Wednesday, December 31, 2008

FINE ANNO 2008 - CHI BEN FINISCE...

Non sembra essere passato molto tempo dal post di chiusura del 2007, eppure son volati altri dodici mesi, così, come un lampo.
E mentre mancano poche ore all' arrivo dell' anno nuovo, si da un veloce sguardo indietro a questi passati 365 giorni nella speranza che i prossimi che verrano siano decisamente migliori.
Sperando che sia di buon auspicio, io e Rosuen abbiano iniziato a fare la nostra piccola (piccolissima) parte per un 2009 un pochetto migliore almeno per qualcuno


Nell' invitarvi ancora una volta a dare un piccolo contributo per la causa dei
Visionauti, auguro a tutti un

FELICE 2009 FOLKS ^___^

Tuesday, December 30, 2008

Omaggio a Eisner o semplicemente Sin City 1.5 ?

Denny Colt è un poliziotto. Morto in servizio, ritorna misteriosamente in vita benedetto/maledetto dall' immortalità. Decide così di abbandonare la sua vecchia identità e diventare lo spirito protettore di Central City contro la criminalità.
Will Eisner minimizzava il suo fondamentale ruolo nel mondo dei comics americano, dicendo "stava piovendo e io avevo un secchio".
Frank Miller, invece, probabilmente crede di aver inventato il secchio dopo essere riuscito a far piovere.
Proprio in questo atteggiamento sta il più grande e profondo limite di The Spirit, primo film che vede Miller solo alla regia dopo l'esperimento "Sin City" in coppia con Robert Rodriguez. Ora, da lettore di comics americani ormai da più di dieci anni, sono perfettamente consapevole che, un' autore, soprattutto uno dalla forte personalità creativa come Miller che si trova per le mani un personaggio creato da altri, faccia il possibile per "appropriarsene" imprimendogli la propria personalità senza però snaturarlo (si veda, ad esempio, lo straordinario ciclo di Devil o Il Ritorno del Cavaliere Oscuro). A vederle oggi, le tavole di Eisner (si parla degli anni '40) stupiscono per alcune sorprendenti soluzioni visive ma fanno un po' sorridere per la semplicità narrativa, per quei personaggi tagliati con l'accetta, per quelle atmosfere noir sempre in bilico tra il serio e il faceto. Miller, ormai totalmente rapito dal suo nuovo giocattolo "cinema", decide di riportare Spirit in vita direttamente su pellicola, aggiornandolo ai nostri tempi e forte della sua esperienza fumettistica e del successo di Sin City, divora totalmente il personaggio di Eisner lasciando della creatura originale solo poche briciole che sanno più di citazione che di sentito omaggio.
Forse convinto di aver trovato la perfetta formula con la "Città del Peccato", non cerca nuovi percorsi visivi ma ripercorre (anche se sarebbe meglio dire "ricalca") quanto fatto con Rodriguez giocando su quei contrasti (bianco/nero con improvvisi colori accesi) che risultarono allora vincenti e pertinenti ma che qui sembrano solo delle stonature. Queste stonature si fanno più evidenti quando, immersi fin dai primi minuti in un atmosfera cupa e fredda, entrano in scena personaggi al limite del caricaturale, dialoghi sopra le righe e siparietti più che altro paradossali (ad esempio quello in stile Giappone medievale). Il film prova a convivere con queste due anime, non ci si deve stupire perciò se prima vediamo il nostro eroe saltare di tetto in tetto e ascoltiamo il suo monologo interiore su quanto "lui faccia parte della città e la città parte di lui", per poi ritrovarlo con un cesso a tracolla nella scazzottata successiva.
Quali che fossero le intenzioni di Miller (e da suo estimatore, credo fossero buone) appare chiaro che sia rimasto vittima della sua stessa convinzione che "2 + 2 e 3 + 1 danno comunque 4" regola che, per fortuna, con il cinema non vale.
Forse i tempi (e Miller) sono maturi per un nuovo Sin City. Per The Spirit purtroppo no.

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Monday, December 29, 2008

Ma qualcuno si ricorda di: KIMBA IL LEONE BIANCO

24° post della rubrica dei Ricordi (rigorosa- mente con la "R" maiuscola) e considerato che si è proceduto fino ad oggi con cadenza mensile, sono ben due anni che tiro fuori dal più nascosto cassetto della mia mente, argomenti da condividere con tutti coloro che hanno memoria di quelle piccole grandi cose che hanno fatto parte della nostra infanzia. Per questo secondo anniversario di "Ma Qualcuno Si Ricorda Di...?" ho pensato fosse giusto parlare di uno dei cartoni animati fondamentali, sia per il suo valore artistico che per quello sentimentale: Kimba Il Leone Bianco, partorito dalla mente geniale di Osamu Tezuka, che dietro la storia di un giovane leone trasmette forte e chiaro un messaggio di pacifica convivenza fra l'uomo e la natura. Un vero gioiello di cui vi propongo, al solito, la ormai storica sigla italiana:


P.S.: è altamente probabile che, da questo momento in avanti, la mensilità della rubrica non verrà più rispettata. Si continuerà comunque, con diversa frequenza, ma si continuerà ^__^

Wednesday, December 24, 2008

STOP NATALIZIO

Al solito, carissimi ed affezionati lettori, WELTALL'S WOR(L)D si prende la sua meritata pausa natalizia.
Si ritornerà in attività il prima possibile, forse già domenica o al più tardi lunedì.
Naturalmente il mio consiglio è sempre quello di non esagerare nel mangiare (ma vi immaginate che brutta cosa vomitare davanti a tutto il parentado? ^__*) e di non farvi venire le bolle alle mani aprendo i regali!
A proposito:
Siete stati buoni quest' anno?

BUON NATALE DI CUORE A TUTTI!!!

Tuesday, December 23, 2008

CONSIGLI PER GLI ACQUISTI - GOMORRA : SPECIAL EDITION / IL DIVO : SPECIAL EDITION

Produzione: 01 Home Entertainment
Distribuzione: 01 Home Entertainment
Video: 2.35:1 anamorfico
Audio: Italiano Dolby Digital 5.1, DTS
Sottotili: Italiano non udenti, Italiano, Inglese
Extra: Featurette "Gomorra 5 storie brevi", Scene tagliate, Intervista al regista, Intervista agli attori, Galleria fotografica, Trailer
Regione: 2 Italia
Confezione: custom case



Produttore: Lucky Red
Distributore: Medusa Video
Video: 2.35:1 anamorfico
Audio: Italiano Dolby Digital 5.1, DTS
Sottotitoli: Italiano non udenti, Inglese, Francese
Extra: Disco1 - Trailer; Disco2 - Dietro il Divo: Making of, Dietro il Divo: Effetti speciali, Scene tagliate, Featurette "Il Divo et le Festival de Cannes", Intervista a Paolo Sorrentino, Galleria Fotografica, Booklet
Regione: 2 Italia
Confezione: slipcase



Occasione più unica che rara trattare due DVD insieme in questa rubrica (a meno che non si tratti di un confronto diretto naturalmente) ma è altrettanto occasione unica avere nello stesso anno due film di questa portata le cui edizioni su disco argentato escono a distanza di un mese l'uno dall'altro. E adesso che abbiamo potuto mettere le nostre manine su queste belle Special Edition (naturalmente sono disponibili anche edizioni a disco singolo) non possiamo che ritenerci soddisfatti del lavoro fatto dalle nostre case italiane 01 e Lucky Red. Formato anamorfico e aspect ratio originali rispettati, codifiche audio multicanale sia in Dolby che in DTS e un comparto extra piuttosto corposo (ma si sente in entrambi i film la mancanza di un commento audio di Garrone e Sorrentino), fanno di queste edizioni due pezzi pregiati che ogni cinefilo e collezionista dovrebbe possedere. Valore aggiunto di queste edizioni, e che spesso il mercato italiano tende ad ignorare, è un set di sottotitoli decisamente completo: sottotitoli italiani, non udenti e in lingua straniera (inglese per entrambi, francese solo per il film di Sorrentino) che rende questi due DVD decisamente esportabili. Troppo spesso ci troviamo costretti, da edizioni "monche", a rivolgerci al mercato d' importazione. Questa volta (almeno fino a quando qualcuno non acquisterà i diritti) possiamo dire con orgoglio di avere due bei film in edizioni appetibili per gli acquirenti esteri. Finalmente una soddisfazione.

Monday, December 22, 2008

La follia di Ishii e l'orgoglio nazionale di Sato

Samehada fugge con i soldi della malavita. Toshiko fugge da uno zio un po' troppo attratto da lei. Samehada è inseguito da un gruppo variopinto di gangster pericolosissimi. Toshiko e braccata da uno strambo killer assoldato dallo zio. Si incontrano in maniera fortuita nella fuga (Toshiko salva "accidentalmente" la vita a Samehada) e da quel momento diventano inseparabili. Un albergo nel mezzo del nulla, una foresta da sogno/incubo, sono gli scenari di questa folle caccia all' uomo. Adattando il manga di Minetaro Mochizuki, il regista Katsuhito Ishii, qui alla sua opera prima, mette in scena una serie incredibile di personaggi sopra le righe fra cui spicca su tutti il killer Yamada, interpretato dal bravissimo caratterista Gashuin Tetsuya. Difficile davvero dare una definizione di questo film anche se sembra facilmente accostabile ai primi gangster movie di Guy Ritchie (quelli fatti prima che si bevesse il cervello insieme alla cara mogliettina). Ishii punta tutto su di una partenza folgorante, preme forte l'acceleratore attraverso dei fantastici titoli di testa e ci fionda nel cuore del feroce inseguimento. Poi però succede qualcosa: il regista giapponese sembra rimanere invischiato nella stessa follia che ha messo in moto, si ritrova con troppe carte da giocare e le mette giù con criterio discutibile. Ne risulta una dilatazione dei tempi spesso insopportabile che separa un assurdo siparietto comico da una scena particolarmente geniale. E quando tutto rallenta, le imperfezioni saltano fuori come funghi e i primi a cadere sono proprio i personaggi, macchiette indubbiamente originali, ma quasi tutti prive di spessore (ed infatti eliminati in quattro e quattr' otto). Ho gradito molto invece l'uso del montaggio e l'interpretazione di Tadanobu Asano che riesce a ritagliarsi il suo giusto spazio. Dispiace naturalmente per le potenzialità un po' sprecate, ma ci si rallegra pensando a questa pellicola come banco di prova per il grandissimo film che Ishii partorirà in seguito, quel The Taste of Tea che non smetterò mai di elogiare.

Giappone, giorni nostri. Alla vigilia del sessantesimo anniversario dall' affondamento della nave ammiraglia della flotta giapponese, la corazzata Yamato, una donna si rivolge all' autorità portuale nella speranza di trovare qualcuno che le noleggi una barca per portarla fino al luogo dove giacciono i resti della nave. Quando un vecchio marinaio scopre che la ragazza è la figlia di un suo compagno d'armi che credeva morto sulla Yamato, si offrirà di accompagnarla. Nel tragitto fino al luogo dell' affondamento, torneranno a galla nella mente del vecchio i dolorosi ricordi di quei tristi giorni durante la Seconda Guerra Mondiale. In parte ambientato nel presente, grande uso di didascalie e voce narrante, fanno da contorno alla vera anima del film, i lunghi flashback che ripercorrono gli eventi di un gruppo di giovani giapponesi imbarcati sulla Yamato per difendere il loro Paese. Titolare il film "I ragazzi della Yamato" che significato ha? Parlare delle giovani vite spente troppo presto sui ponti della famigerata nave da guerra o guardare con orgoglio ai figli del Giappone pronti a morire per il loro Paese? Un' ambiguità che purtroppo il film non riesce a sciogliere. Credo fermamente che, nella fine fatta dalla Yamato e dal suo giovane equipaggio, mandati volontariamente contro la morte, c'è poco di cui essere orgogliosi. Con questo non voglio dire che la pellicola di Junya Sato sia un film pro-bellico o quant'altro, solo che non mi sembra si sia dato il giusto peso ad una delle pagine più nere della recente storia giapponese che avrebbe meritato una critica molto più feroce. Sato preferisce adagiarsi su ottimi effetti speciali (bella la ricostruzione storica e della nave) e su eccessi drammatici e melodrammatici veramente stucchevoli (ma tipici di certo cinema giapponese), per non parlare poi dell' enfasi recitativa propinata dagli attori che, se non fosse dannatamente irritante, risulterebbe anche comica. Da segnalare la notevole sequenza dell' ultima battaglia della Yamato, spettacolare e violenta come doveva essere, ma per il resto un film quasi del tutto sbagliato.

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Sunday, December 21, 2008

Lyric of the Week + Video / JULIA NUNES - MAYBE I WILL

**Una perla trovata su Youtube!!!**


This bed is so hot I can not get the covers off
They stick to me like leather seats in cars at 80,000 degrees

Did you leave something behind
It looked like nothing at the time
Now you fear that it's too late

They just can't believe that there is nothing between you and me
I'd rather plead the 5th than talk about the girl you're still in love with

Did you leave something behind
It looked like nothing at the time
Now you fear that it's too late

But I don't know what I was expecting to find
Am I losing my mind or just biding my time

Maybe I wont
Maybe I will
Maybe I wont
Maybe I will
Maybe I wont
Maybe I will
Maybe I wont
Maybe I will

Did you leave something behind
It looked like nothing at the time
Now you fear that it's too late

But I don't know what I was expecting to find
Am I losing my mind or just biding my time

Maybe I will

Friday, December 19, 2008

Autism: a curse or a blessing?

L' improvviso sentimento d'amore che nasce tra uno Yakuza e la donna di un boss della mala tailandese, non è visto di buon occhio da quest ultimo che giura di farla pagare ai due giovani amanti. Quando lui è costretto a tornare in Giappone, lei rimane in Tailandia a crescere la loro piccola figlia affetta da una forma di autismo. La bambina ha i sensi e i riflessi particolarmente sviluppati ed "assimila" tutto ciò che vede, imparando a combattere guardando in TV i film di Bruce Lee e Tony Jaa. Giunta all' adolescenza, la madre si ammala gravemente e i soldi per le cure non bastano mai. Così, insieme ad un' amico d'infanzia, decidono di riscuotere i crediti accumulati dalla madre, soffocando con una valanga di calci in faccia chiunque cerchi di opporsi. Naturalmente le gesta dei due improvvisati "esattori" non lasciano indifferente il vecchio boss che pensa sia arrivato il momento di saldare tutti i conti lasciati in sospeso. Un' imbarazzante incapacità sceneggiativa affligge il cinema tailandese e questa è una cosa che ho potuto tristemente constatare nonostante la mia non profonda conoscenza della cinematografia di questo paese. Non siamo certo a livello di mettere insieme una serie di scene senza soluzione di continuità, ma le lacune in fase di scrittura sono tante e si fanno notare. Chocolate, terzo film del regista Prachya Pinkaew, non è certo esente da questi difetti. Nonostante sia scritta a quattro mani, la sceneggiatura appare pesantemente sbilanciata soprattutto nella prima parte dove ci si dilunga un po' troppo nel maldestro tentativo di dare una profondità alla storia. Profondità che i fruitori di questo genere di film non vedono di buon occhio se questo comporta ritardare in maniera esagerata l'entrata in scena dell' azione nuda e cruda. Tanti personaggi definiti in maniera molto superficiale e qualche buco di troppo (ma il ragazzo cicciobomba perché se lo portano in casa?) chiudono il quadro. Detto questo però, non si può negare come questi macro difetti vengano accantonati quando si comincia menare le mani: i combattimenti sono belli e coinvolgenti, merito soprattuto di grandiose coreografie e di attori che non hanno certo paura di farsi male (guardare i titoli di coda se credete che si usino cavi o controfigure). Spettacolare e citatissima l'ultima sequenza, una lotta con gli attori che si muovono su tre livelli, in verticale, sulla facciata di un edificio, che probabilmente dovrà essere considerata nuovo termine di paragone per il genere. Ma il vero motivo per il quale bisognerebbe fare il possibile per recuperare questo film, è la giovane attrice protagonista Vismistananda Yanin, per gli amici Jeeja. Splendida in ogni movimento, postura, nella esecuzione di finte, calci e capriole, perfetta nel ruolo che le viene cucito addosso. Inutile dire che è il mio nuovo idolo ed il film è meglio di quel che mi aspettavo perciò lo si promuove, con una bella sufficienza, ma lo si promuove.

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Thursday, December 18, 2008

"Don't make me use my stuff on ya, baby!"

E se Elvis non fosse morto e al suo posto fosse passato a miglior vita uno dei tanti imitatori?
E se il vero RE stesse trascorrendo la vita in anonimato in una casa di riposo per anziani, rimpiangendo gli affetti lasciati alle spalle e aspettando che i medici capiscano cos'è l'escrescenza che gli sta crescendo sulla punta del pene?
E se con lui ci fosse anche un vecchio uomo di colore che afferma di essere il presidente JFK sopravvissuto all' attentato di Dallas e vittima di un complotto.
E se per i corridoi della casa di riposo, la notte vagasse un'antica mummia egizia, vestita da cowboy, in cerca di anime da divorare per poter sopravvivere?
Se si avesse il coraggio di dare risposta a questi interrogativi, si avrebbe fra le mani la materia di cui è fatto Bubba Ho-Tep, film del 2002 di Don Coscarelli tratto da un racconto breve di Joe R. Lansdale e interpretato da un Bruce Campbell (che ricopre il ruolo di un Elvis avanti con gli anni) straordinario.
Bubba Ho-Tep è un film di contaminazioni, a partire dal titolo formato dalle parole "bubba", che sta ad indicare un campagnolo del sud degli Stati Uniti, e Ho-Tep, faraone egiziano.
Ma è nella contaminazione di generi che il film di Coscarelli da il suo meglio, spostandosi senza scossoni tra la commedia e l'horror, tra le amare riflessioni di un vecchio RE ormai sul viale del tramonto e le deliranti teorie su di una mummia che succhia anime dal sedere delle sue vittime, in un mix dannatamente folle ma incredibilmente convincente.
E così, in un atmosfera da film di serie B che da queste parti non si smetterà mai di apprezzare abbastanza, ci si lascia trasportare da dialoghi meravigliosi, riflessivi e spassosissimi, da due improvvisati eroi claudicanti, nella lotta tra due RE ormai fuori dal tempo.
Uno dei film più originali che vedo da un po' di tempo a questa parte che naturalmente la distribuzione italiana ha completamente ignorato.


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Wednesday, December 17, 2008

JOHNNIE TO IN DIRETTA

6' 30'', circa. No dico, sei minuti primi e trenta secondi. Questa è la durata (secondo più, secondo meno) dello splendido piano sequenza che apre Breaking News, film del 2004 di Johnnie To. La macchina da presa si muove senza sosta in uno spazio limitato, tra il primo piano di un edificio e la strada sottostante coprendone le estremità, poi un marciapiede nella sua lunghezza e lo stesso per quello opposto, diventando testimone del cruento conflitto a fuoco tra un gruppo di rapinatori e la polizia. Quando i malviventi si danno alla fuga su di una camionetta delle forze dell' ordine, e successivamente su di un' ambulanza, entra in gioco il "terzo incomodo" che diventerà anche l'arma principale tra le due parti: i media. Troupe televisive e centinaia di fotografi riprendono le gesta dei rapinatori, la violenza, i morti e un poliziotto che con le braccia alzate invoca pietà per la sua vita. Le immagini circolano in fretta, la situazione precipita e la gente si chiede se la polizia è in grado ancora di poterli proteggere. La giovane tenente Rebecca Fong, incaricata di catturare i fuggitivi (che nel frattempo si sono rifuggiati in un appartamento di un palazzo popolare), decide di combattere il fuoco col fuoco e di utilizzare i media stessi per ridare alla stampa e alla gente, fiducia nei confronti delle forze dell' ordine. Johnnie To, coaudivato dall' ormai collaudatissimo team di scrittori della sua ditta di produzione cinematografica Milkyway, si/ci tuffa in un' ennesima storia di criminali e malavita, ambientata nella sua Hong Kong di cui questa volta ci mostra solo qualche breve scorcio, preferendo ambientare gran parte della caccia all' uomo tra i labirintici corridoi di un palazzo. Anche la classica tematica de l' "onore tra criminali", abbondantemente sviluppata da To in altri suoi film (si vedano ad esempio A Hero Never Dies, The Mission o Exiled), qui è affrontata in maniera piuttosto superficiale. Tema portante della pellicola è invece una riflessione sull' importanza dei media in un epoca dove le informazioni sono accessibili a più livelli, e di come la loro manipolazione (con espedienti anche semplici come un particolare montaggio o un' adeguata colonna sonora) ne possa alterare il contenuto o il messaggio: nel duello mediatico tra Fong e Yuen (il capo dei rapinatori) infatti, la polizia cerca di conquistare l'opinione pubblica dotando i poliziotti di microfoni e telecamere, preparando poi dei filmati con il girato, "arrangiati" in maniera accattivante. Dall' altra parte, Yuen, mostra alla gente solo la nuda e cruda verità. Un' altro esempio del grande cinema di To.

Tuesday, December 16, 2008

From My Personal Library: JON KRAKAUER - NELLE TERRE ESTREME

Chris McCandless non è certo personaggio che lascia indifferenti.
Impossibile addentrarsi nel conoscere questa figura e provare a giudicarla in maniera imparziale, distaccata. Lo consideri un idiota, arrogante ed egoista oppure l'unica persona abbastanza intelligente da aver seguito quello in cui credeva liberandosi di tutti i legami.

Riguardando per l'ennesima volta INTO THE WILD di Sean Penn, mi sono reso conto di come anche il regista americano non sia certo rimasto immune al fascino della figura di Chris e il suo modo di mitizzarlo, rendendolo quasi un Messia, ne è una conferma anche abbastanza evidente. Anche se Penn vuole sottolineare come il ragazzo sia sordo a quanto le persone che incrociano la sua vita cercano di comunicargli (verbalmente e non) è il lato libero di Chris, quello che vuole abbandonare la società degli uomini per abbracciare la società della "natura", ad arrivare forte e preciso agli spettatori.
Sicuramente il regista ha cercato di tradurre nella maniera più limpida e precisa possibile (con l'utilizzo anche di una discutibile voce narrante) quanto emerge dalle pagine del libro di Jon Krakauer, Nelle Terre Estreme, giornalista che per primo rimase affascinato dalla curiosa storia di questo ragazzo che decise di abbandonare la sua famiglia benestante, liberarsi di tutti i beni materiali e vivere con le sue sole forze.
Krakauer, intervistando parenti e le persone che Chris ha incrociato nel suo peregrinare, ne ricostruisce il background familiare cercando di definire quale sia stata la scintilla che l'ha portato ad una scelta così drastica. Ne segue tappa per tappa il viaggio fino al suo grande traguardo, l' Alaska, che ne diventerà sfortunatamente anche la tomba. Nel suo cercare di delineare la figura di questo controverso personaggio, lo scrittore affronta anche paralleli con "avventurieri" che per scelte e fato ricordano molto quelle di Chris e non nasconde di aver tentato lui stesso in gioventù un' impresa simile. Un' affinità che da sola spiega la passione infusa nelle pagine di questo libro, nel desiderio di far conoscere una storia di certo non comune e che, come si diceva all' inizio, non lascia indifferenti. Ad ognuno poi il suo giudizio.
Da leggere che si sia visto, o no, il film.

Monday, December 15, 2008

"FIGOSO!!!"

Il mondo della moda è seriamente in pericolo.
Il nuovo Primo Ministro malese, da poco eletto, ha intenzione di apportare significativi cambiamenti nel mondo del lavoro innalzando, per esempio, il salario minimo dei lavoratori. Ma quello che sembra essere maggiormente minacciato e il tanto caro lavoro minorile che permette da sempre, all' industria della moda, grandi produzioni a costi ridottissimi. Un cartello delle più famose Firme, decide allora di ingaggiare lo stilista Mugatu per trovare il perfetto agente "dormiente" e lo addestri per uccidere il premier malese, ospite alla presentazione di una nuova collezione. Per le sue piuttosto limitate capacità intellettive viene scelto come agente Derek Zoolander, in crisi con la sua professione a causa di un giovane modello, Hansel, che sta riscuotendo molto più successo di lui.
Trovandomi a dare un giudizio a caldo su questo Zoolander, non posso che trovarlo inferiore all' ultima fatica ddel regista/attore Ben Stiller: forse dipenderà dall' affascinante avventurarsi in percorsi metacinematografici, da un cast che è già leggenda (Robert Downey Jr e Tom Cruise su tutti) o dal fatto che Stiller si prende liberamente gioco di quel mondo che gli da da mangiare, ma Tropic Thunder mi sembra decisamente più riuscito.
Ciò non toglie che anche Zoolander, seppur in maniera inferiore, mi abbia convinto e che l'appellativo di "cult movie", che in tanti gli hanno affibbiato, non sia poi così esagerato.
Accompagnato dal top della commedia americana di oggi (Owen Wilson, Will Farrel), un numero notevole di attori che si sono prestati anche per piccole parti (Jon Voight, Milla Jovovich, David Dochovny) e altre "guest star" che si sono divertite ad interpretare se stesse (Cuba Gooding Jr, Christian Slater, Lenny Kravitz ecc.), Ben Stiller ripulisce il "magico mondo dell'alta moda" dalla sua sfavillante facciata di modelli bellissimi, firme importanti e vestiti stravaganti, mettendo alla berlina tutto quello che c'è dietro: ed ecco quindi un affondo alle case di moda che sfruttano il lavoro minorile e a basso costo dei paesi asiatici, modelli bellissimi ma senza un briciolo di cervello che passano le loro giornate a sfidarsi in sfilate a due, provare nuove affascinanti espressioni o a giocare con la benzina come se fosse acqua (la sequenza più divertente del film, vedere per credere). Un mondo fuori dal mondo di cui Stiller mette in risalto gli aspetti più superficiali (il modello d'orologi che mantiene giovane la sua mano in una camera iperbarica fatta su misura) e paradossali, che fanno spesso ridere ma anche porsi fatidici interrogativi: quanto è semplice parodie e quanto cruda realtà?
Da segnalare la colonna sonora che pesca spesso e volentieri dagli anni '80 cosa che, da queste parti, è sempre molto apprezzata.

Sunday, December 14, 2008

Lyric of the Week + Video / THE LONELY ISLAND - JIZZ IN MY PANTS

**Oddio! Stavo per schiattare dal ridere ^__^**


Lock eyes from across the room
Down my drink while the rhythms boom
Take your hand and skip the names
No need here for the silly games
Make our way through the smoke and crowd
The club is the sky and I'm on your cloud
Move in close as the lasers fly
Our bodies touch and the angels cry
Leave this place go back to yours
Our lips first touch outside your doors
A whole night what we've got in store
Whisper in my ear that you want some more
And I

JIZZ IN MY PANTS
This really never happens you can take my word
I won't apologize, that's just absurd
Mainly your fault from the way that you dance
And now I
JIZZ IN MY PANTS
Don't tell your friends or I'll say your a slut
Plus it's your fault, you were rubbing my butt
I'm very sensitive, some would say that's a plus
Now I'll go home and change

I need a few things from the grocery
Do things alone now mostly
Left me heart broken not lookin' for love
Surprised in my eyes when I looked above
The check out counter and I saw a face
My heart stood still so did time and space
Never felt that I could feel real again
But the look in her eyes said I need a friend
She turned to me that's when she said it
Looked me dead in the face, asked "Cash or Credit?"
And I

JIZZED IN MY PANTS
It's perfectly normal, nothing wrong with me
But we're going to need a clean up on aisle 3
And now I'm posed in an awkward stance because I
JIZZED IN MY PANTS
To be fair you were flirting a lot
Plus the way you bag cans got me bothered and hot
Please stop acting like you're not impressed
One more thing, I'm gonna pay by check

Last week - I saw a film
As I recall it was a horror film
Walked outside into the rain
Checked my phone and saw you rang and I
JIZZED IN MY PANTS

Speeding down the street when the red lights flash
Need to get away need to make a dash
A song comes on that reminds me of you and I
JIZZ IN MY PANTS

The next day my alarm goes off and I
JIZZ IN MY PANTS

Open my window and a breeze rolls in and I
JIZZ IN MY PANTS

When Bruce Willis was dead at the end of sixth sense I
JIZZED IN MY PANTS

I just take a grape and I
JIZZED...IN...MY PANTS
JIZZED...IN...MY PANTS

Ok seriously you guys can we...ok...

I jizz right in my pants every time you're next to me
And when we're holding hands it's like having sex with me
You say I'm premature I just call it ecstasy
I wear a rubber at all times it's a necessity

Cuz I
JIZZ...IN...MY PANTS
(I jizz in my pants, I jizz in my pants, yes I jizz in my pants, yes I jizz in my pants)
yes I JIZZ...IN...MY PANTS
(I jizz in my pants, I jizz in my pants)

Friday, December 12, 2008

TRUE BLOOD - SEASON 01 -

TITOLO ORIGINALE: TRUE BLOOD
TITOLO ITALIANO: N.D.
NUMERO EPISODI: 12

-TRAMA-
La vita di Sookie Stackhouse, cameriera in un piccolo bar di un paesino nella provincia della Luisiana, cambia radicalmente quando incontra il vampiro Bill. L'evento coincide con l'inizio di alcuni misteriosi omicidi.

-COMMENTO-
Iniziamo subito col dire che, la nuova serie di Alan Ball, è la vera rivelazione di questa stagione televisiva. Il titolo "True Blood" è anche il nome della bevanda a base di sangue sintetico divenuta il sostituto del sangue umano per i vampiri. "Ma come? La serie rivelazione è una serie su i vampiri?" Si. Ma sarebbe troppo riduttivo definirla così. Approfondendo la visione ci si rende conto che i vampiri sono una parte dell' insieme, anche se hanno un ruolo fondamentale nel definire il background dove la serie è ambientata. Nel mondo immaginato da Ball infatti, i vampiri sono usciti allo scoperto, hanno fatto cadere il velo di leggenda dietro il quale si nascondevano, mostrandosi agli uomini con l'intenzione di integrarsi. Naturalmente, in entrambe le "fazioni", c'è chi è favorevole e chi invece preferirebbe che le cose rimanessero come sono. Nel loro piccolo questi eventi coinvolgono la comunità di Bon Temps in Luisiana, nel sud degli Stati Uniti ancora profondamente razzista. Certo, si son fatti passi avanti dai tempi della tratta degli schiavi, ma ancora la gente mostra diffidenze e spesso disprezzo per tutto ciò che è diverso, magari mascherando questi pensieri dietro facce sorridenti. La giovane Sookie Stackhouse è cresciuta in questa comunità senza poter ignorare tutti quei pensieri visto che fin dalla nascita possiede il dono di "sentirli" nella sua testa. Forse proprio perché perfettamente conscia di quanto sia difficile farsi accettare perché diversi, rimane totalmente affascinata da Bill, un vampiro che vorrebbe inserirsi pacificamente a Bon Temps, dove viveva con la sua famiglia circa cent'anni prima. Da una partenza così, diciamo, prevedibile (il nascere di un sentimento romantico tra i due protagonisti) si sviluppa, pezzo dopo pezzo, il mondo di True Blood, dove coesistono creature fantastiche (oltre ai vampiri veniamo a conoscenza di mutaforma e lupi mannari) ed orrori molto più reali come il razzismo, l'intolleranza o l'ipocrisia (politici omosessuali e drogati, impegnati in campagne omofobe), il tutto condito con uno sguardo ironico rivolto al nostro di mondo (il giornale scandalistico che recita "Angelina adotta bambino vampiro") che di certo non guasta. A fare da collante per questi 12 episodi da un' ora ciascuno, la caccia all'assassino che sembra prendere di mira le donne che hanno avuto rapporti molto ravvicinati con i vampiri. Insomma, sembra che la HBO abbia tra le mani un' altra potenziale serie di successo e la speranza è che la qualità si mantenga inalterata anche nella seconda stagione. Lo ripeterò fino alla nausea ma, anche True Blood, è una serie caldamente consigliate in lingua originale per non perdere i caratteristici accenti dei personaggi.

-DVD-
Nessun cofanetto DVD disponibile al momento.

Thursday, December 11, 2008

Wednesday, December 10, 2008

Ping Pong, ovvero, quando il tennis tavolo diventa protagonista

Il Giappone è una terra meravigliosa agli occhi di noi occidentali. E nonostante ne abbiamo viste tante di cose curiose arrivare da quel lontano Paese, riescono ancora a stupirci. Per esempio, io rimango veramente colpito dalla capacità, in ambito fumettistico, di creare storie basate sugli sport. Pensate a Capitan Tsubasa (Holly & Benji) per il calcio, Rocky Joe per la box o Slam Dunk per il Basket. Ebbene, i nostri amici del Sol Levante sono riusciti a partorirne una anche sul tennis-tavolo, lo sport che tutti chiamiamo ping-pong. Il manga, ad opera di Taiyo Matsumoto, come spesso accade, è diventato un film cinematografico nel 2002 ad opera del regista esordiente Fumihiko Sori. Protagonisti indiscussi delle vicende narrate sono Hitomi e Tsukimoto, conosciuti anche come Peco e Smile. Caratterialmente sono agli opposti e forse proprio per questo stringono un' amicizia fortissima: il primo è solare ed espansivo, il secondo introverso e passivo. Peco ha una grande passione per il tennis tavolo e Smile lo segue diligentemente negli allenamenti provando ad imparare a sua volta. Diventati grandi, Peco è convinto di poter aspirare a diventare il miglior giocatore del mondo, mentre Smile, scopre di avere per questo sport un talento innato ma che per sua stessa natura non ha nessuna intenzione di sviluppare o utilizzare. Un torneo scolastico li costringerà ad affrontare le proprie debolezze. Ping Pong è il film "piacione" tipicamente Giapponese, fatto per farsi apprezzare e per riempire le sale: personaggi principali piacenti contrapposti ad avversari bruttini o imbruttiti ed una storia che segue un percorso ben collaudato (caduta-riscatto ed immancabile confronto finale), risaputo e per questo anche abbastanza prevedibile. La pellicola si fa portabandiera degli altissimi valori dell'amicizia e di come lo sport e l'agonismo ne possano essere un potente veicolo. Con un gran dispendio di animazione digitale, ralenty e quant'altro, Sori ci mette un grande impegno a rendere interessanti e coinvolgenti le partite di tennis tavolo, riuscendo nell' intento anche quando le cose si fanno inverosimili ma, trattandosi di adattamento da manga, un occhio lo si chiude più che volentieri. Certo, inutile aspettarsi molto da un film fatto con lo stampino e infatti, preso nel verso giusto, Ping Pong regala giusto un' ora e mezzo di relax anche divertente, sempre che vi piacciono i siparietti umorismo made in Japan.

Tuesday, December 09, 2008

"Quando sarà grande, come lo spiego a mio figlio perchè viviamo dietro ad un muro?"

A Città del Messico c'è un quartiere residenziale come quelli che si possono trovare in tantissime città: belle villette monofamiliari, prati verdi, giardini curatissimi e campi da golf. L' unica differenza è che questo quartiere rimane separato dal resto della città, dai bassifondi, da un muro sorvegliatissimo che ne circonda il perimetro. Questo piccolo "paradiso" artificiale è chiamato "La Zona" e i suoi benestanti abitanti godono al suo interno di particolari benefici grazie ad uno statuto speciale. Una notte tre ragazzi entrano nella Zona approfittando di un blackout con l'intento di mettere a segno qualche furtarello. Sfortunatamente vengono scoperti e la loro sortita finisce in tragedia. Un' anziana abitante della Zona rimane uccisa, così come una guardia e due dei ragazzi. Il terzo si da alla fuga ma i residenti, temendo che l'intervento della polizia possa influire in negativo sui vantaggi del loro statuto, decidono di risolvere le cose a modo loro dando inizio ad una vera e propria caccia all' uomo. Molto interessante e per nulla da sottovalutare l'esordio registico del giovane messicano Rodrigo Plà. Il suo film, La Zona, comincia mettendo in evidenza un forte contrasto tra l' "interno" e l' "esterno": veniamo accolti dalle belle e solari immagini della Zona fino a quando non ci rendiamo conto che questo posto idilliaco è circoscritto da un muro altissimo e, dall' altra parte, nient'altro che il grigiore dei quartieri poveri. Benestanti e meno abbienti. Chi guadagna con il proprio lavoro e chi vive di espedienti. Proprio quando pare evidente che l'accento viene posto su queste sostanziali differenze, Plà procede, minuto dopo minuto, ad abbattere quel simbolico "muro" (ma anche quello fisico non appare poi così invalicabile) e a mostrarci, rimanendo comunque super partes, quanto tutte le persone, qualsiasi sia il loro ceto sociale, poste in particolari condizioni si trasformino in belve assetate di sangue: i giovani ladruncoli non esitano ad uccidere per un esiguo bottino. Gli abitanti della zona si auto nominano giudici, giuria e boia pur di difendere il loro benessere. L' unico sguardo disincantato è quello dell giovane Alejandro che da ignaro abitante della zona, diventa responsabile ed unica speranza di Miguel, il ladruncolo in fuga. Alejandro è l'impotente testimone (così come noi) del drammatico epilogo della vicenda, della violenta presa di coscienza di come i soldi comprano tutto: fuori dal muro, la polizia. Al suo interno, la vita delle persone. Trovarsi da una parte o dall'altra di quella barriera nulla cambia. E' tutto uguale, tutta la stessa merda.

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Sunday, December 07, 2008

Lyric of the Week + Video / COLDPLAY - DON'T PANIC


Bones sinking like stones
All that we've fought for
All these places we've grown
All of us are done for

And we live in a beautiful world
Yeah we do, yeah we do
We live in a beautiful world

Bones sinking like stones
All that we've fought for
All these places we've grown
All of us are done for

And we live in a beautiful world
Yeah we do, yeah we do
We live in a beautiful world

And we live in a beautiful world
Yeah we do, yeah we do
We live in a beautiful world

Oh all that I know
There's nothing here to run from
'Cos yeah, everybody here's got somebody to lean on

Friday, December 05, 2008

STAGIONE CINEMATOGRAFICA 2008/2009 - COSA CI ASPETTA...

REMAKE

La domanda sorge spontanea: ne sentivamo davvero il bisogno?

ULTIMATUM ALLA TERRA



THE STRANGERS



QUARANTINE

Thursday, December 04, 2008

"The boy they brought back is not my son."

Nella Los Angeles di fine anni venti, Christine Collins vive la sua vita di madre single e responsabile di un call center di una compagnia telefonica. Costretta da improvvisi impegni lavorativi a lasciare il figlio a casa per un' intero pomeriggio, al suo rientro il bambino sembra scomparso. Dopo cinque lunghissime settimane di ricerca, Christine viene contattata dalla polizia che l'avverte di aver finalmente trovato il suo figlio. L'incontro tanto atteso non si rivela però così felice in quanto, la donna, si rende subito conto che il bambino scortato dalla polizia non è suo figlio. Per evitare l'ennesimo scandalo, la polizia, sotto continuo attacco per accuse di corruzione, la convince a prendersi cura del bambino, attribuendo allo shock subito da entrambi, le difficoltà di Christine a riconoscere in quel bambino il figlio scomparso. Viste le insistenze della donna, pronta a raccontare ai giornali tutti i dettagli della sua incredibile e terribile storia, il dipartimento di polizia decide di farla internare in un istituto psichiatrico. Solo nella persona del reverendo Gustav Brieglev, da anni impegnato in una personale crociata per debellare il marcio nella polizia di Los Angeles, Christine riuscirà a trovare un valido alleato nella lotta per scoprire che fine ha fatto per davvero suo figlio. Questo in breve è quello che si evince anche dal trailer, ingannevole come da norma e regola, ma questa volta in senso positivo: il film infatti sviluppa una side-story parallela che andrà poi a collidere drammaticamente con la triste vicenda di Christine. Chiusa questa piccola parentesi informativa, bisogna dire che Changeling è uno splendido spaccato dell' America in piena "grande Depressione", uno dei suoi periodi più neri che si riflette, giocoforza, sull' odissea personale della protagonista (una sorprendente Angelina Jolie) contro le forze dell' ordine che hanno scambiato il "protect and serve" con la corruzione e la violenza. Un' eroina "eastwoodiana" forte, coraggiosa, determinata, che niente ha da invidiare all' altrettanto splendida Maggie di Million Dollar Baby, considerato soprattutto il periodo in cui Christine vive, anni nei quali l'emancipazione femminile era ancora un miraggio. Eastwood, dal canto suo, prende uno script difficile (ma solo perché se fosse finito in altre mani probabilmente ne staremo parlando usando ben altri aggettivi) e lo trasforma in un'altra preziosa tacca da aggiungere alla sua già preziosa filmografia, grazie all' ormai rodatissimo talento registico (accompagnato da una fotografia non da meno) e alla capacità di toccare le corde dei sentimenti (l' intera gamma a dir la verità) senza mai apparire forzato. Changeling, sfortunatamente, porta con se anche un grosso neo, rappresentato dall' attesa che graverà sulle nostre spalle per il suo prossimo "Gran Torino".

Wednesday, December 03, 2008

Niente è cambiato

Howard Spence lascia tutto, in piena notte: il set dove stava girando il suo ultimo film, la sua carriera in caduta libera, la sua vita da star tutta eccessi e sregolatezza. Fugge per riavvicinarsi con il suo passato scoprendo di aver lasciato indietro più cose di quel che credeva, una madre, un amore dimenticato e un figlio che non sapeva neanche di avere. Mentre un incaricato della produzione del film si mette sulle sue tracce, il suo destino si incrocia con quello di una giovane ragazza che affronta un viaggio personale per spargere le ceneri della madre da poco scomparsa. "Don't Come Knocking" film di Wim Wenders datato 2005, è la storia di un uomo che volta le spalle alla sua vita presente, la persona che è diventato, sperando di potersi riconciliare con la persona che era, riallacciando rapporti da tempo interrotti. Un road-movie il cui titolo, "Don't Come Knocking", suona quasi come l' avvertimento che intima chi ha paura di quello che potrebbe trovare dall' altra parte se aprisse la porta, gli errori che sarebbe costretto ad accettare, i rimorsi con cui dovrebbe convivere. Howard non riesce a tenere fuori ciò che preme per entrare, e fugge a cavallo dal set portandosi dietro la sua vita fittizia, il personaggio che interpreta incollatosi addosso insieme agli abiti di scena e liberandosene strada facendo, come se vestirsi di nuovo possa in qualche modo nascondere agli occhi di tutti chi sia in realtà.
Sam Sheparh, che firma la sceneggiatura e interpreta il personaggio di Howard Spence, delinea la figura di un uomo capace di confrontarsi con se stesso e con il prossimo solo scegliendo la strada più semplice: la fuga, la menzogna, la vigliaccheria. Un gioco a nascondersi fallito in partenza (nonostante neghi i suoi trascorsi, la madre conserva tutti i ritagli di giornale con gli alti e i tanti bassi della carriera e vita personale del figlio) perché la vita, sia negli affetti (la riconciliazione non facile con il figlio) che nel lavoro (la necessità di rispettare gli impegni contrattuali) pretende che ci si assuma le proprie responsabilità.
Una storia molto umana raccontata con grande umanità.

Tuesday, December 02, 2008

L' Australia di Mclean come l' America di Hopper

Ad inizio film una didascalia recita in maniera inquietante pressapoco così: "30.000 persone scompaiono in Australia ogni anno". Considerato che il "Paese dei Canguri" ha la fauna più letale del pianeta (cioè tipo che se ti punge una zanzare il meno che ti può capitare è di morire) il numero non appare così enorme. Ma visto che il film fa preciso riferimento a fatti realmente accaduti, riguardanti turisti che si addentrano nelle immense distese inesplorate dell' Australia per non fare più ritorno a casa se non in rarissimi casi, forse la cifra è da prendere con le pinze. Già nel lontano 1975 Peter Weir aveva mostrato il lato magico, misterioso e inquietante, della sua terra, nel bellissimo Picnic ad Hanging Rock, ma Wolf Creek si muove su percorsi decisamente diversi. Scritta, prodotta e diretta da Craig Mclean, questa pellicola può essere considerata una delle più giovani discendenti del capostipite di tutti gli slasher-movie, l'indimenticato e mai superato Non Aprite Quella Porta (The Texas Chainsaw Massacre). Dove nel film di Tobe Hopper un gruppo di giovani si inoltrava nel cuore della provincia americana alla ricerca della loro casa d'infanzia, finendo per essere "divorati" da quella stessa provincia, qui seguiamo le vicende di due ragazze inglesi, accompagnate da un giovane di Sydney per visitare luoghi caratteristici del territorio australiano. Il loro viaggio li porta a Wolf Creek, località dove è possibile ammirare un gigantesco cratere lasciato dalla caduta di un meteorite. Pronti a rimettersi in viaggio, i giovani scoprono che la loro auto non da segni di vita e si vedono costretti a trascorrere la notte in mezzo al nulla. Fortuna vuole che vengano soccorsi da un uomo che si trovava a passare di li per tornare al suo accampamento dove si offre di trainare i ragazzi e la loro auto. Quello che a loro sembra un colpo di fortuna si rivelerà però essere una trappola studiata nei minimi dettagli e perfettamente collaudata. Ma il film di Mclean condivide con il film di Hopper anche la medesima struttura narrativa, la lunga introduzione dove avviene un lento allontanamento dalla civiltà, un progressivo accumulo di elementi che accrescono l'angoscia in attesa dell 'inevitabile "deflagrazione" dell' orrore. Pur potendo contare su alcuni risvolti a sorpresa (non si salva chi pensiamo che si salvi e non muore chi appare già segnato dall' inizio) ed un uso bilanciatissimo del gore, il film paga un grosso (gigantesco) debito di riconoscenza nei confronti di Non Aprite Quella Porta e pertanto, seppur decisamente riuscito, non può aspirare certo a nuovo punto di riferimento nel genere. Una sufficienza bella piena comunque non gliela toglie nessuno.

Monday, December 01, 2008

Weltall e il Barone

Posso comunicare ufficialmente l'inizio della collaborazione del sottoscritto al sito


naturalmente nella sezione dedicata al cinema


E' infatti presente dallo scorso sabato, la mia prima recensione per il Barone relativa al filmone di Takashi Miike Big Bang Love, Juvenile A, pubblicata anche qui parecchio tempo fa e "arrangiata" per l'occasione (leggendola oggi mi sono reso conto di essermi dilungato un po' troppo in giri inutili). Un' ottima occasione per fare la conoscenza di questo sito e per leggere la rece se vi era sfuggita a suo tempo.
Nuovi titoli seguiranno a breve ma, tranquilli, la pubblicazione su WELTALL'S WOR(L)D procederà regolarmente indicando con un link (o banner) quei titoli selezionati per il Barone del Male.
Ci si legge ^__^

Sunday, November 30, 2008

Lyric of the Week + Video / OASIS - I'M OUTTA TIME

**Nuovo singolo. I really like it**


Here is a song
It reminds me of when we were young
Looking back at all the things we’ve done
You gotta keep on, keeping on

Out to sea
It’s the only place I'm asleep
Can get myself some peace of mind
You know it’s gettin’ hard to fly

If I’m to fall
Would you be there to applaud?
Or would you hide behind them all?
‘Cause if I am to go,
In my heart you’ll grow
And that’s where you belong…

If I’m to fall
Would you be there to applaud?
Or would you hide behind them all?
‘Cause if I am to go,
In my heart you’ll grow
And that’s where you belong…

If I’m to fall
Would you be there to applaud?
Or would you hide behind them all?
‘Cause if I have to go
In my heart you’ll grow
And that’s where you belong

Guess I’m outta time
I’m outta time
I’m outta time
I’m outta time
I’m outta time

Friday, November 28, 2008

"We're being quarantined here. We're being kept here to die"

Il perchè film come Hostel o Saw siano supportati da battage promozionali imponenti, è un segreto che, a confronto, a quelli di Fatima ci fa un baffo. Se poi pensiamo che film minori (nel senso che magari non possono fregiarsi dello strillo "prodotto da Quentin Tarantino"), ma molto più validi, vengano fatti passare in sordina e distribuiti nelle sale in periodi nei quali la gente non va al cinema neanche sotto tortura, è un altro bel segreto da svelare. E qui cadiamo a bomba su The Ruins (tradotto pari pari per la versione italiana in "Rovine") primo lungometraggio del regista Carter Smith, uscito da noi in piena estate e che, nel suo piccolo, non ha nulla da invidiare alle pellicole di Roth e Bousman. Protagonisti della vicenda sono un gruppo di ragazzi, americani e non, in vacanza in Messico che, dopo essersi ubriacati e stracciati per tutta la durata del soggiorno, decidono di dedicare l'ultimo giorno alla cultura andando a visitare un antico tempio Maya di recente scoperta. Giunti sul posto si trovano presto costretti a non poter abbandonare le rovine a causa di un gruppo decisamente ben armato e minacciosi di autoctoni. Ma la vera minaccia per i ragazzi è la pianta rampicante che cresce rigogliosa dentro e fuori il tempio nel quale si sono accampati. Si, avete letto bene: una pianta! Partendo dallo stra-abusato gruppo di ragazzi da mandare al macello, qui non ci sono famiglie cannibali, ne ricchi e annoiati torturatori paganti. Solo una pianta all'apparenza innocua ma desiderosa di mangiarsi vivi i malcapitati visitatori con i suoi "tentacoli" che si insinuano nelle carni e si riproducono sotto la pelle. Da un punto di vista puramente gore, aspetto che in questa tipologia di film è fondamentale, l' attitudine invasiva delle piante porta ad alcune delle sequenze più gustose da un po' di tempo a questa parte: immaginate un po' voi un' amputazione eseguita con un grosso sasso e un coltello da caccia, o una giovane pulzella che si auto-affetta un po' ovunque. Mettendo da parte il discorso originalità, la cui quasi totale mancanza affligge il genere da troppo tempo e che porterebbe alla bocciatura del 90% dei titoli che escono, The Ruins mi è piaciuto assai per i seguenti motivi: 1) perché i distributori non se lo sono quasi filato. 2) perché non è un remake. 3) perché non è un remake di un film giapponese. 4) perché è splatter senza essere sborone. 5) perché c'è Jena Malone. E non aggiungo altro.

Thursday, November 27, 2008

"Greatness comes to those who take it"

Sostanzialmente credo che, quando ci si trovi di fronte un film storico o che racconti su percorsi biografici la vita di un determinato personaggio, il pubblico si divida fra quelli che prediligono ricostruzioni fedeli e quelli disposti a chiudere un occhio sulla fedeltà ma aprirne anche un terzo a favore della pura spettacolarità. Il cinema hoolywoodiano si è soprattutto rivolto alla seconda tipologia di pubblico con film riusciti (vedi Il Gladiatore) e altri decisamente inguardabili (ad esempio Troy).
Questo tipo di pellicole non suscitano in me particolare interesse perciò mi sono avvicinato con diffidenza a questo Mongol, di Sergei Bodrov, che racconta la storia del grande Gengis Khan.
La cosa che mi ha favorevolmente colpito di questa grossa produzione russa, è sicuramente l'avere le potenzialità per rivaleggiare con i cugini americani ma preferire all' epicità delle battaglie che resero famoso il re dei Mongoli (qui presenti ma con il contagocce), raccontare il percorso umano del Khan, dall' infanzia fino al momento in cui riunisce sotto il suo comando tutte le popolazioni della Mongolia.
Il proverbio mongolo "Non schernire il cucciolo indifeso. Può divenire la tigre feroce" apre il film e un po' riassume la vita non proprio fortunata di Temudjin, futuro Gengis Khan, segnata dalla morte del padre, che l'ha costretto dall'età di 10 anni a lottare per sopravvivere contro gli usurpatori che vedevano in lui una minaccia in quanto erede legittimo, ma soprattutto dal sacrificio, dalla schiavitù, dalla lotta contro il suo stesso fratello di sangue, dall'amore eterno per la sua sposa. Una vita che l'ha forgiato facendolo diventare un uomo fiero delle sue origini ma in un certo senso un rivoluzionario, non legato a vecchie tradizioni, pronto a comandare in maniera implacabile pur di riportare l'ordine in una terra governata dal caos.
Su quella stessa terra la macchina da presa di Bodrov si sofferma, riempendo l'inquadratura di paesaggi splendidi che si estendono a perdita d'occhio, ridimensionando la grandezza dell' uomo che ci impose la sua legge. Ma il regista russo dimostra di saperci fare anche quando si tratta di girare scene di battaglia che, a conti fatti, sono solo due ma davvero molto, molto belle. Ad interpretare il ruolo di Temudjin/Gengis Khan è stato scelto l' attore giapponese Tadanobu Asano del quale non smetterei mai di spendere parole d'elogio e, per inciso, è anche il motivo principale che mi ha spinto verso questo film. Diffidenza mal riposta questa volta, ed è un piacere ricredersi in casi del genere.

Wednesday, November 26, 2008

24 - REDEMPTION -

Se tutto va bene questa è l'ultima volta che tiro in ballo lo sciopero degli sceneggiatori ma un evento di tale portata non poteva non coinvolgere anche la mia serie del cuore, 24. Per sua stessa natura (un giorno della vita dell' agente Jack Bauer narrato in tempo reale, in ventiquattro episodi da un' ora ciascuno) la serie non poteva essere ne tagliata, ne arrangiata per durare meno, in quanto ne sarebbe uscita decisamente compromessa (come successo a Heroes). I produttori hanno pensato bene perciò di sospendere la serie e rimandarla a quando le acque si fossero calmate. Alla fine il rinvio è durato dodici mesi e il Day 7, salvo ulteriori e non graditi imprevisti, dovrebbe iniziare il prossimo 11 gennaio 2009. Cosa fare però per alleviare l'attesa ai "24 addicted" in questa manciata di giorni che ci separano dal ritorno di Jack Bauer? Joel Surnow e Robert Cochran, creatori della serie, hanno pensato bene di mettere insieme un film per la TV (definizione un po' larga ma visto la durata non è poi così sbagliata) che funge da collegamento tra la sesta stagione e la seguente.
Ambientato qualche anno dopo la fine del Day 6, Jack si trova in Africa nel fittizio stato Sangala, ospite dell 'amico ed ex-compagno delle Forze Speciali, Carl Benton, che gestisce una scuola per orfani. Jack sta girando il mondo cercando di sfuggire al suo passato che comunque gli sta sempre alle costole: il segretario del consolato americano a Sangala infatti, lo raggiunge per consegnargli un mandato di comparizione emesso da una commissione del Senato che vuole processarlo per alcuni episodi di tortura su prigionieri sotto la sua custodia. Jack non è intenzionato a tornare ma il precipitare della situazione in Sangala, dove un esercito di liberazione popolare sta organizzando un colpo di stato reclutando bambini per la guerra, lo vede costretto ad aiutare l'amico Benton a portare i giovani ospiti della scuola al sicuro tra le mura dell' ambasciata USA. Nel frattempo in America, il Presidente Daniels si prepara per il passaggio di consegne con la neo eletta Presidente Allison Taylor. Ma la crisi in Sangala sembra essere pilotata da ambienti molto vicini alla Casa Bianca.

Due ore narrate in tempo reale (dalle 3 alle 5 di un caldo pomeriggio africano), splitscreen e timer che segna inesorabile il passare del tempo, sono tutti elementi che aiutano subito ad immergersi nell' atmosfera "24" nonostante appaia chiaro che siamo ben lontani dalle emozioni che la serie sa regalare: Redemption è fondamentalmente un prequel (come quelli che si trovano tra gli extra dei dvd della serie) sufficientemente allungato per narrare, con svolte forse troppo frettolose e superficiali, una breve storia che giustifichi il ritorno di Jack in patria. Il nostro agente dell' anti-terrorismo preferito ci regala le sue classiche "one-man action" (anche se avrei preferito gli fosse stato dato più spazio) mentre gli autori usano il pretesto per puntare il dito contro la politica estera americana e sulle "Nazioni Unite" incarnate in un personaggio a dir poco odioso. Piacevole, ma relegato ad un ruolo troppo limitato, il personaggio di Robert Carlyle mentre quello di Jon Voight sicuramente avrà le sue belle responsabilità negli eventi del Day 7. Non nascondo che avrei preferito vedere Jack Bauer che metteva a ferro e fuoco mezza Africa ma capisco anche che la natura di questo prodotto non era quella di essere un concentrato della serie TV. In definitiva, 24 - Redemption può essere considerato un semplice antipasto, un po' leggero ma comunque gustoso.

Tuesday, November 25, 2008

AD UN PRIMO SGUARDO: DEXTER - SEASON 03, TERMINATOR: SARAH CONNOR'S CHRONICLE - SEASON 02, CALIFORNICATION - SEASON 02

Alla Showtime devono aver alzato a dismisura i livelli di sicurezza per proteggere il segreto che si cela dietro la realizzazione di una serie praticamente perfetta come Dexter. Questa terza stagione, dopo quattro episodi visti, si mantiene su livelli altissimi. Nessun calo, anzi, parecchi nuovi spunti che spero vengano sviluppati a dovere. Un Dexter libero dal "codice" e pronto a seguirne uno tutto suo, è la base da cui parte la nuova stagione. Viene anche introdotto un nuovo personaggio, Miguel Prado, che sembra assumere si da subito un ruolo di primo piano nella serie e nella vita di Dex. Non mi aspetto niente di meno dalle puntate che verranno.

Inizia dove si era interrotta la precedente questa seconda stagione di Sarah Connor's Chronicle e dopo una manciata di episodi sembra che l'andazzo sia sempre lo stesso. La serie ha le potenzialità di fare, ci prova ma non fa. La si segue per amore del soggetto dal quale è tratta ma non coinvolge. In questa seconda stagione entrano nel cast in maniera definitiva Brian Austin Green (che è impossibile non ricollegarlo a l personaggio di David in Beverly Hills 90210) e Shirley Manson, cantante dei Garbage, che qui interpreta il T1001...forse la novità più interessante della serie. Credo la seguirò fino alla fine ma lo guarderò nei ritagli di tempo.

Stesso discorso come The Sarah Connor's Chornicle, la seconda attesissima stagione di Californi- cation si mantiene sui livelli della prima ma, a differenza di Terminator, la qualità è decisamente medio-alta. Nonostante il finale della prima stagione mi fosse sembrato troppo accomodante e non in linea con il resto della serie, ho contato i giorni che mi separavano dal ritorno del grandissimo Hank Moody, sempre sboccato e irriverente ma impegnato a diventare un marito e un padre modello. Imperdibile.

Monday, November 24, 2008

...and so it ends...


Ne ho appreso la notizia venerdì, sul sempre aggiornatissimo Alone in Kyoto e non volevo crederci ma la news è più che confermata: oltre a Dirty Sexy Money ed Eli Stone, l' ABC ha messo alla porta anche Pushing Daisies.
Non sembra ci siano possibilità di un passo indietro da parte del network perciò, almeno per il momento, la cancellazione di una delle migliori e originali serie sembra definitiva.
Come la "mobilitazione popolare" per Jericho insegna, meglio non sottovalutare lo zoccolo duro degli aficionados.
Per il momento quindi incrociamo le dita nonostante la tristezza infinita.

Vi lascio un piccolo assaggio della serie, giusto per farvi capire a cosa ci stanno costringendo a rinunciare:


Sunday, November 23, 2008

Lyric of the Week + Video / CASSIUS - TOOP TOOP


After all the words we sing
I got my eyes on my machine
You could just put online
So I got some piece of mine
I could keep up during night
I’m gonna search people fight
Hanging out on every
All I got is a machine

After all the words we sing
I got my eyes on my machine
You could just put online
So I got some piece of mine

After all the words we sing
I got my eyes on my machine
You could just put online
So I got some piece of mine
I could keep up during night
I’m gonna search people fight
Hanging out on every
All I got is a machine

After all the words we sing
I got my eyes on my machine
You could just put online
So I got some piece of mine
I could keep up during night
I’m gonna search people fight
Hanging out on every
All I got is a machine


**Nel caso il messaggio non fosse chiaro: E' USCITO IL DVD DE "IL DIVO"!!!**

Friday, November 21, 2008

Ma qualcuno si ricorda di: COCCINELLA

A seguito della morte dei genitori durante un viaggio per il loro anniversario di matrimonio, sette fratelli si ritrovano orfani ma decisi a sopravvivere con le proprie forze senza contare sull' aiuto del ricchissimo nonno.

Vi ricorda niente?
Questa era la trama alla base del cartone animato "Coccinella", che prendeva il nome dalla piccola e simpatica protagonista. Andava in onda circa una vita fa e non sulle reti principali quindi queste è una bella sfida.
Che dite?
Qualcuno di voi ne ha memoria?
In attesa di risposte vi lascio il video con la sigla italiana:


Thursday, November 20, 2008

Sparate a tutti...anche attori e regista se bastano i proiettili

Mr Smith se ne sta seduto ad una fermata dell' autobus in piena notte a sgranocchiare una carota (perché uno non lo faccia a casa sua comodamente in poltrona non ci è dato saperlo) quando vede una donna incinta fuggire da un uomo che cerca di ucciderla. L'interruttore de "l'istinto del buon samaritano" scatta su ON e Mr Smith si schiera a difesa della fanciulla e del nascituro. Per una serie di eventi (tutti piuttosto violenti e sanguinari) Mr. Smith si ritrova a fuggire con un neonato e una battona popputa, inseguito da killer spietati che sembra vogliano soltanto fare la pelle al bambino. Si troverà tra l'altro invischiato in un complotto che arriva a coinvolgere un' importante industria d'armi da fuoco e uno dei candidati alla Casa Bianca. Coaudivato dal sempre aggiornato imdb, scovo informazioni sul regista sceneggiatore, a me sconosciuto, Michael Davis, autore di questo giocattolone inutile dal titolo Shoot Em Up. Leggo che una serie di titoli a me quasi del tutto sconosciuti l'ultimo dei quali uscito nel 2003. Quindi se gli ci son voluti quattro anni per partorire questa boiata, non gli conveniva prolungare di qualche anno la vacanza? Shoot Em Up è la prova lampante di come possano esserci differenze abissali anche tra film di puro intrattenimento: mentre un film come Wanted, indifendibile sotto diversi aspetti, risulta comunque un film incredibilmente coinvolgente e divertente, merito anche di una regia che sa cogliere ogni possibile spunto action che una pellicola del genere propone, Shoot Em Up ci prova ma non ci riesce: trama inutile, personaggi inesistenti, ma fino a qui ci si può stare. Si inizia poi con una sparatoria che viene riciclata noiosamente per tutto il resto del film, condendo il tutto con un umorismo che andava bene per i film del buon Swarzy dei primi anni '90 (esempio: Mr. Smith conficca nella gola di un cattivone una delle sue amate carote e poi esclama "mangia le verdurine"). Non può essere considerato neanche un "videogiocone" perché da quel punto di vista Crank è ancora inarrivabile. Anche a livello di attori fa veramente cascare le braccia: Clive Owen, che a differenza di molti io non trovo poi così pessimo, qui è una maschera sempre uguale dal primo fino all' ultimo minuto. Paul Giamatti, ottimo caratterista, non si capisce come sia finito in un progetto simile anche se un bel po' di soldini sembra essere il motivo più valido. E poi c'è lei, la cosa più lontana dall' essere definita orgoglio nazionale, una di quelle attrici che il grandissimo René Ferretti definirebbe "cagna anche in foto": la bella (perché bella è bella, poco da dire) Monica Bellucci, che nei miei incubi peggiori me la immagino recitare infiniti monologhi con me legato ad una sedia costretto ad ascoltarla. Anche in questo film da il meglio di se recitando in lingua originale e doppiandosi per la versione italiana. Uno stupro per le nostre orecchie e per l'attività recitativa tutta. Perché guardarlo? No, non scherziamo. Non esiste a questo mondo un motivo sufficientemente valido.

Wednesday, November 19, 2008

Laura : Musica = Mulo : Pedofili ?!?

Io non capisco proprio perché fate di tutto per sviarmi dalla mia consueta attività di blogger.
Prima il piccolo
Muccino, poi il Pinone Nazionale e adesso, cara Laura, ti ci metti pure tu?
Leggo
qui qualche giorno fa, parte di un' intervista rilasciata per La Stampa dove afferma:

"Dico io: i provider bloccano i siti porno e pedofili, non si potrebbe far la stessa cosa con la musica piratata? Il mio disco è su eMule da una settimana, è una vergogna"



Ora, non è da tutti condensare in poche parole una marea di cazzate perciò, tanto di cappello a chi ci riesce. Non è neanche facile riuscire a rispondere a idiozie di tal livello senza inserire un insulto ogni due parole, però ci proverò.
La prima cosa che cattura la mia attenzione è quel "vergogna". Si perché nel nostro Bel Paese (ci ostiniamo a chiamarlo così) ci sono tante cose di cui dovremo vergognarci e un CD condiviso su eMule sinceramente mi sembra che non rientri tra le più gravi. Nessuno toglie il lavoro che c'è dietro la realizzazione di un disco (bello o brutto che sia) e sarebbe corretto comprare i CD originali. Io sono il primo che preferisce avere il suo bel CD con custodia, libretto e compagnia cantante. Solo che non tutti possono permettersi di sborsare venti Euro (quando va bene) per un disco e non mi sembra si faccia nulla per rendere la diffusione musicale su CD accessibile a tutti. Si preferisce invece avere le spalle coperte dalle major e poi fomentare la caccia alle streghe contro i siti peer to peer.
Ma forse mi sbaglio io. Forse nel mondo incantato di Pausinilandia, tra soldi e tournee in paesi latino-americani, il proprio CD messo in condivisione è la più terribile delle vergogne. Eppure sono convinto che se chiedesse, alle migliaia di persone che affollano i suoi concerti, quanti hanno comprato il disco e quanti l'hanno scaricato, la risposta potrebbe farle cascare le mutande con i pantaloni ancora addosso.

Paragonare poi i siti come eMule ai siti pedopornografici, auspicando che subiscano da parte dei provider lo stesso tipo di oscuramento, bé, è una stronzata tanto grande che credo si commenti da sola. Mi auguro soltanto sia una cosa detta con leggerezza e che non ci sia convinzione in queste affermazioni.

Chi mi legge da un po' sa che la Pausini non è certo tra gli artisti che seguo anche perché non rientra certo tra le mie preferenze musicali. Mi astengo perciò da qualunque giudizio di carattere artistico, che non sarebbe comunque obiettivo, e vi lascio invece alle parole dell' immenso PINO SCOTTO, sempre sia lodato:


Tuesday, November 18, 2008

GO, GO, GO, GO ! ! !

Io con i Wachowski ce l'ho a morte, non è una novità. Ho adorato The Matrix ma detestato i suoi due pretenziosi seguiti arrivando quasi al punto, cosa assai rara per me, di cedere alla tentazione di abbandonare di corsa la sala durante la visione. Niente di strano quindi se ho accolto il progetto Speed Racer con molta diffidenza e un po' di pregiudizio. Non è un segreto l' amore che i fratellacci nutrono per l'animazione giapponese (Animatrix ne è la conferma) perciò non è poi così strano che proprio loro si siano presi il fardello di portare al cinema un anime cult degli anni '70 come Go Go Mach 5. La trama è quanto di più semplice si possa trovare: il protagonista, Speed, sin da bambino non ha nient' altro in testa che le gare automobilistiche, passione che, da padre in figlio, scorre nelle vene della famiglia Racer da generazioni. Il fratello si Speed, Rex, è stato il suo punto di riferimento, quasi il suo eroe, fino a quando la sua carriera finisce tragicamente in un mortale incidente e il suo nome viene trascinato nel fango. Speed raccoglie l' eredità del fratello e aiutato dalla sua famiglia punta a diventare un campiona automobilistico. Scopre però che quel mondo che tanto ama è in realtà succube dei grandi sponsor che vedono nelle gare un modo molto semplice per fare soldi. Deciso a non sottostare a queste regole, la carriera di Speed viene stroncata e l'azienda di famiglia decisamente compromessa. Con l'aiuto del misterioso pilota Racer X, Speed cercherà di ribaltare le sorti della sua famiglia e di riabilitare una volta per tutte il nome del fratello. Ricordo che alla sua uscita, Speed Racer raccolse diversi pareri negativi, tendenza che con il tempo è andata cambiando fino a sentirne parlare in maniera del tutto entusiastica. In questo caso, trattandosi di pareri del tutto soggettivi, non si può dire che la verità sta nel mezzo ma di sicuro, proprio li in mezzo, ci si può trovare il mio parere su questo film: Speed Racer non è un brutto film ma neanche un capolavoro. Lontano dai filosofeggiamenti cyberpunk("di 'sta cippa" aggiungerei) nei quali si erano persi ai tempi di Reloaded e Revolution, i Wachowski puntano tutto su di un approccio molto più "easy" puntando ad un linguaggio più semplice, cercando forse di avvicinare al film un pubblico giovane anche attraverso l' uso di ben definite figure comiche, come il piccolo Spritle Racer e la sua scimmietta (che, per inciso, avrei volentieri voluto veder bruciare al rogo). Ma il punto di forza del film sta sicuramente nell' aspetto visivo e anche qui si prendono le distanze dai lavori precedenti: dove prima c'era una ricerca del croma tutta votata alle tonalità di verde, qui c'è una vera esplosione di colori, una palette variegata che lascia veramente senza parole, che ricopre ed accende ogni cosa dai personaggi alle scenografie (reali e non). E veniamo al tasto dolente, le corse automobilistiche. Veicoli aerodinamici dal gustoso aspetto retrò che sfrecciano e sfidano la gravità su avveniristici circuiti. Affrontano impossibili paraboliche tutte in derapata, usano trampoli per saltare gli avversari, si tamponano e si spingono a velocità pazzesche. Tutte cose che mandano alle stelle il livello di meraviglia sin dalla prima gara. E anche alla seconda. Alla terza c'è già qualcosa che non va e alla gara finale sei al limite della sopportazione. Questo perché, al di la di quanto le corse possano risultare adrenaliniche, sono grossomodo tutte uguali con solo lo sfondo su cui si svolgono a fare la differenza, un difetto non da poco se si considera che si parla dell' anima stessa della serie dal quale il film è tratto. Detto questo però, mi sento di promuovere questa ultima fatica dei Wachowski in virtù dei pregi che non si può non imputargli. Non li posso ancora perdonare per il male che hanno fatto a The Matrix, ma se continuano così sono sulla buona strada.