Tuesday, December 19, 2006

La trilogia della Black Society: Parte Prima

Shinjuku. Dietro le luci sfavillanti delle insegne dei locali che illuminano a giorno le strade, si muove, si agita il marcio della società: la banda yakuza degli Yamane e i Dragon's Nails delle triadi cinesi si contendono il territorio. Il poliziotto Tatsuhito è un uomo dai metodi violenti e sbrigativi. Vende informazioni agli Yamane in cambio di denaro che utilizza per mantenere i genitori immigrati dalla Cina. Tatsuhito ha un fratello, Yoshihito, che fa l'avvocato ed è invischiato nei traffici d'organi di Wang Zhiming, boss dei Dragon's Nails. Fortemente legato al concetto di famiglia, diverrà cruciale per Tatsuhito, riportare sulla retta via il giovane fratello, prima ancora che fermare i traffici di Wang. Comincia così la prima delle due trilogie partorite da quel geniaccio di Takashi Miike. La saga della Black Society non è stilisticamente e tematicamente anarchica come quella di Dead or Alive (anche se l'intro mi ha fatto pensare alle prove generali di quel che sarà lo sfolgorante inizio del primo DoA) ma rappresenta comunque un perfetto esempio della capacità di Miike di coniugare cinema di genere con il suo particolare stile, portando sul grande schermo tematiche a lui care. La Shinjuku tratteggiata del regista giapponese è prevalentemente notturna, violenta, un microcosmo popolato da yakuza, triadi, poliziotti corrotti, dove i rapporti umani sono basati sul soppruso e la prevaricazione (tematica che verrà poi ripresa e estremizzata in Ichi the Killer). Ma il filo che lega i capitoli della trilogia (che prosegue con Rainy Dog e Lay Lines) è rappresentato dai personaggi che vivono al limite della società, le minoranze etniche, immigrati ed esuli. Miike è nato e cresciuto nella piccola città di Yao, vicino ad Osaka, a stretto contatto con le comunità immigranti, pertanto conosce perfettamente le condizioni di chi vive lontano dalla propria terra cercando di integrarsi. Nel caso specifico abbiamo figli di giapponesi nati in Cina dopo la Seconda Guerra Mondiale e tornati in Giappone in un secondo momento. La loro condizione di non appartenenza a "nessun luogo" è espressa dal disagio interiore dei protagonisti: Wang è figlio di padre giapponese. Fuggito in Giappone dopo aver ucciso il padre, è ossessionato dal'idea di "liberarsi del sangue del genitore"(più di una volta la macchina da presa lo riprende mentre si scortica le mani nel lavabo). Tatsuhito è nato in Cina così come i suoi genitori. I suoi nonni sono di origine giapponese e per questo ha vissuto con il fratello un'infanzia difficile, costantemente discriminato a causa delle sue origini. Tornato in Giappone la situazione non è certo migliorata. Un film intenso che potrà essere apprezzato a condizione che ci si dimostri capaci di venire a patti con la violenza, anche estrema a volte, ma sempre intrisa di ironia.
P.S: l'immagine postata rappresenta la copertina del dvd inglese edito dalla Tartan. Non fa parte della mia collezione...ancora per poco ^____^

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