche e nei canali televisivi a pagamento. Probabilmente un' approccio di questo tipo, per un grande blockbuster Hollywoodiano, sarebbe più nocivo che altro ma, per una pellicola "minore" forse la cosa può anche giovare. Ma parliamo del film in se ora: Soderbergh prende le distanze dalle major e produce, rigorosamente a basso costo, girando il film in digitale in location reali, affidandosi ad attori non professionisti reclutati in loco. La vicenda si svolge in una anonima provincia americana, tra fabbriche, mura domestiche e qualche bar. Non c'è molto altro nella vita di chi abita da queste parti o meglio, non può esserci altro: parliamo di zone non particolarmente floride dal punto di vista economico, dove per coprire tutte le spese e mettere qualcosina da parte, devi fare almeno due lavori. In questo contesto si inseriscono i personaggi di Martha e Kyle, entrambi operai nella locale fabbrica di bambole. I due vanno a lavoro insieme e passano insieme la pausa pranzo. Usciti dalla fabbrica, Martha accompagna Kyle al suo secondo lavoro in una fabbrica di pale, mentre lei torna a casa per accudire l'anziano padre e per cucire vestiti per le bambole, sua attività extra lavorativa. Nonostante l'evidente differenza di età, i due sono molto amici e questo è un sentimento importante e prezioso quando conduci una vita ripetitiva che poco lascia alle libertà individuali. In questa routine si inserisce Rose, giovane ragazza madre che rompe irrimediabilmente il fragile equilibrio nelle vite di Martha e Kyle. Se dovessi dire così, a bruciapelo, quello che mi ha colpito (positivamente) del film di Soderbergh, citerei sicuramente la precisione chirurgica con la quale, rapide e precise inquadrature raccontano e descrivono perfettamente i luoghi e la vita dei protagonisti. Anche gli attori, con i loro visi anonimi e così comuni, ci aiutano ad immergerci completamente nelle loro vite, apatiche e fragili. Viviamo con loro la difficoltà di essere intrappolati in una vita che non lascia tante scappatoie, accontentarsi delle piccole cose che la vita ci da (anche un' amicizia, perché no?), sorprenderci e spaventarci quando la tragedia si affaccia improvvisa ed implacabile. Un cinema crudo e diretto che rispecchia la realtà e la racconta così com'è, senza fronzoli e moralismi. Non credo si possa chiedere di meglio da una pellicola di questo tipo.
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