Thursday, July 31, 2008
Baumbach at the wedding
Margot at the Wedding rappresenta uno degli ultimi (sfortunatamente non l'ultimo) disastro distributivo di questa validissima stagione cinematografica, ormai arrivata al rush finale. Non tanto perché il titolo è stato adattato con il fuorviante "Il Matrimonio di Mia Sorella", ma perché insieme a Southland Tales di Richard Kelly, il film non è stato distribuito nella sale cinematografiche e "dirottato" direttamente per il mercato home video. La scelta, discutibile e non certo condivisibile, lascia perplessi soprattutto perché il suo regista e sceneggiatore Noah Baumbach ha già dimostrato quel che vale scrivendo per Wes Anderson "Le Avventure Acquatiche di Steve Zissou" e dirigendo lui stesso quel piccolo gioiello che risponde al nome di Il Calamaro e La Balena. Ci si sarebbe aspettati quindi una distribuzione minima e di vederlo proiettato almeno in qualche piccolo cinema d'essai. Così non è stato, ce ne facciamo una ragione, come sempre, e lo recuperiamo. Se ne Il Calamaro e Al Balena venivamo proiettati all' interno di una famiglia allo sfascio, questa volta è un' unione il pretesto narrativo con il quale Baumbach ci accompagna alla scoperta delle complesse e indecifrabili dinamiche dei rapporti tra le persone, in questo caso specifico, due sorelle e tutte le persone che gravitano attorno a loro, figli, fidanzati, mariti, amanti e vicini di casa. Margot torna dopo anni nella vecchia casa dove è cresciuta per ricongiungersi con la sorella, Pauline, con la quale non parla più da tempo. L'occasione è il matrimonio di quest' ultima con Malcolm, un musicista/scrittore sfaccendato e senza particolari aspirazioni. La casa di cui parlavo poco sopra, è il teatro perfetto per mettere in scena l'incontro scontro tra le due sorelle, entrambe alla ricerca di un punto d' arrivo per chiudere i conti con ciò che è stato e aggrapparsi ad un nuovo inizio per quel che sarà, anche se appare evidente che il passato sia ancora pieno di ferite non rimarginate che rendono impossibile vedere un futuro chiaro e preciso (il vecchio albero che schiaccia il tendone dove si dovrebbe svolgere il matrimonio acquista un significato ben preciso inquadrato sotto quest' ottica). I personaggi di Baumbach sono sempre definiti con una precisione chirurgica che va a mettere in evidenza ogni minimo aspetto della loro personalità, anche i più sgradevoli, rendendoceli antipatici ma incredibilmente umani, capaci di mettere a nudo le debolezze l'uno degli altri, ed usarle per distruggersi più che per avvicinarsi. Il merito va anche ad un cast perfetto tra cui spicca una Nicole Kidman, tanto bella quanto stronza, e un Jack Black in una parte che sembra gli sia stata ritagliata addosso. Margot at the Wedding non è un film facile e sicuramente farà storcere il naso a molti, ma non guardarlo almeno una volta sarebbe un delitto non inferiore a quello che ha subito a causa della distribuzione.
Wednesday, July 30, 2008
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI - VIDEODROME
Produttore: Universal
Distributore: Universal
Video: 1,85:1 letterbox
Audio: Italiano, Inglese Dolby Digital 2.0
Sottotitoli: italiano
Extra: n.d.
Regione: 2 Italia
Confezione: amaray
Note: la presente edizione è la stessa che la Universal ha pubblicato in tutto il mondo e in tutto il mondo è presente con un "difetto" nel video. Pur avendo il corretto rapporto, il formato è letterbox e cioè adatto ai classici televisori 4:3. L'ho già detto altre volte ma ribadire non costa nulla: in un televisore 16:9 (che ormai sono sempre più diffusi), o lo guardate nel formato quadrato (bande nere da tutti i lati) o usate la funzione zoom del lettore dvd con conseguente perdita di definizione (e non poca). Bisogna tener presente però che è presente sia il doppiaggio italiano che la lingua originale con i sototitoli opzionali. Perciò, se avete un televisore tradizionale io non mi farei tanti problemi. D'altro canto, se volete vivere l'esperienza più completa alla scoperta della Nuova Carne, non potete che tuffarvi sulla seguente edizione
Distributore: Universal
Video: 1,85:1 letterbox
Audio: Italiano, Inglese Dolby Digital 2.0
Sottotitoli: italiano
Extra: n.d.
Regione: 2 Italia
Confezione: amaray
Note: la presente edizione è la stessa che la Universal ha pubblicato in tutto il mondo e in tutto il mondo è presente con un "difetto" nel video. Pur avendo il corretto rapporto, il formato è letterbox e cioè adatto ai classici televisori 4:3. L'ho già detto altre volte ma ribadire non costa nulla: in un televisore 16:9 (che ormai sono sempre più diffusi), o lo guardate nel formato quadrato (bande nere da tutti i lati) o usate la funzione zoom del lettore dvd con conseguente perdita di definizione (e non poca). Bisogna tener presente però che è presente sia il doppiaggio italiano che la lingua originale con i sototitoli opzionali. Perciò, se avete un televisore tradizionale io non mi farei tanti problemi. D'altro canto, se volete vivere l'esperienza più completa alla scoperta della Nuova Carne, non potete che tuffarvi sulla seguente edizione
Produttore: Criterion
Distributore: Criterion
Video: 1.85:1 anamorfico
Audio: Inglese Dolby Digital 2.0
Sottotitoli: Inglese
Extra: Due commenti audio del cast artistico e tecnico, Camera (cortometraggio diretto da David Cronenberg), "Forging the New Flesh" documentario sulla realizzazione di Videodrome e sugli effetti visivi, "Effects Men" intervista audio al realizzatore degli effetti visivi, "Bootleg video" la versione completa di Samurai Dream e sette minuti di trasmissione Videodrome commentati dal regista, "Fear of Film" discussione tra Cronenberg, Carpenter, Landis e Garris, Trailers, Galleria fotografica, Booklet di 40 pagine.
Regione: 1 USA
Confezione: slipcase
Note: come spesso accade l'edizione Criterion è quella definitiva. Innanzi tutto la divisione su due supporti permette di concentrare il primo esclusivamente sul film ed il secondo per i numerosi ed interessantissimi extra che da soli varrebbero l'acquisto. Bisogna anche aggiungere il corretto formato video anamorfico e l'audio nell' originale codifica voluta da Cronenberg. Ora, perchè non comprare questa edizione? I motivi potrebbero essere sostanzialmente due: 1) non c'è ne audio ne sottotitoli in italiano, perciò se l' inglese è un ostacolo, lasciate perdere. 2) il dvd è Regione 1, il che significa che verrà letto da lettori della medesima Regione o universali. Vorrei ricordare che su moltissimi modelli è possibile sbloccare il codice regionale. Segnatevi marca e codice del modello e fate una visitina a questo sito per vedere se siete fortunati. Se usate il lettore dvd del vostro pc invece, ci sono diversi programmini freeware per ovviare al problema. Se volete acquistarlo (anche se dovrebbe esistere una legge che vi obblighi ad acquistarlo) lo potete trovare su Play.com qui e su YesAsia qui.
Distributore: Criterion
Video: 1.85:1 anamorfico
Audio: Inglese Dolby Digital 2.0
Sottotitoli: Inglese
Extra: Due commenti audio del cast artistico e tecnico, Camera (cortometraggio diretto da David Cronenberg), "Forging the New Flesh" documentario sulla realizzazione di Videodrome e sugli effetti visivi, "Effects Men" intervista audio al realizzatore degli effetti visivi, "Bootleg video" la versione completa di Samurai Dream e sette minuti di trasmissione Videodrome commentati dal regista, "Fear of Film" discussione tra Cronenberg, Carpenter, Landis e Garris, Trailers, Galleria fotografica, Booklet di 40 pagine.
Regione: 1 USA
Confezione: slipcase
Note: come spesso accade l'edizione Criterion è quella definitiva. Innanzi tutto la divisione su due supporti permette di concentrare il primo esclusivamente sul film ed il secondo per i numerosi ed interessantissimi extra che da soli varrebbero l'acquisto. Bisogna anche aggiungere il corretto formato video anamorfico e l'audio nell' originale codifica voluta da Cronenberg. Ora, perchè non comprare questa edizione? I motivi potrebbero essere sostanzialmente due: 1) non c'è ne audio ne sottotitoli in italiano, perciò se l' inglese è un ostacolo, lasciate perdere. 2) il dvd è Regione 1, il che significa che verrà letto da lettori della medesima Regione o universali. Vorrei ricordare che su moltissimi modelli è possibile sbloccare il codice regionale. Segnatevi marca e codice del modello e fate una visitina a questo sito per vedere se siete fortunati. Se usate il lettore dvd del vostro pc invece, ci sono diversi programmini freeware per ovviare al problema. Se volete acquistarlo (anche se dovrebbe esistere una legge che vi obblighi ad acquistarlo) lo potete trovare su Play.com qui e su YesAsia qui.
Tuesday, July 29, 2008
"Sei solo un mostro...come me!"
Uomini e mostri. Volti e maschere. Eroi e vigilantes.
Gli opposti tengono Gotham in piedi, in bilico tra l'elevarsi a città in lotta contro il crimine per la propria redenzione, e lo sprofondare nell' anarchia e nel caos.
Harvey Dent è l'ago della bilancia, il perno su cui tutto poggia. Lui è l'uomo su cui la gente fa affidamento, il volto che non si nasconde neanche di fronte alla mafia, l' eroe di cui Gotham ha bisogno.
Batman non può essere quell' eroe perché ha scelto di agire al di sopra delle leggi, di nascondersi dietro una maschera, di diventare un simbolo e agire nell' ombra. La sua scelta comporta delle responsabilità di cui si deve fare carico, quella di "aver cambiato le cose", di aver dato l'esempio che è stato travisato da vigilantes improvvisati, di aver ispirato la follia.
Joker è quella follia e la sua maschera è soltanto uno sfatto trucco da clown e due vistose cicatrici che partono dagli angoli della bocca a formare un ghigno agghiacciante. E' la nemesi perfetta di Batman, e come brillantemente spiegato da Shyamalan nel suo Unbreakable, necessaria e inevitabile come la notte dopo il giorno, non può esistere l'uno senza l'altro. Lui stesso si definisce un "agente del caos" ed è il caos il suo obiettivo. Sa che tutti hanno "Due Facce", anche il procuratore Harvey Dent, e se lui cade tutta Gotham cadrà.
Christopher Nolan impara dai suoi errori per fortuna. Prende tutti i difetti e le falle di Batman Begins (che Il Cavaliere Oscuro mette pesantemente in evidenza) e anche grazie alla collaborazione del fratello Jonathan per la sceneggiatura, corregge il tiro costruendo un film che rasenta la perfezione. La struttura narrativa è solida e regge per tutta la durata della pellicola con un ritmo che ha dell' incredibile per come riesce, anche dove l'azione latita, a non lasciare un minimo spiraglio alla noia. Parte del merito va sicuramente ai personaggi, a come sono stati scritti e definite le loro relazioni, soprattutto il triangolo Batman/Joker/Due Facce, ma non bisogna dimenticare i comprimari, gli uomini che non hanno maschere da portare, i veri eroi di questo film su cui spicca senza dubbio la figura del Commissario Gordon. Le vicende si svolgono in una "nuova" Gotham, spogliata da tutti i "fronzoli", inseriti più a scopo narrativo che altro, di Batman Begins (monorotaia e bassifondi poco credibili), resa una metropoli più "reale" pur essendo fittizia.
Ma è soprattutto con la regia che Nolan fa dei passi avanti non trascurabili, riuscendo finalmente a "prendere" i tempi con le sequenze action, fondendole con eccezionale soluzione di continuità a quelle puramente narrative, mostrando un' accresciuta sicurezza nel muovere la macchina da presa quando le cose si fanno più concitate, senza perdere un solo secondo di quel che accade sullo schermo.
Tutti elementi questi, che permettono a Il Cavaliere Oscuro di travalicare i generi, liberandosi dalla definizione troppo riduttiva di "cinefumetto", andando oltre il concetto di blockbuster o cinema d' intrattenimento. Mai prima d'ora, tra l'altro, mi era capitato che un film tanto gonfiato dal bombardamento pubblicitario (quanti trailer hanno fatto? Quante locandine hanno rilasciato mese dopo mese? Ho perso il conto!) non deludesse l' hype creato, anzi.
E' evidente che ci troviamo di fronte ad uno dei migliori film della stagione (che arriva quando ormai sta per finire) e a poco servono discorsi del tipo "meglio il Batman di Nolan che quello di Burton", perché entrambi erano pregni dell' anima dei loro rispettivi registi. A nulla serve paragonare il Joker di Nicholson con quello di Ledger, perché entrambi sono concezioni diverse dello stesso personaggio adatte al film nel quale sono inseriti.
Quello su cui bisognerebbe concentrarsi, invece, è la sensazione (forse solo mia) di trovarsi di fronte ad uno di quei prodotti cinematografici "mainstream", once in a life time. Appena comparsi i titoli di coda, oltre alla pelle d'oca per lo splendido spettacolo al quale si è assistito, rimane il pensiero per un film che ha raggiunto la perfezione e la completezza, grazie ad un' alchimia perfetta di fattori ed elementi unici, come la straordinaria interpretazione di Heath Ledger che rimarrà impressa a fuoco nella memoria degli spettatori ma sarà purtroppo irripetibile.
Once in a life time, appunto.
Pubblicata anche su
Gli opposti tengono Gotham in piedi, in bilico tra l'elevarsi a città in lotta contro il crimine per la propria redenzione, e lo sprofondare nell' anarchia e nel caos.
Harvey Dent è l'ago della bilancia, il perno su cui tutto poggia. Lui è l'uomo su cui la gente fa affidamento, il volto che non si nasconde neanche di fronte alla mafia, l' eroe di cui Gotham ha bisogno.
Batman non può essere quell' eroe perché ha scelto di agire al di sopra delle leggi, di nascondersi dietro una maschera, di diventare un simbolo e agire nell' ombra. La sua scelta comporta delle responsabilità di cui si deve fare carico, quella di "aver cambiato le cose", di aver dato l'esempio che è stato travisato da vigilantes improvvisati, di aver ispirato la follia.
Joker è quella follia e la sua maschera è soltanto uno sfatto trucco da clown e due vistose cicatrici che partono dagli angoli della bocca a formare un ghigno agghiacciante. E' la nemesi perfetta di Batman, e come brillantemente spiegato da Shyamalan nel suo Unbreakable, necessaria e inevitabile come la notte dopo il giorno, non può esistere l'uno senza l'altro. Lui stesso si definisce un "agente del caos" ed è il caos il suo obiettivo. Sa che tutti hanno "Due Facce", anche il procuratore Harvey Dent, e se lui cade tutta Gotham cadrà.
Christopher Nolan impara dai suoi errori per fortuna. Prende tutti i difetti e le falle di Batman Begins (che Il Cavaliere Oscuro mette pesantemente in evidenza) e anche grazie alla collaborazione del fratello Jonathan per la sceneggiatura, corregge il tiro costruendo un film che rasenta la perfezione. La struttura narrativa è solida e regge per tutta la durata della pellicola con un ritmo che ha dell' incredibile per come riesce, anche dove l'azione latita, a non lasciare un minimo spiraglio alla noia. Parte del merito va sicuramente ai personaggi, a come sono stati scritti e definite le loro relazioni, soprattutto il triangolo Batman/Joker/Due Facce, ma non bisogna dimenticare i comprimari, gli uomini che non hanno maschere da portare, i veri eroi di questo film su cui spicca senza dubbio la figura del Commissario Gordon. Le vicende si svolgono in una "nuova" Gotham, spogliata da tutti i "fronzoli", inseriti più a scopo narrativo che altro, di Batman Begins (monorotaia e bassifondi poco credibili), resa una metropoli più "reale" pur essendo fittizia.
Ma è soprattutto con la regia che Nolan fa dei passi avanti non trascurabili, riuscendo finalmente a "prendere" i tempi con le sequenze action, fondendole con eccezionale soluzione di continuità a quelle puramente narrative, mostrando un' accresciuta sicurezza nel muovere la macchina da presa quando le cose si fanno più concitate, senza perdere un solo secondo di quel che accade sullo schermo.
Tutti elementi questi, che permettono a Il Cavaliere Oscuro di travalicare i generi, liberandosi dalla definizione troppo riduttiva di "cinefumetto", andando oltre il concetto di blockbuster o cinema d' intrattenimento. Mai prima d'ora, tra l'altro, mi era capitato che un film tanto gonfiato dal bombardamento pubblicitario (quanti trailer hanno fatto? Quante locandine hanno rilasciato mese dopo mese? Ho perso il conto!) non deludesse l' hype creato, anzi.
E' evidente che ci troviamo di fronte ad uno dei migliori film della stagione (che arriva quando ormai sta per finire) e a poco servono discorsi del tipo "meglio il Batman di Nolan che quello di Burton", perché entrambi erano pregni dell' anima dei loro rispettivi registi. A nulla serve paragonare il Joker di Nicholson con quello di Ledger, perché entrambi sono concezioni diverse dello stesso personaggio adatte al film nel quale sono inseriti.
Quello su cui bisognerebbe concentrarsi, invece, è la sensazione (forse solo mia) di trovarsi di fronte ad uno di quei prodotti cinematografici "mainstream", once in a life time. Appena comparsi i titoli di coda, oltre alla pelle d'oca per lo splendido spettacolo al quale si è assistito, rimane il pensiero per un film che ha raggiunto la perfezione e la completezza, grazie ad un' alchimia perfetta di fattori ed elementi unici, come la straordinaria interpretazione di Heath Ledger che rimarrà impressa a fuoco nella memoria degli spettatori ma sarà purtroppo irripetibile.
Once in a life time, appunto.
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Monday, July 28, 2008
"You’re in love. Have a beer."
Hellboy è tornato e con lui i suoi compagni Liz, Abe e tutto l' Istituto per la Ricerca e la Difesa del Paranormale. Questa volta la minaccia viene da una razza che in tempi antichissimi condivideva con gli uomini il dominio della terra. Dopo un silenzio durato millenni, il Principe Nuada è deciso a riprendersi quel che gli spetta e per farlo vuole riunire i frammenti della corona del padre con la quale è possibile comandare l' Armata D' Oro, invincibili guerrieri artificiali ognuno dei quali ha il potere di settanta soldati. "I can't smile without you" non riesco a togliermela dalla testa, sia la canzone che la particolare scena dove Hellboy e Abe sono seduti sulle scale, ubriachi fradici e la cantano. Tutti ne hanno già parlato, ma quando la vedi ti accorgi di quanto sia bella e riuscita come sequenza: innanzi tutto perché traspare, in pochi minuti, tutta l'umanità dei personaggi, la voglia di essere normali e non solo mostri, innamorarsi come tutti e soffrire per amore. Ma proprio in questa scena (anche in altre a dir la verità) si può trovare una grande ricerca di equilibrio del regista e sceneggiatore Guillermo Del Toro, equilibrio tra l'anima da blockbuster che un film come Hellboy si porta inevitabilmente dietro e il cuore visionario del regista messicano. Equilibrio tra il personaggio dei fumetti di Mignola e la sua controparte cinematografica. Equilibrio non facile e che infatti ogni tanto si rompe facendo perdere al film questa voglia di essere "indipendente" pur rispettando il genere a cui appartiene. Mi riferisco soprattutto a quando il film suona in maniera insistente le corde del melò, e per quanto ci piacciano Red e Liz insieme o vedere Abe innamorato della bella principessa, come si dice, il troppo stroppia. Ma Del Toro si fa perdonare nella maniera che lui (e noi) preferiamo di più, regalandoci alcune scene di pura magnificenza visiva: come non rimanere estasiati da tutta la sequenza dell' elementale della terra, la sua nascita e la sua morte con erba e piante che crescono su tutto. O la bellissima Armata D'Oro e il combattimento che i nostri ingaggiano con questi terribili e indistruttibili avversari. O ancora La Morte che quanto ad inquietudine suscitata, non ha niente da invidiare al Ghoul mangia bambini de Il Labirinto del Fauno. Proprio per questi motivi si riesce a tenere a distanza i difetti e a voler bene comunque a questo film, ai suoi personaggi (tra i quali si integra perfettamente l' ectoplasmico Johann Krauss) e ad un regista che non fa altro che confermare il suo talento.
Sunday, July 27, 2008
Lyric of the Week + Video / PRIMAL SCREAM - STAR
Are you solid
Are you solid as a rock
Have you a strong foundation
Or can your soul be bought
It ain't true that
Everybody's got a price
I sing this song for everyone
Who stands up for their rights
Every brother is a Star
Every sister is a Star
Every brother is a Star
Every sister is a Star
Sister Rosa, Malcom X & Dr. King
Showed us we got power
Showed what changes we could bring
To change society
You have gotta change the law
Their bodies may be gone
But their spirits still live on
Every brother is a Star
Every sister is a Star
Every brother is a Star
Every sister is a Star
Rebel souls
For the dreamers, rebel souls & future days
Be brave & strong
Keep keepin' on
Be conscious in the chaos
The queen of England
There's no greater anarchist
One man's freedom fighter
Is another's terrorist
Every brother is a Star
Every sister is a Star
Every brother is a Star
Every sister is a Star
Friday, July 25, 2008
Ma qualcuno si ricorda di: GUIDO ANGELI
Post un po' particolare quello di questo mese.
Sono stato molto combattuto sul fatto di pubblicarlo o meno e alla fine ho deciso di farlo, se non altro per commemorare la recente scomparsa di un uomo che la TV ha reso un personaggio con tutte le carte in regola per far parte di questa rubrica.
Basta parole, spazio ai ricordi, provare per credere:
Sono stato molto combattuto sul fatto di pubblicarlo o meno e alla fine ho deciso di farlo, se non altro per commemorare la recente scomparsa di un uomo che la TV ha reso un personaggio con tutte le carte in regola per far parte di questa rubrica.
Basta parole, spazio ai ricordi, provare per credere:
Thursday, July 24, 2008
"Questi sono tempi nuovi..."
Un dirigente deve licenziare 1000 lavoratori.
Un impiegato si trova dopo 30 anni senza più un lavoro.
Un mago rischia di tagliare a metà un volontario durante uno spettacolo di magia.
Un uomo da fuoco alla sua attività per intascare i soldi dell' assicurazione.
Il film di Roy Andersson, Songs From The Second Floor, racconta queste e tante altre storie. Anzi, più che raccontarle le accumula lasciando noi spettatori, all' inizio, incerti su quale direzione voglia prendere il film, acquistando poi, pian piano, la consapevolezza che stiamo assistendo ad uno spaccato nerissimo di una società che ha ormai raggiunto il punto di rottura ed è pronta a collassare su se stessa:
Il commercio è morto ucciso dall' avidità.
Il lavoro non esiste più e le prospettive di crescita sono affidate al caso, mentre il Governo prende le sue decisioni affidandosi ad un palla di cristallo e sacrificando bambini con il benestare di una Chiesa che sta perdendo i suoi fedeli, che ha ridotto il Cristo in croce a mero merchandising che si accumula nelle discariche dopo il boom del Giubileo.
L' arte in questo mondo non trova spazio e gli artisti giacciono catatonici in un letto d'ospedale.
E mentre il mondo corre rapidamente verso la sua fine, le disparità sociali si fanno più evidenti:
Come topi che abbandonano la nave che affonda, il popolo si riversa sulle strade creando un'ingorgo inestricabile.
Uomini in abito e ventiquattrore si uniscono in una processione, flagellandosi a vicenda.
I dirigenti e gli alto borghesi partono in aeroporti giganteschi portandosi dietro tutti i loro beni materiali, anche i più superflui, dai quali non riescono a separarsi.
Andersson dirige questa surreale "fine del mondo" con inquadrature fisse, quasi fotografie di posti anonimi, freddi, privi di vita. L'effetto è amplificato da una fotografia fredda, in cui i colori si spengono e si adattano al pallore cinereo dei protagonisti che si confondono così con i fantasmi, con i morti che tornano per ricordare ai vivi le loro colpe.
Songs From The Second Floor è un film che si prende tutto il tempo di cui ha bisogno, che richiede pazienza, che necessita di essere assimilato, ma che ripaga con le più alte soddisfazioni che questa grande ARTE sa regalare.
Songs From the Second Floor è l' Apocalisse come solo il grande Cinema poteva rappresentare.
Un impiegato si trova dopo 30 anni senza più un lavoro.
Un mago rischia di tagliare a metà un volontario durante uno spettacolo di magia.
Un uomo da fuoco alla sua attività per intascare i soldi dell' assicurazione.
Il film di Roy Andersson, Songs From The Second Floor, racconta queste e tante altre storie. Anzi, più che raccontarle le accumula lasciando noi spettatori, all' inizio, incerti su quale direzione voglia prendere il film, acquistando poi, pian piano, la consapevolezza che stiamo assistendo ad uno spaccato nerissimo di una società che ha ormai raggiunto il punto di rottura ed è pronta a collassare su se stessa:
Il commercio è morto ucciso dall' avidità.
Il lavoro non esiste più e le prospettive di crescita sono affidate al caso, mentre il Governo prende le sue decisioni affidandosi ad un palla di cristallo e sacrificando bambini con il benestare di una Chiesa che sta perdendo i suoi fedeli, che ha ridotto il Cristo in croce a mero merchandising che si accumula nelle discariche dopo il boom del Giubileo.
L' arte in questo mondo non trova spazio e gli artisti giacciono catatonici in un letto d'ospedale.
E mentre il mondo corre rapidamente verso la sua fine, le disparità sociali si fanno più evidenti:
Come topi che abbandonano la nave che affonda, il popolo si riversa sulle strade creando un'ingorgo inestricabile.
Uomini in abito e ventiquattrore si uniscono in una processione, flagellandosi a vicenda.
I dirigenti e gli alto borghesi partono in aeroporti giganteschi portandosi dietro tutti i loro beni materiali, anche i più superflui, dai quali non riescono a separarsi.
Andersson dirige questa surreale "fine del mondo" con inquadrature fisse, quasi fotografie di posti anonimi, freddi, privi di vita. L'effetto è amplificato da una fotografia fredda, in cui i colori si spengono e si adattano al pallore cinereo dei protagonisti che si confondono così con i fantasmi, con i morti che tornano per ricordare ai vivi le loro colpe.
Songs From The Second Floor è un film che si prende tutto il tempo di cui ha bisogno, che richiede pazienza, che necessita di essere assimilato, ma che ripaga con le più alte soddisfazioni che questa grande ARTE sa regalare.
Songs From the Second Floor è l' Apocalisse come solo il grande Cinema poteva rappresentare.
Wednesday, July 23, 2008
"Sono il bisturi d'argento, il coltello brandito contro il male"
"Che merda!" Espressione colorita ma vi assicuro l'unica che si può proferire alla fine di questo film che, a conti fatti, è sicuramente il peggiore di Miike tra quelli che ho avuto modo di vedere fin'ora. Bisogna dire però che, film come questo, sono anche la riprova dell' eccezionale versatilità di questo regista considerato che lo stesso anno, il 1999, è riuscito a girare anche tre grandissime pellicole come Audition, Dead or Alive e Ley Lines. Quindi, nella grande foga produttiva di quell' anno, era logico che nel mezzo ci scappasse un filmaccio come questo, ennesima conferma della qualità infima delle produzioni di Hisao Maki. Tratto e sceneggiato da un suo stesso manga, Silver racconta la triste storia di Jun Shirogane, esperta di Karate e agente dell' FBI a tempo perso. In viaggio per gli Stati uniti, torna in Giappone quando scopre che la sua famiglia è stata brutalmente assassinata dalla Yakuza. Per vendetta decide allora di tornare a lavorare con il suo ex-partner Mamisada e di infiltrarsi in club di wrestling femminile con l' identità di Silver. In giro per il Giappone con il gruppo di lottatrici, Silver svolgerà delle missioni sotto copertura per l' FBI. Il suo primo incarico ufficiale la vedrà impegnata contro Nancy, sadomasochista che, in combutta con la yakuza, ricatta importanti uomini d'affari. Il fatto che il film sia una merda non è certo colpa del buon Miike che si trova a lavorare con un budget ridotto all' osso (ma questa non è una novità e neanche un limite) e una sceneggiatura tenuta insieme per miracolo. La storia presenta infatti dei buchi pazzeschi, in parte giustificati dal fatto che il film doveva essere il primo episodio di una serie, a quanto mi risulta, mai andata oltre questi ottanta minuti. La storia principale infatti, finisce poco dopo la metà del film e i restanti 30 - 40 minuti sono occupati da una scena di sesso (dopotutto il film rientra nella sezione "Erotic" della Maki Collection) e da uno scontro finale (che in realtà doveva fungere da collegamento ad un mai realizzato seguito) che riporta in ballo il maestro d'arti marziali di Jun interpretato da Hisao "ma sono proprio veri quei capelli?" Maki. Qualcosa di buono ne esce fuori (molto poco, ma sempre meglio di niente) e sono pronto a giocarmi tutto che le idee migliori e folli sono un parto della mente di Miike. Per fortuna, tra falli di gomma, citazioni di Non Aprite Quella Porta, locali sadomaso e drink a base di urina, almeno la bella protagonista, Atsuko Sakuraba, riesce a ritagliarsi un piccolo spazio e a spiccare grazie al suo seno prosperoso (e non credo di sbagliarmi se affermo che metterlo bene in mostra fosse il pretesto per fare questo film) che, in mezzo a questo gran casino, è proprio un bel vedere.
Tuesday, July 22, 2008
From My Personal Library: MARK Z. DANIELEWSKY - CASA DI FOGLIE
Perché il buio ci spaventa?
Forse perché nella sua impenetrabile oscurità si riflettono le nostre paure innate?
Immaginate però di essere al buio in una stanza che conoscete bene. Un ambiente familiare mette sicurezza anche se immerso nell' oscurità più totale. Ma cosa succede se allungando una mano non trovate la parete o quel mobile dove in realtà dovrebbe essere. Ecco allora che il buio non è più così innocuo quando si perdono i punti di riferimento, l'orientamento. Ecco che lo spazio intorno a voi, improvvisamente sconosciuto, vi circonda e vi opprime.
Le pagine di Casa di Foglie dello scrittore Mark Z. Danielewski trasudano di questa oscurità e aprirlo significa farne uscire un po' ogni volta.
Di sicuro si tratta del libro più strano che abbia letto e che probabilmente leggerò: la sua struttura è labirintica così come la sua impaginazione a volte assurda, con tutte quelle note e annotazioni che riempiono le pagine diventando, delle volte, veri e propri capitoli.
Ma cos'è Casa di Foglie? Di che parla?
Fondamentalmente è un saggio cinematografico messo insieme da un vecchio cieco di nome Zampanò e mai concluso. Il saggio si occupa di esaminare un documentario dal titolo The Navidson's Record, girato dal fotografo premio Pulitzer, Will Navidson. Navidson voleva semplicemente riprendere momenti di vita della sua famiglia nella loro nuova casa di campagna, fino al giorno in cui scopre che la casa è più grande all' interno che all' esterno. Una cosa fisicamente impossibile che si manifesta in un corridoio che si apre in una parete il cui lato esterno da sul giardino della casa. Il corridoio non si affaccia sull' esterno però, ma si allunga in una oscurità che sembra non avere fine e dalla quale giungono inquietanti ruggiti. Zamapanò muore prima di finire il suo lavoro, nella sua casa dalle finestre sbarrate e con dei metri inchiodati al pavimento come volesse controllare che le stanze non cambiassero dimensione. Johnny Truant trova il lavoro di Zampanò in un vecchio baule. Le sue annotazioni sono scritte dappertutto, su fogli di carta, tovaglioli, buste da lettera. Johnny comincia a leggerle, a metterle insieme cercando di darle la giusta forma. Ma la lettura lo fa sprofondare sempre di più in uno stato di paranoia e il buio di casa Navidson, dopo Zampanò, sembra aver raggiunto anche lui. Inizia così a completare il lavoro aggiungendo le sue annotazioni, racconti della sua vita che procede a grandi passi verso la follia, racconti di un passato che era stato rimosso.
La cosa curiosa e che più affascina di Casa di Foglie, è la precisione con la quale le varie fasi del documentario sono raccontate (tanto precise da stimolare il mio lato cinefilo), la cura con cui sono stilate infinite citazioni bibliografiche. E' curioso perché non esiste nessun Will Navidson e di conseguenza nessun documentario. I libri citati sono inesistenti così come sono false le citazioni di saggi stilati da filosofi e studiosi a proposito di The Navidson Record. Non esiste Zampanò, non esiste Johnnie Truant...o forse si?
Di sicuro esiste il buio, quello è reale, palpabile. Ci raggiunge dalle pagine del libro e ci costringe a guardalo. Chissà quale orrore innominabile si cela al suo interno, pronto ad aggredirci appena gli diamo le spalle. O forse c'è soltanto qualcosa che conosciamo bene, che abbiamo relegato al suo interno sperando di non doverci posare più lo sguardo. Ma è sempre li in agguato che aspetta solo che spegniamo la luce.
Forse perché nella sua impenetrabile oscurità si riflettono le nostre paure innate?
Immaginate però di essere al buio in una stanza che conoscete bene. Un ambiente familiare mette sicurezza anche se immerso nell' oscurità più totale. Ma cosa succede se allungando una mano non trovate la parete o quel mobile dove in realtà dovrebbe essere. Ecco allora che il buio non è più così innocuo quando si perdono i punti di riferimento, l'orientamento. Ecco che lo spazio intorno a voi, improvvisamente sconosciuto, vi circonda e vi opprime.
Le pagine di Casa di Foglie dello scrittore Mark Z. Danielewski trasudano di questa oscurità e aprirlo significa farne uscire un po' ogni volta.
Di sicuro si tratta del libro più strano che abbia letto e che probabilmente leggerò: la sua struttura è labirintica così come la sua impaginazione a volte assurda, con tutte quelle note e annotazioni che riempiono le pagine diventando, delle volte, veri e propri capitoli.
Ma cos'è Casa di Foglie? Di che parla?
Fondamentalmente è un saggio cinematografico messo insieme da un vecchio cieco di nome Zampanò e mai concluso. Il saggio si occupa di esaminare un documentario dal titolo The Navidson's Record, girato dal fotografo premio Pulitzer, Will Navidson. Navidson voleva semplicemente riprendere momenti di vita della sua famiglia nella loro nuova casa di campagna, fino al giorno in cui scopre che la casa è più grande all' interno che all' esterno. Una cosa fisicamente impossibile che si manifesta in un corridoio che si apre in una parete il cui lato esterno da sul giardino della casa. Il corridoio non si affaccia sull' esterno però, ma si allunga in una oscurità che sembra non avere fine e dalla quale giungono inquietanti ruggiti. Zamapanò muore prima di finire il suo lavoro, nella sua casa dalle finestre sbarrate e con dei metri inchiodati al pavimento come volesse controllare che le stanze non cambiassero dimensione. Johnny Truant trova il lavoro di Zampanò in un vecchio baule. Le sue annotazioni sono scritte dappertutto, su fogli di carta, tovaglioli, buste da lettera. Johnny comincia a leggerle, a metterle insieme cercando di darle la giusta forma. Ma la lettura lo fa sprofondare sempre di più in uno stato di paranoia e il buio di casa Navidson, dopo Zampanò, sembra aver raggiunto anche lui. Inizia così a completare il lavoro aggiungendo le sue annotazioni, racconti della sua vita che procede a grandi passi verso la follia, racconti di un passato che era stato rimosso.
La cosa curiosa e che più affascina di Casa di Foglie, è la precisione con la quale le varie fasi del documentario sono raccontate (tanto precise da stimolare il mio lato cinefilo), la cura con cui sono stilate infinite citazioni bibliografiche. E' curioso perché non esiste nessun Will Navidson e di conseguenza nessun documentario. I libri citati sono inesistenti così come sono false le citazioni di saggi stilati da filosofi e studiosi a proposito di The Navidson Record. Non esiste Zampanò, non esiste Johnnie Truant...o forse si?
Di sicuro esiste il buio, quello è reale, palpabile. Ci raggiunge dalle pagine del libro e ci costringe a guardalo. Chissà quale orrore innominabile si cela al suo interno, pronto ad aggredirci appena gli diamo le spalle. O forse c'è soltanto qualcosa che conosciamo bene, che abbiamo relegato al suo interno sperando di non doverci posare più lo sguardo. Ma è sempre li in agguato che aspetta solo che spegniamo la luce.
Monday, July 21, 2008
All that I can't leave behind...
...ovvero, film visti e di cui vorrei parlare, se possibile, brevemente:
O è un killer d'origini giapponesi. Anzi, O è IL killer, perché è in assoluto il numero 1 nel suo campo. Tok è anche lui un killer, di origini cinesi però. Vorrebbe anche lui essere il numero 1 ma la sua passione per il cinema action lo porta ad essere un po' troppo teatrale nello svolgimento del suo lavoro. Questi creare troppo "rumore" in torno ad un omicidio non gli permette di raggiungere la vetta nel campo e perciò nasce in lui una rivalità nei confronti del "collega" giapponese. Chin è una ragazza taiwanese che lavora come domestica nella casa di O per tre sere a settimana. Di mattina invece si occupa di un videonoleggio ed è qui che conosce Tok. Poi c'è Andrew Lee, agente dell' Interpool alla caccia di O che finisce casualmente nella lotta tra i due killer rivali. Johnny To e Wai Ka-fai, tra continue citazioni cinefile (Point Break, El Mariachi e The Mission dello stesso To) e fumettistiche (Crying Freeman), raccontano il duello di due uomini che pur facendo lo stesso lavoro perseguono scopi opposti. La regia di To e Ka-fai è inattaccabile, le sparatorie sono girate e montate con precisione millimetrica, con abbondante uso di slow motion. Il punto debole del film sta in uno storia un po' debole che potrebbe ridurre questo film ad un semplice esercizio di stile, uno di quelli però che non mi stancherei mai di guardare.
Avevo accantonato la visione di Super Nacho da un bel po' di tempo e a dir la verità me ne ero anche dimenticato. All' epoca non conoscevo il regista Jared Ness che poi ho avuto modo di apprezzare con la sua opera precedente, Napoleon Dynamite. Questa volta il protagonista è il giovane Nacho (interpretato da Jack Black), orfano cresciuto in un convento di frati che cerca il suo riscatto personale (ma anche la possibilità di guadagnare per aiutare gli altri orfani del convento) provando a diventare un lottatore di wrestling professionista. Insieme al compagno Esqueleto, con cui fa coppia sul ring, cercheranno di realizzare questo sogno. Jared Hess dimostra di saperci fare e confeziona un film colorato e divertente, diverso da Napoleon Dynamite perché si rifà ad un tipo di commedia più classica anche se pure qui è presente una sorta di "riscatto dei perdenti". La storia di per se è abbastanza prevedibile nello sviluppo, ma ha sicuramente il merito di non affondare nelle banalità del genere o in un utilizzo eccessivo e inutile di volgarità e simili. Una visione senza impegno che non crea rimorsi.
Tocca al messicano Guillermo Del Toro dare vita cinematografica al personaggio dei fumetti creato da Mike Mignola, Hellboy. La rossa creatura è un diavolo richiamato sulla terra nel '44 dai nazisti che speravano, affidandosi alle arti occulte, di ribaltare le sorti della Seconda Guerra Mondiale. Curato e cresciuto in segreto dal Governo degli Stati Uniti, ora è un agente dell' Agenzia per le Indagini Paranormali. Del Toro, forse uno dei migliori registi visionari del momento, azzecca la formula per portare al cinema Hellboy: anche se le atmosfere del fumetto di Mignola si perdono per lasciare spazio a tutti gli aspetti di action/cinefumettone in perfetto stile hollywoodiano, la storia resta piuttosto fedele (con tutte le dovute "licenze poetiche" naturalmente) all' originale e i personaggio di Hellboy risulta parecchio accattivante. Magari non convincono tanto i comprimari (Liz e Abe) poco definiti e fa storcere il naso qualche scivolone di troppo nel melò. Tutto sommato un film riuscito, merito soprattutto del regista che se ne è fatto carico.
O è un killer d'origini giapponesi. Anzi, O è IL killer, perché è in assoluto il numero 1 nel suo campo. Tok è anche lui un killer, di origini cinesi però. Vorrebbe anche lui essere il numero 1 ma la sua passione per il cinema action lo porta ad essere un po' troppo teatrale nello svolgimento del suo lavoro. Questi creare troppo "rumore" in torno ad un omicidio non gli permette di raggiungere la vetta nel campo e perciò nasce in lui una rivalità nei confronti del "collega" giapponese. Chin è una ragazza taiwanese che lavora come domestica nella casa di O per tre sere a settimana. Di mattina invece si occupa di un videonoleggio ed è qui che conosce Tok. Poi c'è Andrew Lee, agente dell' Interpool alla caccia di O che finisce casualmente nella lotta tra i due killer rivali. Johnny To e Wai Ka-fai, tra continue citazioni cinefile (Point Break, El Mariachi e The Mission dello stesso To) e fumettistiche (Crying Freeman), raccontano il duello di due uomini che pur facendo lo stesso lavoro perseguono scopi opposti. La regia di To e Ka-fai è inattaccabile, le sparatorie sono girate e montate con precisione millimetrica, con abbondante uso di slow motion. Il punto debole del film sta in uno storia un po' debole che potrebbe ridurre questo film ad un semplice esercizio di stile, uno di quelli però che non mi stancherei mai di guardare.
Avevo accantonato la visione di Super Nacho da un bel po' di tempo e a dir la verità me ne ero anche dimenticato. All' epoca non conoscevo il regista Jared Ness che poi ho avuto modo di apprezzare con la sua opera precedente, Napoleon Dynamite. Questa volta il protagonista è il giovane Nacho (interpretato da Jack Black), orfano cresciuto in un convento di frati che cerca il suo riscatto personale (ma anche la possibilità di guadagnare per aiutare gli altri orfani del convento) provando a diventare un lottatore di wrestling professionista. Insieme al compagno Esqueleto, con cui fa coppia sul ring, cercheranno di realizzare questo sogno. Jared Hess dimostra di saperci fare e confeziona un film colorato e divertente, diverso da Napoleon Dynamite perché si rifà ad un tipo di commedia più classica anche se pure qui è presente una sorta di "riscatto dei perdenti". La storia di per se è abbastanza prevedibile nello sviluppo, ma ha sicuramente il merito di non affondare nelle banalità del genere o in un utilizzo eccessivo e inutile di volgarità e simili. Una visione senza impegno che non crea rimorsi.
Tocca al messicano Guillermo Del Toro dare vita cinematografica al personaggio dei fumetti creato da Mike Mignola, Hellboy. La rossa creatura è un diavolo richiamato sulla terra nel '44 dai nazisti che speravano, affidandosi alle arti occulte, di ribaltare le sorti della Seconda Guerra Mondiale. Curato e cresciuto in segreto dal Governo degli Stati Uniti, ora è un agente dell' Agenzia per le Indagini Paranormali. Del Toro, forse uno dei migliori registi visionari del momento, azzecca la formula per portare al cinema Hellboy: anche se le atmosfere del fumetto di Mignola si perdono per lasciare spazio a tutti gli aspetti di action/cinefumettone in perfetto stile hollywoodiano, la storia resta piuttosto fedele (con tutte le dovute "licenze poetiche" naturalmente) all' originale e i personaggio di Hellboy risulta parecchio accattivante. Magari non convincono tanto i comprimari (Liz e Abe) poco definiti e fa storcere il naso qualche scivolone di troppo nel melò. Tutto sommato un film riuscito, merito soprattutto del regista che se ne è fatto carico.
Sunday, July 20, 2008
Lyric of the Week + Video / RADIOHEAD - HOUSE OF CARDS
** Cazzo, un nuovo video dei Radiohead! Impossibile non eleggere la canzone a Lyric of the Week!!!**
I don’t want to be your friend
I just want to be your lover
No matter how it ends
No matter how it starts
Forget about your house of cards
And I’ll do mine
Forget about your house of cards
And I’ll do mine
Fall off the table and get swept under
Denial, denial
The infrastructure will collapse
From voltage spikes
Trow your keys in the bowl
Kiss your husband goodnight
Forget about your house of cards
And I’ll do mine
Forget about your house of cards
And I’ll do mine
Fall off the table and get swept under
Denial, denial
Denial, denial
(Your ears should be burning)
Denial, denial
(Your ears should be burning)
I don’t want to be your friend
I just want to be your lover
No matter how it ends
No matter how it starts
Forget about your house of cards
And I’ll do mine
Forget about your house of cards
And I’ll do mine
Fall off the table and get swept under
Denial, denial
The infrastructure will collapse
From voltage spikes
Trow your keys in the bowl
Kiss your husband goodnight
Forget about your house of cards
And I’ll do mine
Forget about your house of cards
And I’ll do mine
Fall off the table and get swept under
Denial, denial
Denial, denial
(Your ears should be burning)
Denial, denial
(Your ears should be burning)
**BONUS**
IL MAKING OF DEL VIDEO
Friday, July 18, 2008
TWIN PEAKS - SEASON 02 -
TITOLO ORIGINALE: TWIN PEAKS
TITOLO ITALIANO: I SEGRETI DI TWIN PEAKS
NUMERO EPISODI: 22
Per ammissione dello stesso Lynch (in uno degli extra più belli della Gold Box Edition) alcune pressioni provenienti dai produttori, l'hanno costretto a modificare i suoi programmi sulla serie e a rivelare a metà stagione l'assassino di Laura Palmer, cosa che lui non avrebbe mai voluto fare, stravolgendo l'idea stessa con la quale era nata la creatura sua e di Mark Frost.
Credo sia opinione comune che, togliere di mezzo un personaggio ENORME come il "luciferino" Leland Palmer non sia stata una gran mossa, soprattutto perchè è stato sostituito da un cattivo come Windom Earl non di certo alla sua altezza.
Da qui, un progressivo allontanamento di Lynch (le sue regie si fanno sempre più rare dopo metà stagione) che porta la serie a perdere la strada maestra con varie sottotrame deboli e senza sbocco (una su tutte quella di James vittima di una ricca femme fatale), rimanendo comunque superiore a qualsiasi programma televisivo prodotto fino a quel momento (e superiore a moltissime prodotte ancora oggi).
Lynch torna fortunatamente per l'incredibile season finale e la sua regia, che si nota prepotente in ogni movimento di macchina (dalla stanza rossa, al caveau della banca), fa decisamente la differenza: quarantacinque minuti di puro "incubo lynchano" che chiudono alla benemeglio le trame lasciate in sospeso e che fanno venire la pelle d'oca (paura? emozione?) oggi come diciotto anni fa.
A ripensarci, rimane un po' di rammarico per una serie così avanti per quegli anni, troppo importante per finire così presto, che avrebbe potuto regalarci chissà quante altre soddisfazioni se solo ne avessero capito la grandezza, più i produttori che il pubblico.
Ma nonostante questo ci accontentiamo e ci teniamo stretti questi preziosi trenta episodi che hanno cambiato per sempre il modo di fare serial televisivi.
TITOLO ITALIANO: I SEGRETI DI TWIN PEAKS
NUMERO EPISODI: 22
-TRAMA-
Mentre l'assassino di Laura Palmer è ancora a piede libero, la falegnameria di Josie viene data alle fiamme, Audrey Horn è prigioniera al One Eyed Jack e l' Agent Cooper viene ferito gravemente nella sua camera d'albergo.-COMMENTO-
Il difetto più grande della seconda stagione di Twin Peaks è che non ce n'è mai stata una terza. Infatti a seguito di un calo d'ascolti, la serie più bella di sempre si è conclusa dopo "soli" trenta episodi nonostante una terza stagione fosse già stata programmata.Per ammissione dello stesso Lynch (in uno degli extra più belli della Gold Box Edition) alcune pressioni provenienti dai produttori, l'hanno costretto a modificare i suoi programmi sulla serie e a rivelare a metà stagione l'assassino di Laura Palmer, cosa che lui non avrebbe mai voluto fare, stravolgendo l'idea stessa con la quale era nata la creatura sua e di Mark Frost.
Credo sia opinione comune che, togliere di mezzo un personaggio ENORME come il "luciferino" Leland Palmer non sia stata una gran mossa, soprattutto perchè è stato sostituito da un cattivo come Windom Earl non di certo alla sua altezza.
Da qui, un progressivo allontanamento di Lynch (le sue regie si fanno sempre più rare dopo metà stagione) che porta la serie a perdere la strada maestra con varie sottotrame deboli e senza sbocco (una su tutte quella di James vittima di una ricca femme fatale), rimanendo comunque superiore a qualsiasi programma televisivo prodotto fino a quel momento (e superiore a moltissime prodotte ancora oggi).
Lynch torna fortunatamente per l'incredibile season finale e la sua regia, che si nota prepotente in ogni movimento di macchina (dalla stanza rossa, al caveau della banca), fa decisamente la differenza: quarantacinque minuti di puro "incubo lynchano" che chiudono alla benemeglio le trame lasciate in sospeso e che fanno venire la pelle d'oca (paura? emozione?) oggi come diciotto anni fa.
A ripensarci, rimane un po' di rammarico per una serie così avanti per quegli anni, troppo importante per finire così presto, che avrebbe potuto regalarci chissà quante altre soddisfazioni se solo ne avessero capito la grandezza, più i produttori che il pubblico.
Ma nonostante questo ci accontentiamo e ci teniamo stretti questi preziosi trenta episodi che hanno cambiato per sempre il modo di fare serial televisivi.
-DVD-
Per l'edizione in dvd guardare qui.
Thursday, July 17, 2008
Ancora una "carneficina apocalittica"
1995. Ad un solo anno di distanza dal precedente, esce il terzo capitolo di Bodyguard Kiba con il sottotitolo Second Apocalypse of Carnage. Credo di averlo ripetuto fino alla nausea ma i primi anni novanta sono fondamentali per la crescita e seguente affermazione di Takashi Miike come regista. Quello stesso anno uscirà Shijuku Triad Society (anche questo credo di averlo ripetuto un' infinità di volte), il suo primo film a diffusione cinematografica, ma Miike avrà modo di dedicarsi ad un nuovo film dell' invincibile guardia del corpo, che per fortuna sarà anche l'ultimo.
Questa nuova avventura è il seguito diretto della precedente: Kiba è ancora a Taipei e guida il dojo locale del Karate Daito mentre fa riabilitazione per la ferita d'arma da fuoco subita nella missione precedente. Nel frattempo giunge un nuovo incarico: la bella attrice Leesyang è minacciata di morta dal suo ex manager, ormai malato di cancro, che lei ha abbandonato una volta raggiunto il successo. Considerata la ferita alla gamba di Kiba, il compito di proteggerla viene affidato a Ryo, ennesimo lottatore del Karate Daito. Ma le minacce verso la giovane Leesyang sono pilotate dal boss della mala Wang che ancora cerca di distruggere la scuola di Daito che, vista la situazione, sarà costretto a scendere in campo lui stesso.
E' appurato che i film di Maki sono fatti con pochi mezzi e anche i contenuti scarseggiano. L' unico vero film della trilogia può essere considerato il primo perché, dal secondo e dal terzo se ne poteva ricavare uno soltanto considerata la loro brevità e delle storie alquanto campate in aria.
Questo terzo capitolo è un pretesto per completare la sottotrama del secondo e dura dieci minuti di più solo perché si è fatto "copia incolla" con un paio di scene prese dal film precedente. Tra l'altro, nonostante il titolo, il buon Kiba viene lasciato in panchina e relegato ad un piccolo e ridicolo (ma lo sono anche gli altri) combattimento verso la fine. La cosa curiosa è che, nonostante l' inutilità che pervade ogni minuto di questo "film", mi sono trovato di fronte al più divertente dei tre per alcuni tocchi di follia che, ci giurerei, sono stati partoriti da quel geniaccio di Miike (come il cadavere che scoreggia ad esempio).
Perciò, se avete voglia e tempo, io vi consiglierei di vederlo per i seguenti motivi:
1) Sentire l'attore che interpreta Kiba recitare in inglese;
2) Sentire l'attore che interpreta il boss dei motociclisti recitare in inglese;
3) Assistere alla più assurda interpretazione registica di una scena di sesso;
4) Gustarvi un inaspettato omaggio alle Iene di Tarantino;
5) Cercare di capire la vera natura dei capelli improponibili del Maestro Daito.
Sono delle ottime ragioni, io vi ho avvisato.
Questa nuova avventura è il seguito diretto della precedente: Kiba è ancora a Taipei e guida il dojo locale del Karate Daito mentre fa riabilitazione per la ferita d'arma da fuoco subita nella missione precedente. Nel frattempo giunge un nuovo incarico: la bella attrice Leesyang è minacciata di morta dal suo ex manager, ormai malato di cancro, che lei ha abbandonato una volta raggiunto il successo. Considerata la ferita alla gamba di Kiba, il compito di proteggerla viene affidato a Ryo, ennesimo lottatore del Karate Daito. Ma le minacce verso la giovane Leesyang sono pilotate dal boss della mala Wang che ancora cerca di distruggere la scuola di Daito che, vista la situazione, sarà costretto a scendere in campo lui stesso.
E' appurato che i film di Maki sono fatti con pochi mezzi e anche i contenuti scarseggiano. L' unico vero film della trilogia può essere considerato il primo perché, dal secondo e dal terzo se ne poteva ricavare uno soltanto considerata la loro brevità e delle storie alquanto campate in aria.
Questo terzo capitolo è un pretesto per completare la sottotrama del secondo e dura dieci minuti di più solo perché si è fatto "copia incolla" con un paio di scene prese dal film precedente. Tra l'altro, nonostante il titolo, il buon Kiba viene lasciato in panchina e relegato ad un piccolo e ridicolo (ma lo sono anche gli altri) combattimento verso la fine. La cosa curiosa è che, nonostante l' inutilità che pervade ogni minuto di questo "film", mi sono trovato di fronte al più divertente dei tre per alcuni tocchi di follia che, ci giurerei, sono stati partoriti da quel geniaccio di Miike (come il cadavere che scoreggia ad esempio).
Perciò, se avete voglia e tempo, io vi consiglierei di vederlo per i seguenti motivi:
1) Sentire l'attore che interpreta Kiba recitare in inglese;
2) Sentire l'attore che interpreta il boss dei motociclisti recitare in inglese;
3) Assistere alla più assurda interpretazione registica di una scena di sesso;
4) Gustarvi un inaspettato omaggio alle Iene di Tarantino;
5) Cercare di capire la vera natura dei capelli improponibili del Maestro Daito.
Sono delle ottime ragioni, io vi ho avvisato.
Wednesday, July 16, 2008
"Shall we begin?"
"Lei sottovaluta l'importanza dell' intrattenimento" dirà Peter ad una terrorizzata Ann, quando quest' ultima gli chiede in lacrime, per quale motivo lei e la sua familgia non vengono ammazzati subito.
L' intrattenimento è importante, Haneke lo sa bene, per questo ci tiene a raggiungere quel pubblico che ama essere intrattenuto. Quale migliore occasione, per un uomo nella cui mente convivono genio e follia, di tentare la più grande delle scommesse, provare, a dieci anni di distanza, a raggiungerlo con il remake del suo Funny Games? L' originale del '97 non ebbe grande visibilità (come il resto della filmografia del regista a dire la verità) ma gli amanti del cinema non solo lo conoscono, ma lo considerano importantissimo per la lucida riflessione che Haneke fa sulla violenza. Un tema senza tempo insomma, che si prestava bene allora e si presta bene oggi, dieci anni più tardi. Il regista di origini tedesche decide di girare il nuovo film "uguale" al precedente, scena per scena, inquadratura per inquadratura, linea di dialogo per linea di dialogo. Cambia l'ambientazione, dall' Europa si passa all' America, terra che, secondo Haneke, è perfetta per raccontare questa storia. Il regista ne fa anche una questione di lingua, l' inglese, da lui stesso definita "il linguaggio della violenza" anche se effettivamente il tema trattato è molto più "universale" e non confinabile unicamente alla lingua anglosassone. La storia è logicamente la stessa, con alcune modifiche dovute allo scarto temporale (il cellulare al posto del cordless) e al cambio d'ambientazione (nel film del '97 Ann non conosceva il numero della polizia mentre in America è praticamente impossibile non conoscere il 911).
Ma i passi per dare al film una portata maggiore sono altri: innanzi tutto un cast di volti noti che fa sempre la differenza (Naomi Watts, Tim Roth e Michael Pitt) e una promozione furba con tanto di trailer ingannevole e continui accostamenti ad Arancia Meccanica. Niente di cui stupirsi comunque, è il mercato cinematografico a funzionare così, ed infatti Funny Games ottiene una distribuzione all' altezza dell' interesse generato. Chi già conosceva il film precedente è stato spinto in sala soprattutto da curiosità, per scoprire poi che il nuovo film ha la stessa invariata forza dell' originale, la stessa carica disturbante. Le sensazioni che trasmette sono identiche, così come il messaggio rimane invariato da dieci anni a questa parte. E il resto del pubblico come si sarà confrontato con un film sicuramente ben lontano dalle aspettative create? Il cinema di Haneke è per sua natura poco accogliente, ha bisogno di essere digerito, elaborato, e chi abitualmente frequenta le nuove frontiere della diffusione cinematografica di massa, i multiplex, è abituato a ben altro (e si intenda questo "ben altro" non per forza in senso dispregiativo). Sono certo (anzi, fiducioso) che il film piacerà a qualcuno, ma agli altri? Chi dal cinema vuole essere semplicemente intrattenuto, come reagirà? Sarà deluso dalla mancanza di violenza esplicita? Troverà ridicolo che Paul si rivolga direttamente a lui o che usi un telecomando per riavvolgere gli eventi? Arriverà alla fine del film o uscirà irritato dagli estenuanti tempi registici di Haneke? La risposta di certo non conta perché, qualsiasi reazione si susciti nel pubblico, li sta la forza geniale di questa operazione. Prive di significato sono le disquisizioni sul senso di questa operazione o sulla sua utilità perché comunque, Haneke ha vinto la sua scommessa, su questo non c'è alcun dubbio.
L' intrattenimento è importante, Haneke lo sa bene, per questo ci tiene a raggiungere quel pubblico che ama essere intrattenuto. Quale migliore occasione, per un uomo nella cui mente convivono genio e follia, di tentare la più grande delle scommesse, provare, a dieci anni di distanza, a raggiungerlo con il remake del suo Funny Games? L' originale del '97 non ebbe grande visibilità (come il resto della filmografia del regista a dire la verità) ma gli amanti del cinema non solo lo conoscono, ma lo considerano importantissimo per la lucida riflessione che Haneke fa sulla violenza. Un tema senza tempo insomma, che si prestava bene allora e si presta bene oggi, dieci anni più tardi. Il regista di origini tedesche decide di girare il nuovo film "uguale" al precedente, scena per scena, inquadratura per inquadratura, linea di dialogo per linea di dialogo. Cambia l'ambientazione, dall' Europa si passa all' America, terra che, secondo Haneke, è perfetta per raccontare questa storia. Il regista ne fa anche una questione di lingua, l' inglese, da lui stesso definita "il linguaggio della violenza" anche se effettivamente il tema trattato è molto più "universale" e non confinabile unicamente alla lingua anglosassone. La storia è logicamente la stessa, con alcune modifiche dovute allo scarto temporale (il cellulare al posto del cordless) e al cambio d'ambientazione (nel film del '97 Ann non conosceva il numero della polizia mentre in America è praticamente impossibile non conoscere il 911).
Ma i passi per dare al film una portata maggiore sono altri: innanzi tutto un cast di volti noti che fa sempre la differenza (Naomi Watts, Tim Roth e Michael Pitt) e una promozione furba con tanto di trailer ingannevole e continui accostamenti ad Arancia Meccanica. Niente di cui stupirsi comunque, è il mercato cinematografico a funzionare così, ed infatti Funny Games ottiene una distribuzione all' altezza dell' interesse generato. Chi già conosceva il film precedente è stato spinto in sala soprattutto da curiosità, per scoprire poi che il nuovo film ha la stessa invariata forza dell' originale, la stessa carica disturbante. Le sensazioni che trasmette sono identiche, così come il messaggio rimane invariato da dieci anni a questa parte. E il resto del pubblico come si sarà confrontato con un film sicuramente ben lontano dalle aspettative create? Il cinema di Haneke è per sua natura poco accogliente, ha bisogno di essere digerito, elaborato, e chi abitualmente frequenta le nuove frontiere della diffusione cinematografica di massa, i multiplex, è abituato a ben altro (e si intenda questo "ben altro" non per forza in senso dispregiativo). Sono certo (anzi, fiducioso) che il film piacerà a qualcuno, ma agli altri? Chi dal cinema vuole essere semplicemente intrattenuto, come reagirà? Sarà deluso dalla mancanza di violenza esplicita? Troverà ridicolo che Paul si rivolga direttamente a lui o che usi un telecomando per riavvolgere gli eventi? Arriverà alla fine del film o uscirà irritato dagli estenuanti tempi registici di Haneke? La risposta di certo non conta perché, qualsiasi reazione si susciti nel pubblico, li sta la forza geniale di questa operazione. Prive di significato sono le disquisizioni sul senso di questa operazione o sulla sua utilità perché comunque, Haneke ha vinto la sua scommessa, su questo non c'è alcun dubbio.
Tuesday, July 15, 2008
"Everyone has something to hide"
Tom Stall conduce una vita tranquilla: durante il giorno gestisce un piccolo locale e la sera torna nelle sua casa in campagna dove lo aspetta la bella moglie e i suoi due figli. Tutto questo cambia quando Tom è costretto ad uccidere con freddezza due serial killer che minacciavano di morte la cameriera e i clienti nel suo bar. Che il nuovo Cronenberg abbia esaltato la critica e diviso il pubblico è cosa certa (ma anche quello vecchio mica scherzava). Che si definisca il nuovo Cronenberg staccato dalla produzione precedente e in cerca di un nuovo registro è invece un analisi forse troppo superficiale. Se da un lato è vero che, dopo eXistenZ le riflessioni sul "corpo" e la "mutazione" non sono più fisicamente percettibili, è vero altresì che queste, in Spider e A History of Violence, non sono assenti ma mostrate ad un livello diverso, più psicologico che "epidermico". Dopo un intro quasi disturbante, Cronenberg ci mostra la vita perfetta di Tom, tanto perfetta da risultare artefatta e irritante. Quando Tom uccide con freddezza i due rapinatori, questa perfezione di facciata si infrange e qualcosa che si era cercato di rimuovere ritorna con forza in superficie. Il riemergere di questo "lato oscuro" lo porterà a confrontarsi con il suo passato e con l'altro se stesso che aveva cercato di "uccidere". Costretto ad affrontare i suoi demoni, si tuffa perfino nell'inferno dal quale era fuggito per liberarsi dai suoi peccati. La sua famiglia da un lato è riluttante ad accettare la verità sul passato di Tom, ma dall'altro è affascinata e attirata da questa violenza: il figlio, dopo l'eroico atto del padre, picchierà con violenza due teppisti dai quali aveva sempre passivamente subito e non avrà remore a sparare nella schiena al killer che sta per uccidere Tom. La moglie, furiosa nel trovarsi di fronte un uomo che quasi stenta a riconoscere, prima lo respingerà con forza, ma poi si concederà a lui in un violento rapporto sessuale. Questo è il quadro dipinto da Cronenberg: una società che si nasconde dietro paraventi di normalità (o in questo caso in un fittizio sogno americano) e rinnega una violenza che è insita nella società stessa, ma rimane nascosta, celata in attesa di qualcosa che accenda la miccia e la faccia deflagrare. Una visione pessimistica quella di Cronenberg che il finale leggermente consolatorio non riesce certo a smorzare: il ritorno al focolare domestico di Tom è un confronto silenzioso con la sua famiglia dalla quale vuole essere accettato. Moglie e figlio rimangono ad occhi bassi, forse più per la vergogna che per altro. Solo la figlia piccola, la cui innocenza le ha permesso di tenere inalterata l'immagine del genitore, lo accoglie preparandogli il posto a tavola per la cena. Una delle scene simbolo di questa pellicola è sicuramente quella che vede coinvolta proprio la figlia piccola di Tom, che si sveglia in piena notte urlando, credendo di aver visto dei mostri nell'armadio. La sua famiglia si stringe attorno a lei cercando di rassicurarla e convincendola che i mostri non esistono. Ma è una bugia, perché i mostri esistono e sono più vicini di quello che si possa pensare.
Monday, July 14, 2008
6-HUNDRED
Uff! Avevo deciso che avrei celebrato una volta arrivato a 1000 post e invece eccomi qui. Il fatto è che nelle scorse settimane ho ricevuto un paio di premi e non trovando posto dove inserirli, ho deciso di approfittare di questo seicentesimo post che diventa così un trionfo dell' autocelebrazione. Ma prima, come di consueto, l' elenco dei nuovi link, pochi ma buoni:
Cogito Ergo Scribo: il nuovo blog di Cassandra che nasce dalle ceneri di quello precedente. Per me sicuramente molto più facile da consultare e da leggere rispetto a Myspace (piattaforma con la quale non vado proprio d'accordo ^__^).
Malatoimmaginario: il blog di Francy è una lettura fresca e leggera. I suoi post, concisi, essenziali, sono veramente irrinunciabili ^__^.
Cinematique: ecco un'altro concittadino che gestisce un cineblog. Le recensioni di Iggy (sia cinematografiche che relative alle serie tv) sono sempre aggiornate e spaziano tra uscite nostrane e internazionali. Completo e piacevole da leggere ^__^.
No Surrender: sorprendente l'affinità cinematografica con Spino, tanto sorprendente da fare quasi paura ^__^. In verità è piacevolissimo trovare altri blogger con i tuoi stessi gusti con i quali è sempre possibile un piacevole confronto ^__^
The Critic: ho conosciuto Rob al FEFF e non è stato difficile capire che di cinema "ne mastica" e pure molto. E' stata una sorpresa leggere le sue recensioni invece, veramente belle e complete ^__^.
Nessuno è Perfetto: il blog di Mr Hamlin era presente nel precedente post commemorativo ma ormai non viene più aggiornato. Questo è quello nuovo creato sulla piattaforma Blogger ^__*.
C'Era una Volta il Cinema: quello di Ale55andra è il cineblog per eccellenza. Aggiornato quotidianamente con recensioni cinematografiche che oscillano tra il classico e l'attuale. Che altro aggiungere se non "leggetelo!" ^__*
Leparolehannogliocchi: il blog di Luca Marra è l'ultimo in ordine cronologico ad essere stato aggiunto e quindi e anche quello che conosco di meno. Ma da quel che ho letto merita a pieni voti la menzione ^__*
Bandeàpart: il blog del circolo cinematografico Bandeàpart che trovate anche al sito http://www.bandeapart.it/
E ancora ultimi ma non ultimi il Blog di Flo, Nobody's Like Me (anche questo di Flo) e il Blog di Christian.
Veniamo ora ai premi:
Ho ricevuto il premio D eci e lode dal buon Nick, con la seguente motivazione: "un occhio attento e critico su quel fantastico mondo parallelo chiamato Cinema."
Per chi non lo sapesse "D eci e lode" è un meme camuffato da premio. Ma siccome pur sempre di un riconoscimento si tratta, lo accetto molto volentieri e lo rigiro ad alcuni illustri "colleghi" blogger, non prima di aver elencato alcune semplici regole da rispettare:
1) Esporre il logo del premio e la motivazione per la quale lo si è ricevuto;
2) Linkare il blog che ci ha assegnato il riconoscimento;
3) Linkare il post originario da cui tutto è cominciato (in questo caso l'ho linkato nel logo stesso);
4) Inserire il regolamento (lo sto facendo in questo momento);
5) Premiare almeno 1 blog motivando la scelta.
Queste regole vanno seguite alla lettera quando ricevete il premio la prima volta.
Ricevuto almeno un premio, si può assegnarlo a propria volta quando e quanti si vuole.
Ed ecco i miei premiati:
CINEROOM: perchè il blog di Para e Chimy e le loro recensioni, sono un vero punto di riferimento tra i cineblog.
Blog Superfluo: perchè ha degli ottimi gusti cinematografici (ma soprattutto perchè ha goduto come me alle scene finali di Iron Man e Hulk ^__*)
Xinematica: premio dovuto per l'affinità nei gusti cinematografici e per i suoi post sempre piacevoli da leggere e commentare.
Di questi ne ho ricevuti due. Uno da Gianluca che è anche l'ideatore del meme e l'altro da Roberto con la motivazione "per le sue rispolverate e i suoi consigli per gli acquisti" cosa che mi lusinga moltissimo ^__^.
Ecco le regolo copiate e incollate direttamente dal post d'origine diligentemente linkato nell' immagine del premio stessa:
1) Bisogna inserire il banner e linkare la pagine originale del meme;
2) Bisogna linkare il blog che ti ha dato il meme;
3) Bisogna linkare altri 6 blog (cifra flessibile) che meritano un premio e, se possibile, spiegare il perché. un blog può ricevere il premio innumerevoli volte!
4) Chi riceverà il meme potrà mettere il banner con la coppa in home page sul lato in modo da far vedere il premio ricevuto a tutti i visitatori!
I miei prescelti sono...pensate veramente che possa selezionare altri sei di voi e mantenere allo stesso tempo la mia sanità mentale? Consideratevi perciò TUTTI PREMIATI, anche perché, se vi ho linkati e vi leggo regolarmente vuol dire che lo meritate ^__*
See ya ^__^
Cogito Ergo Scribo: il nuovo blog di Cassandra che nasce dalle ceneri di quello precedente. Per me sicuramente molto più facile da consultare e da leggere rispetto a Myspace (piattaforma con la quale non vado proprio d'accordo ^__^).
Malatoimmaginario: il blog di Francy è una lettura fresca e leggera. I suoi post, concisi, essenziali, sono veramente irrinunciabili ^__^.
Cinematique: ecco un'altro concittadino che gestisce un cineblog. Le recensioni di Iggy (sia cinematografiche che relative alle serie tv) sono sempre aggiornate e spaziano tra uscite nostrane e internazionali. Completo e piacevole da leggere ^__^.
No Surrender: sorprendente l'affinità cinematografica con Spino, tanto sorprendente da fare quasi paura ^__^. In verità è piacevolissimo trovare altri blogger con i tuoi stessi gusti con i quali è sempre possibile un piacevole confronto ^__^
The Critic: ho conosciuto Rob al FEFF e non è stato difficile capire che di cinema "ne mastica" e pure molto. E' stata una sorpresa leggere le sue recensioni invece, veramente belle e complete ^__^.
Nessuno è Perfetto: il blog di Mr Hamlin era presente nel precedente post commemorativo ma ormai non viene più aggiornato. Questo è quello nuovo creato sulla piattaforma Blogger ^__*.
C'Era una Volta il Cinema: quello di Ale55andra è il cineblog per eccellenza. Aggiornato quotidianamente con recensioni cinematografiche che oscillano tra il classico e l'attuale. Che altro aggiungere se non "leggetelo!" ^__*
Leparolehannogliocchi: il blog di Luca Marra è l'ultimo in ordine cronologico ad essere stato aggiunto e quindi e anche quello che conosco di meno. Ma da quel che ho letto merita a pieni voti la menzione ^__*
Bandeàpart: il blog del circolo cinematografico Bandeàpart che trovate anche al sito http://www.bandeapart.it/
E ancora ultimi ma non ultimi il Blog di Flo, Nobody's Like Me (anche questo di Flo) e il Blog di Christian.
Veniamo ora ai premi:
D eci e Lode
Ho ricevuto il premio D eci e lode dal buon Nick, con la seguente motivazione: "un occhio attento e critico su quel fantastico mondo parallelo chiamato Cinema."
Per chi non lo sapesse "D eci e lode" è un meme camuffato da premio. Ma siccome pur sempre di un riconoscimento si tratta, lo accetto molto volentieri e lo rigiro ad alcuni illustri "colleghi" blogger, non prima di aver elencato alcune semplici regole da rispettare:
1) Esporre il logo del premio e la motivazione per la quale lo si è ricevuto;
2) Linkare il blog che ci ha assegnato il riconoscimento;
3) Linkare il post originario da cui tutto è cominciato (in questo caso l'ho linkato nel logo stesso);
4) Inserire il regolamento (lo sto facendo in questo momento);
5) Premiare almeno 1 blog motivando la scelta.
Queste regole vanno seguite alla lettera quando ricevete il premio la prima volta.
Ricevuto almeno un premio, si può assegnarlo a propria volta quando e quanti si vuole.
Ed ecco i miei premiati:
CINEROOM: perchè il blog di Para e Chimy e le loro recensioni, sono un vero punto di riferimento tra i cineblog.
Blog Superfluo: perchè ha degli ottimi gusti cinematografici (ma soprattutto perchè ha goduto come me alle scene finali di Iron Man e Hulk ^__*)
Xinematica: premio dovuto per l'affinità nei gusti cinematografici e per i suoi post sempre piacevoli da leggere e commentare.
Meme [R]evolution
Di questi ne ho ricevuti due. Uno da Gianluca che è anche l'ideatore del meme e l'altro da Roberto con la motivazione "per le sue rispolverate e i suoi consigli per gli acquisti" cosa che mi lusinga moltissimo ^__^.
Ecco le regolo copiate e incollate direttamente dal post d'origine diligentemente linkato nell' immagine del premio stessa:
1) Bisogna inserire il banner e linkare la pagine originale del meme;
2) Bisogna linkare il blog che ti ha dato il meme;
3) Bisogna linkare altri 6 blog (cifra flessibile) che meritano un premio e, se possibile, spiegare il perché. un blog può ricevere il premio innumerevoli volte!
4) Chi riceverà il meme potrà mettere il banner con la coppa in home page sul lato in modo da far vedere il premio ricevuto a tutti i visitatori!
I miei prescelti sono...pensate veramente che possa selezionare altri sei di voi e mantenere allo stesso tempo la mia sanità mentale? Consideratevi perciò TUTTI PREMIATI, anche perché, se vi ho linkati e vi leggo regolarmente vuol dire che lo meritate ^__*
See ya ^__^
Friday, July 11, 2008
"Dobbiamo registrare tutto, Pablo. Cazzo!"
Angela Vidal conduce il programma "Mentre tu dormi" per una TV locale. In compagnia del suo cameraman Pablo, è impegnata a documentare la vita all' interno di una caserma dei Vigili del Fuoco a stretto contatto con la realtà che vivono i pompieri ogni giorno. Con un po' di fortuna potrà anche partecipare ad un intervento e riprenderli direttamente mentre lavorano. E una chiamata improvvisamente arriva: in un condominio, una signora anziana sembra si sia sentita male all' interno del suo appartamento. Giunti sul posto, quello che doveva essere un semplice intervento di soccorso si rivela qualcosa di molto più pericoloso: la vecchia signora è in preda ad una furia inarrestabile, forse vittima di qualche misteriosa infezione. Fatto sta che tutti gli inquilini, i pompieri e gli stessi Angela e Pablo, sono prigionieri nella palazzina messa in quarantena dall' Autorità Sanitaria. Un unico imperativo "riprendere!" tutto e comunque. La telecamera è l'unico testimone imparziale degli eventi e forse per questo risulta così scomodo, invasivo. Tutto quel che finisce nel suo occhio viene fagocitato, impresso, non può essere rappresentato in nessun altro modo se non in quello in cui è stato catturato. Quello che la telecamera vede è di conseguenza "vero". Le virgolette sono d'obbligo in questo caso perché è comunque di un film che stiamo parlando, anche se le riprese vogliono rendere l' esperienza cinematografica quanto mai simile alla realtà e le immagini sembrare il più veritiere possibile. Come in Cloverfield, tutto è girato con una telecamera a mano, ma se nel film di Matt Reves la realizzazione delle riprese dava l'idea di un lavoro totalmente amatoriale (merito di un precisissimo lavoro di montaggio), in Rec si nota spesso la natura professionale di chi gira. Certo, la telecamera si muove molto, traballa, si agita, ma soprattutto nelle scene più concitate è impossibile non notare come sia sempre puntata "dalla parte giusta". Il motivo è probabilmente da ricercarsi nel fatto che, Balaguerò e Plaza, stanno girando un film di genere che deve seguire regole particolari, a volte aggirabili, altre volte no. Perciò, per creare l'effetto, lo spavento, le riprese con la telecamera perdono un po' della loro "naturalezza" proprio perché fungono da espediente per raggiungere lo scopo voluto. Non che questo sia propriamente un difetto nel caso specifico (anzi!!!), anche perché se non fosse per il particolare metodo di ripresa, Rec sarebbe un film mediocre senza un briciolo di idea originale: infezioni e infetti che corrono e sbraitano con intenti omicidi non sono una novità, per non parlare di un finale che goffamente cerca di dare una spiegazione a quanto sta avvenendo nel palazzo. Ma Balaguerò e Plaza puntano tutto sulla paura e vincono la scommessa perché Rec ne ha parecchia da trasmettere. Consigliata la visione rigorosamente in lingua originale.
Thursday, July 10, 2008
Vagina Dentata, tra mito e mutazione.
Il mito della Vagina Dentata. L' uomo/eroe deve affrontare il mostro/vagina e sconfiggerlo privandolo della sua arma, i denti appunto. Un mito che ha origini antichissime, riconducibili a molte culture diverse ma che fanno tutte riferimento a paura innate per l'unione sessuale. Dawn, la giovane protagonista, è inconsciamente spaventata dal suo corpo che non conosce a fondo (forse non vuole) tanto da diventare accesa sostenitrice di un gruppo che predica la castità prematrimoniale. Almeno finché non conosce Tobey, un ragazzo appena trasferitosi nella sua scuola, che la conquista al primo sguardo. E' proprio con Tobey che Dawn inizia a scoprire che nel suo corpo c'è qualcosa di strano e sarà l' irruento ragazzo a pagarne il prezzo più alto. Su questi rimandi mitologici si fonda una delle chiavi di lettura (forse la più interessante) di Teeth, film del regista e sceneggiatore Mitchel Lichtenstein, che ci porta direttamente ad un'altro argomento strettamente correlato, l' "ansia da castrazione", la paura inconscia che si ha della penetrazione. Brad è il fratellastro di Dawn e non ha mai accettato che il padre si sia risposato con la madre della ragazza. Brad ha quasi perso la sommità del suo dito indice quando da bambino ha provato ad esplorare l' "intimità" di Dawn. Cresciuto, ha rimosso quell' incidente ma il trauma ancora presente si riflette sui rapporti sessuali che ha con la sua attuale ragazza. Licthenstein inserisce questi argomenti in un contesto che ne amplifica la portata: le vicende si svolgono infatti in una piccola cittadina di provincia dove, soprattutto nell' ambiente scolastico, la sessualità, la conoscenza del proprio corpo è affrontata in maniera parziale. Il professore di educazione sessuale ha difficoltà a pronunciare ai ragazzi la parola "vulva" e lo stesso libro di testo mostra apertamente un disegno del pene mentre la vagina è coperta da un vistoso adesivo dorato. Molto azzeccata a questo proposito, la scelta del regista di "giocare" ambiguamente con le immagini, ricorrendo spesso a elementi del quadro facilmente riconducibili a simbologie falliche o vaginali (senza contare il fatto che vengono mostrati esplicitamente i membri mozzati e mai la vulva dentata). Anche se potrebbe sembrare riduttivo, Teeth è classificato come "horror" ed effettivamente il regista non nasconde rimandi ad un certo cinema di genere (il film con gli scorpioni giganti che si vede in televisione) dove la mutazione è un adattamento evolutivo alle condizioni ambientali e le ciminiere fumanti della centrale nucleare che sovrastano la casa di Dawn non lasciano certo spazio a molte interpretazioni. Con qualche incursione macabra nella commedia (il ginecologo si rivolge a Dawn "stai tranquilla, non ti mordo mica") e gustosi momenti gore, Teeth poteva facilmente ridursi ad una boiata colossale, rivelandosi invece una piccola ma piacevole sorpresa.
Wednesday, July 09, 2008
"Cominciamo?"
Anna: "Perché lo fate?"
Peter: "Perché no?"
Una risposta sicura, immediata, proferita con una leggerezza che fa gelare il sangue. D' altronde, perché no? Perché due ragazzi distinti non dovrebbero sequestrare una famiglia benestante, padre, madre e figlio piccolo, e non sottoporla ad una serie di giochi sadici, scommettendo che entro dodici ore saranno tutti e tre morti? Forse cercare un motivo ben preciso è inutile, potrebbe solo servire a farci stare meglio, a dare un senso a tutto quanto.
Quattro uova negate sono un motivo sufficiente? Uno schiaffo allora?
Michael Haneke non sembra volerci fornire una risposta, quanto più che altro mostrarci la natura insensata della violenza senza riprenderla esplicitamente, tenendola fuori campo e forse proprio per questo rendendola ancora più angosciante e terribile. Sceglie accuratamente però le sue "vittime sacrificali", una famiglia alto borghese con tanto di cane, villa in riva al lago e barca. Non credo che fosse nelle intenzioni di Haneke un affondo critico nei confronti di un ceto benestante anche perché, a conti fatti, non ci da modo di conoscerle questa famiglia, di giudicarla anzi, a dirla proprio tutta, ad Haneke di loro non importa proprio nulla. Irrompe nelle loro vite improvvisamente, mentre marito e moglie giocano amabilmente ad indovinare i compositori di alcuni brani di lirica che ascoltano in macchina, con una musica assordante che copre le loro voci. Un espediente disturbante che insinua nello spettatore la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato in quello che stiamo guardando, sensazione che si amplifica quando entrano in scena Paul e Peter con i loro modi educati ma stranamente invadenti.
Ma Haneke non ci vuole solo mettere a disagio, vuole andare ben oltre, vuole renderci partecipi dei giochi dei due ragazzi, vuole renderci loro complici: lo schermo non è più un "divisorio" tra la nostra realtà e quella filmica, ma una "finestra" dalla quale i due giovani ci guardano, ammiccano, chiedono la nostra partecipazione ("secondo voi hanno una qualche possibilità di farcela?"). E la natura del loro sadico divertimento diventa più chiara e si configura come puro intrattenimento per un pubblico (noi) che non vuole che tutto finisca troppo presto. Ma è davvero così? Il dubbio si insinua mentre assistiamo ad un gioco malato al quale "partecipiamo" di nostra volontà nella speranza che le cose possano volgere al meglio. Speranza vana comunque, perché il gioco è truccato, la scommessa può avere un solo esito perché quando sembra che Anna trovi le forze per reagire (e farci sentire un po' meno colpevoli) ecco che spunta fuori un telecomando che riavvolge la "realtà".
Non possiamo che assistere impotenti (noi come la povera protagonista) ad un epilogo già scritto e prendere atto della follia di Michael Haneke che sfocia prepotente nella genialità.
Peter: "Perché no?"
Una risposta sicura, immediata, proferita con una leggerezza che fa gelare il sangue. D' altronde, perché no? Perché due ragazzi distinti non dovrebbero sequestrare una famiglia benestante, padre, madre e figlio piccolo, e non sottoporla ad una serie di giochi sadici, scommettendo che entro dodici ore saranno tutti e tre morti? Forse cercare un motivo ben preciso è inutile, potrebbe solo servire a farci stare meglio, a dare un senso a tutto quanto.
Quattro uova negate sono un motivo sufficiente? Uno schiaffo allora?
Michael Haneke non sembra volerci fornire una risposta, quanto più che altro mostrarci la natura insensata della violenza senza riprenderla esplicitamente, tenendola fuori campo e forse proprio per questo rendendola ancora più angosciante e terribile. Sceglie accuratamente però le sue "vittime sacrificali", una famiglia alto borghese con tanto di cane, villa in riva al lago e barca. Non credo che fosse nelle intenzioni di Haneke un affondo critico nei confronti di un ceto benestante anche perché, a conti fatti, non ci da modo di conoscerle questa famiglia, di giudicarla anzi, a dirla proprio tutta, ad Haneke di loro non importa proprio nulla. Irrompe nelle loro vite improvvisamente, mentre marito e moglie giocano amabilmente ad indovinare i compositori di alcuni brani di lirica che ascoltano in macchina, con una musica assordante che copre le loro voci. Un espediente disturbante che insinua nello spettatore la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato in quello che stiamo guardando, sensazione che si amplifica quando entrano in scena Paul e Peter con i loro modi educati ma stranamente invadenti.
Ma Haneke non ci vuole solo mettere a disagio, vuole andare ben oltre, vuole renderci partecipi dei giochi dei due ragazzi, vuole renderci loro complici: lo schermo non è più un "divisorio" tra la nostra realtà e quella filmica, ma una "finestra" dalla quale i due giovani ci guardano, ammiccano, chiedono la nostra partecipazione ("secondo voi hanno una qualche possibilità di farcela?"). E la natura del loro sadico divertimento diventa più chiara e si configura come puro intrattenimento per un pubblico (noi) che non vuole che tutto finisca troppo presto. Ma è davvero così? Il dubbio si insinua mentre assistiamo ad un gioco malato al quale "partecipiamo" di nostra volontà nella speranza che le cose possano volgere al meglio. Speranza vana comunque, perché il gioco è truccato, la scommessa può avere un solo esito perché quando sembra che Anna trovi le forze per reagire (e farci sentire un po' meno colpevoli) ecco che spunta fuori un telecomando che riavvolge la "realtà".
Non possiamo che assistere impotenti (noi come la povera protagonista) ad un epilogo già scritto e prendere atto della follia di Michael Haneke che sfocia prepotente nella genialità.
Tuesday, July 08, 2008
LA RAGAZZA CHE SALTAVA NEL TEMPO - COLLECTOR'S LIMITED EDITION - (R2 - ITALIA)
Bisogna sempre mettere in evidenza i prodotti d'animazione giapponese che riescono ad arrivare in Italia soprattutto se accompagnati da edizioni dvd di assoluto interesse collezionistico come quella de La Ragazza che Saltava nel Tempo.
Prodotto dalla francese Kaze (e figurati se l'iniziativa era nostra) e distribuita dall' italianissima Pan, il film di Momoru Hosoda arriva in una doppia edizione: una Limited in 2 dvd e la Collector's numerata (solo 1000 pezzi per l' Italia) che è anche quella che esaminiamo qui.
Le caratteristiche tecniche FONDAMENTALI sono rispettate (audio originale in doppia codifica, sottotitoli e video nel corretto formato rigorosamente anamorfico) ed in più troviamo il doppiaggio italiano, tedesco e francese con i rispettivi sottotitoli. Gli extra, anche se distribuiti su due supporti, non sono particolarmente approfonditi e si concentrano su varie interviste piuttosto che "entrare" in profondità nella realizzazione tecnica del film. Ma quello che rende questa confezione imperdibile per appassionati e collezionisti, sono il bellissimo libro con gli storyboard (ben 472 pagine!!!), un libretto di 24 pagine (con schede del cast tecnico e dei personaggi) e un pezzo della pellicola del film.
Trattandosi di un' edizione numerata il prezzo è "da mani nei capelli" (siamo molto vicini ai 60 Euro) ma bisogna tenere presente del valore dei contenuti accessori (soprattutto lo storyboard) per un eventuale acquisto.
Unica nota negativa è relativa all' adattamento dei menù italiani che la Kaze deve aver fatto usando il traduttore di Google. Pensate che la voce "trailer" nei menù del primo disco, è stato tradotto (ma perché???) con un tristissimo "rimorchi". Soprassediamo, meglio così che niente.
Caratteristiche Generali e Tecniche
Produttore: Kaze
Distributore: Pan Distribuzione
Video: 1.77:1 anamorfico
Audio: Italiano, Francese, Giapponese, Tedesco Dolby Digital Stereo; Francese, Giapponese, Tedesco Dolby Digital 5.1
Sottotitoli: Italiano, Francese, Tedesco
Extra: Disco 1 - trailer; Disco 2 - Presentazione del team all' anteprima giapponese, Intervista a Mamoru Hosoda, Backstage - videoclip cantato da Hanako Oku, Trailers; Disco 3 - Festival Internazionale dei film d'animazione di Annecy 2007: Intervista a Mamoru Hosoda, Intervista al produttore Takashi Watanabe, Intervista a due tra Mamoru Hosoda e Takashi Watanabe, Conferenza stampa
Regione: 2 Italia
Confezione: cofanetto
Contenuti Cofanetto:
Digipak contente 1 DVD per il film e 2 DVD per gli extra
1 Booklet di 24 pagine
1 pezzo di pellicola
Storyboard del film di 472 pagine
Prodotto dalla francese Kaze (e figurati se l'iniziativa era nostra) e distribuita dall' italianissima Pan, il film di Momoru Hosoda arriva in una doppia edizione: una Limited in 2 dvd e la Collector's numerata (solo 1000 pezzi per l' Italia) che è anche quella che esaminiamo qui.
Le caratteristiche tecniche FONDAMENTALI sono rispettate (audio originale in doppia codifica, sottotitoli e video nel corretto formato rigorosamente anamorfico) ed in più troviamo il doppiaggio italiano, tedesco e francese con i rispettivi sottotitoli. Gli extra, anche se distribuiti su due supporti, non sono particolarmente approfonditi e si concentrano su varie interviste piuttosto che "entrare" in profondità nella realizzazione tecnica del film. Ma quello che rende questa confezione imperdibile per appassionati e collezionisti, sono il bellissimo libro con gli storyboard (ben 472 pagine!!!), un libretto di 24 pagine (con schede del cast tecnico e dei personaggi) e un pezzo della pellicola del film.
Trattandosi di un' edizione numerata il prezzo è "da mani nei capelli" (siamo molto vicini ai 60 Euro) ma bisogna tenere presente del valore dei contenuti accessori (soprattutto lo storyboard) per un eventuale acquisto.
Unica nota negativa è relativa all' adattamento dei menù italiani che la Kaze deve aver fatto usando il traduttore di Google. Pensate che la voce "trailer" nei menù del primo disco, è stato tradotto (ma perché???) con un tristissimo "rimorchi". Soprassediamo, meglio così che niente.
Caratteristiche Generali e Tecniche
Produttore: Kaze
Distributore: Pan Distribuzione
Video: 1.77:1 anamorfico
Audio: Italiano, Francese, Giapponese, Tedesco Dolby Digital Stereo; Francese, Giapponese, Tedesco Dolby Digital 5.1
Sottotitoli: Italiano, Francese, Tedesco
Extra: Disco 1 - trailer; Disco 2 - Presentazione del team all' anteprima giapponese, Intervista a Mamoru Hosoda, Backstage - videoclip cantato da Hanako Oku, Trailers; Disco 3 - Festival Internazionale dei film d'animazione di Annecy 2007: Intervista a Mamoru Hosoda, Intervista al produttore Takashi Watanabe, Intervista a due tra Mamoru Hosoda e Takashi Watanabe, Conferenza stampa
Regione: 2 Italia
Confezione: cofanetto
Contenuti Cofanetto:
Digipak contente 1 DVD per il film e 2 DVD per gli extra
1 Booklet di 24 pagine
1 pezzo di pellicola
Storyboard del film di 472 pagine
Monday, July 07, 2008
LOST - SEASON 04 -
TITOLO ORIGINALE: LOST
TITOLO ITALIANO: LOST
NUMERO EPISODI: 14
Poi c'è stato lo sciopero degli sceneggiatori e le sedici puntate previste per la quarta stagione sono diventate otto.
Lo sciopero si è concluso a stagione avviata e i produttori sono riusciti a portare a quattordici gli episodi da trasmettere.
Questa breve ma doverosa introduzione per mettere bene in evidenza che, nonostante vari rimaneggiamenti, la quarta stagione di Lost è una bomba. Avere un limite di episodi per dare una degna conclusione alla serie, ha portato gli sceneggiatori ad ingranare una marcia diversa rispetto a quella tenuta fin' ora che fondamentalmente accumulava elementi narrativi districando la complessissima matassa della storia un poco alla volta, arrivando addirittura a momenti eccessivamente dispersivi e lenti (la prima parte della terza stagione). Qui invece si procede decisi e senza intoppi: nella prima parte (i primi otto episodi) scopriamo chi sono gli Oceanic Six, i sei che hanno lasciato l'isola, risolvendo uno degli interrogativi lasciati in sospeso dall' emozionante finale della terza stagione. Nella seconda parte ci verrà rivelato invece come i Sei hanno lasciato l' isola, scopriremo chi c'è dentro la bara (colpo di scena incredibile!!!) e ci verrà fatto intuire cosa ci aspetta nella prossima stagione. Non posso che sottolineare, per l'ennesima volta, la cura con cui sono scritti tutti gli episodi, la maniera in cui tutti i tasselli presto o tardi vengano a combaciare anche su diversi livelli temporali (ormai la serie si muove agilmente tra passato, presente e futuro).
Nonostante spuntino stazioni Dharma come funghi, l' isola continua ad essere avvolta da un profondo alone di mistero ed è soprattutto la figura di Jacob a rappresentare uno degli enigmi più accattivanti, insieme al "fumo nero" di cui ancora, dopo quattro stagioni, sappiamo ben poco.
Cosa ci appetterà in futuro? Bé, con un cast sempre più ridotto (scelta apprezzabile) ed un furbissimo scarto temporale (tre anni, dalla partenza dall' isola al finale della terza e quarta stagione) che permetterà agli sceneggiatori di continuare a giocare abilmente con i flashback, credo che ne vedremo delle belle, sempre che la quinta stagione continui a mantenere alto il livello qualitativo. Dubbi in merito non ne ho, ma non si sa mai.
TITOLO ITALIANO: LOST
NUMERO EPISODI: 14
-TRAMA-
Il sacrificio di Charlie ha permesso ai sopravvissuti del volo 815 di mettersi in contatto, attraverso un telefono satellitare, con una nave che potrebbe trarli in salvo. Ma è proprio Charlie con le sue ultime forze a mettere in guardia Desmond sul fatto che la nave dei soccorsi non è quella della sua amata Penelope. Nel frattempo anche Locke cerca di impedire che venga fatta quella chiamata che, parole testuali di Ben, sarà l' inizio della fine.-COMMENTO-
Prima c'è stato il calo degli ascolti durante la terza stagione, costato a Lost un ultimatum da parte del network che si è tradotto in tre stagioni da sedici episodi ciascuna per portare le serie alla sua conclusione.Poi c'è stato lo sciopero degli sceneggiatori e le sedici puntate previste per la quarta stagione sono diventate otto.
Lo sciopero si è concluso a stagione avviata e i produttori sono riusciti a portare a quattordici gli episodi da trasmettere.
Questa breve ma doverosa introduzione per mettere bene in evidenza che, nonostante vari rimaneggiamenti, la quarta stagione di Lost è una bomba. Avere un limite di episodi per dare una degna conclusione alla serie, ha portato gli sceneggiatori ad ingranare una marcia diversa rispetto a quella tenuta fin' ora che fondamentalmente accumulava elementi narrativi districando la complessissima matassa della storia un poco alla volta, arrivando addirittura a momenti eccessivamente dispersivi e lenti (la prima parte della terza stagione). Qui invece si procede decisi e senza intoppi: nella prima parte (i primi otto episodi) scopriamo chi sono gli Oceanic Six, i sei che hanno lasciato l'isola, risolvendo uno degli interrogativi lasciati in sospeso dall' emozionante finale della terza stagione. Nella seconda parte ci verrà rivelato invece come i Sei hanno lasciato l' isola, scopriremo chi c'è dentro la bara (colpo di scena incredibile!!!) e ci verrà fatto intuire cosa ci aspetta nella prossima stagione. Non posso che sottolineare, per l'ennesima volta, la cura con cui sono scritti tutti gli episodi, la maniera in cui tutti i tasselli presto o tardi vengano a combaciare anche su diversi livelli temporali (ormai la serie si muove agilmente tra passato, presente e futuro).
Nonostante spuntino stazioni Dharma come funghi, l' isola continua ad essere avvolta da un profondo alone di mistero ed è soprattutto la figura di Jacob a rappresentare uno degli enigmi più accattivanti, insieme al "fumo nero" di cui ancora, dopo quattro stagioni, sappiamo ben poco.
Cosa ci appetterà in futuro? Bé, con un cast sempre più ridotto (scelta apprezzabile) ed un furbissimo scarto temporale (tre anni, dalla partenza dall' isola al finale della terza e quarta stagione) che permetterà agli sceneggiatori di continuare a giocare abilmente con i flashback, credo che ne vedremo delle belle, sempre che la quinta stagione continui a mantenere alto il livello qualitativo. Dubbi in merito non ne ho, ma non si sa mai.
-DVD-
Il cofanetto R1 della Season 04 è previsto per dicembre 2008. A seguire, quello europeo.
Sunday, July 06, 2008
Lyric of the Week + Video / BASEMENT JAXX - WHERE'S YOUR HEAD AT?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Don't let the walls
Cave in on you
We can't evolve alone
Without you
Don't let the walls
Cave in on you
We can't evolve alone
Without you
Don't let the walls
Cave in on you
You get what you give
That much is true
Don't let the walls
Cave in on you
You turned the world away
From you
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
You have found yourself
Trapped in this
Incomprehensible maze
Where's your head at?
Where's your head at?
Don't make it easy on yourself
Where's your head at?
Got to get
Got to get
Got to get
Got to get
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Where's your head at?
Don't let the walls
Cave in on you
We can't evolve alone
Without you
Don't let the walls
Cave in on you
We can't evolve alone
Without you
Where's your head at?
Where's your head at?
We can't evolve alone
Without you
We can't evolve alone
Without you
Friday, July 04, 2008
Ti ci dovrebbero seppellire nella Valle di Elah, caro Haggis...
Hank è un vecchio militare in pensione che ormai da anni si occupa di trasporto ghiaia. Un giorno riceve una telefonata dal comando militare, che lo avverte dell'assenza ingiustificata di suo figlio Mike al suo rientro dall' Iraq. Mike non si presenta all' appello da diversi giorni e questo potrebbe costargli un rapporto dei suoi superiori. Hank parte subito alla sua ricerca ma il corpo di Mike viene trovato qualche giorno più tardi, fatto a pezzi e bruciato. Aiutato dalla detective Emily Sanders, Hank si metterà alla ricerca dai colpevoli. Ormai è ufficiale: io e Paul Haggis non andremo mai d'accordo. Dopo la delusione di Crash - Contatto fisico, mi trovo a fare i conti con il secondo film del regista americano e ancora una volta mi sento come se fossi stato preso in giro. Anche questa volta, l'argomento trattato dal suo film, è scottante, difficile, scomodo: si parla della guerra in Iraq, dei suoi soldati, del modo in cui la guerra li cambia. Ma si parla anche del modo in cui una certa America con i paraocchi, si pone nei confronti di questa guerra. Haggis affronta il discorso attraverso il personaggio di Hank (interpretato da un Tommy Lee Jones al quale non si può muovere proprio nessuna critica) ed il simbolismo della bandiera rovesciata: all' inizio del film Hank vede la bandiera issata al contrario e la rimette nella posizione corretta. Alla fine del film, con in mano la bandiera speditagli dal figlio dall' Iraq, Hank la rimetterà al contrario. Il personaggio di Hank affronta un percorso interiore che lo porterà a riconsiderare la sua posizione, come padre e come ex membro delle Forze Armate. Questa "inversione" si riflette nel ribaltamento della bandiera che può essere intesa anche come "richiesta d'aiuto" di una Nazione che ha mandato progressivamente i suoi valori ed i suoi Figli al macero in una guerra senza scopo, senza speranza. Peccato che tra l'inizio e la fine del film ci sia il nulla assoluto (o quasi): l'approccio registico, così come quello sceneggiativo, appare fin troppo dispersivo e diliuto: due ore di film sono decisamente troppe soprattutto se si vuole portare un messaggio che appare chiaro e lampante senza gli inutili giri a vuoto con cui Haggis ci sfianca. Il linguaggio risulta freddo e distaccato e considerata la delicatezza dell' argomento, la scelta poteva anche essere quella corretta. Tutto sembra invece perfettamente calcolato per condurci ad un finale che tra paralleli con la Bibbia e rigurgiti di retorica, vuole a tutti i costi suscitare emozioni e commozione in maniera tanto disonesta quanto irritante. Appare quindi fin troppo evidente che quando c'è un Regista valido all' opera (e qui mi riferisco a Clint Eastwood) il discutibile metodo di scrivere di Paul Haggis viene contenuto ed arginato con risultati eccellenti (Million Dollar Baby e Flags of our Fathers), cosa che non succede quando tutto il film è in mano sua, anzi i difetti vengono addirittura amplificati. Davide/Haggis affronta nuovamente il gigante Goliah/Cinema e il sasso/film gli si ritorce contro. Film quasi indifendibile.
Thursday, July 03, 2008
Vampiri artici
Barrows, una piccola cittadina in Alaska, si prepara ai 30 giorni di notte polare che l'aspettano. Gran parte dei suoi abitanti parte verso mete più accoglienti mentre un centinaio di persone rimangono in città. Quale migliore occasione, per una tribu di vampiri, di banchettare allegramene con l' ignara popolazione di Barrows? Ma soprattutto, serve altro come "base" per tirar su un film horror fatto come si deve? No, non credo. C'è tutto in fondo: una cittadina sperduta nel nord degli USA immersa nella neve, un manipolo di cittadini belli pronti a farsi massacrare e un gruppo meno consistente (ma non per questo meno pericoloso) di creature fameliche. Il regista David Slade lavora su di una sceneggiatura tratta dall' omonima graphic novel (30 Days of Night in originale) adattata dallo stesso autore. Non avendola letta, non so dire quanto questo adattamento sia fedele, quanto sia stato preso dalle pagine del fumetto e quanto invece sia stato inventato di sana pianta. Sembra comunque che il materiale di partenza sia molto interessante ( i vampiri hanno sempre un fascino molto particolare) e il risultato finale è più di quello che mi aspettassi. Il problema più grosso con la maggior parte delle produzioni horror è che sono facilmente dimenticabili, che dopo la visione non facciamo il minimo sforzo per cercare di conservarne il minimo ricordo. 30 Giorni di Buio non rientra tra questi e pur non essendo affatto privo di difetti, ci sono diversi elementi che ricorderò con piacere. Innanzitutto la storia non si dilunga in spiegazioni di sorta, non ci dice da dove vengano i vampiri per esempio, ma ce lo fa intuire (la nave che si vede all' inizio?). Si concentra invece nell' accumulare la tensione mostrando come sistematicamente, con una perfetta strategia da invasione, la città viene isolata dal resto del mondo. Trenta perfetti minuti in cui si crea nello spettatore un forte senso di attesa per quello che sappiamo sta per arrivare. Ma anche quando il film ingrana la marcia dello splatter funziona a meraviglia: tra sangue a fiotti e teste mozzate, un paio di sequenze risultano veramente azzeccate e mi riferisco alla panoramica aerea della città mentre avviene la carneficina o la sequenza all'emporio dove i sopravvissuti vengono attaccati dalla bambina-vampiro (da incubo!!!). La forza del film sta proprio nel vedere l'uomo inerme di fronte ad una minaccia che non può capire e che non ha la forza di affrontare se non cercando un luogo sicuro dove passare i giorni prima della prossima alba...questo fino ad un quarto d'ora dalla fine almeno. Se si può passare sopra a certe ingenuità (non si ha la sensazione che i giorni passino perché i protagonisti non appaiono trasandati e sfiancati come dovrebbero) e a dei personaggi abbastanza inutili (ma tanto sono carne da macello, che importa!) non è accettabile un finale un po' troppo frettoloso e appiccicato a forza tanto per mettere in scena il confronto tra i due leader ideali di entrambe le razze, che appare decisamente troppo fiacco e involuto. Peccato aver smarrito quel bel sentiero solido e sicuro, battuto tra neve, fiamme e sangue, tantissimo sangue.
Wednesday, July 02, 2008
How about a shave?
Mai prima d'ora Tim Burton si era confrontato con un personaggio così nero, completamente svuotato dalla sua umanità, un uomo trasformato da quindici anni di prigione scontati senza avere nessuna colpa, solo per soddisfare il capriccio di un giudice senza scrupoli che si appropria della sua donna e di sua figlia. Sweeney Todd è una creatura di pura malvagità, pietà e compassione non gli appartengono più, impossibile per lui qualsiasi contatto umano se non quello con il sangue delle sue vittime con il quale si ricopre. Impossibile perché le sue mani sono sostituite dagli unici amici che gli sono rimasti, dei luccicanti rasoi d'argento. Il rapporto che instaura con Miss. Lovette è di pura convenienza, freddo, distante, anche se la donna sogna con lui una vita diversa, lontana da Londra.
Ma Londra è Sweeney Todd. Sweeney Todd è Londra. Non può esistere l'uno senza l'altro. Dante Ferretti ricrea per Burton la città inglese ad immagine e somiglianza del "diabolico barbiere". Quando ancora la sua vità era quella comune a qualsiasi altra persona, Londra appariva solare, calda, colorata. Ora è diversa, di un grigiore quasi soffocante: Sweeney Todd ci riflette la sua oscurità, la sua rabbia. Il suo desiderio di vendetta si rivolge contro ogni cittadino, tutti colpevoli ai suoi occhi. Il sangue schizza copioso dalle gole delle sue vittime, piove dal cielo e riempie le fogne. I morti per sua mano, diventano carne per sfamare le sue prossime ed ignare vittime. I forni di Miss. Lovette bruciano quel che resta dei corpi ed un fumo pestilenziale impregna l'aria. Personaggio e scenografia diventano così indissolubili, un' amalgama perfetta.
Indissolubile è la prolifica collaborazione tra un Burton per certi versi inedito, e un Johnnie Depp sempre più "malleabile" nel trasformarsi per le visioni del geniale regista. Un' amalgama perfetta risulta la fusione di generi che opera Burton, un musical macabro che gronda sangue sin dai titoli di testa fino ad un finale che di "burtoniano" ha ben poco: cupo, senza speranza. Due figure si riuniscono dopo anni, non è l'amore a riavvicinarli ma la morte, dispensata e subita. Si ritrovano e l'unico sorriso che si scambiano è quello delle loro gole lacerate.
Ma Londra è Sweeney Todd. Sweeney Todd è Londra. Non può esistere l'uno senza l'altro. Dante Ferretti ricrea per Burton la città inglese ad immagine e somiglianza del "diabolico barbiere". Quando ancora la sua vità era quella comune a qualsiasi altra persona, Londra appariva solare, calda, colorata. Ora è diversa, di un grigiore quasi soffocante: Sweeney Todd ci riflette la sua oscurità, la sua rabbia. Il suo desiderio di vendetta si rivolge contro ogni cittadino, tutti colpevoli ai suoi occhi. Il sangue schizza copioso dalle gole delle sue vittime, piove dal cielo e riempie le fogne. I morti per sua mano, diventano carne per sfamare le sue prossime ed ignare vittime. I forni di Miss. Lovette bruciano quel che resta dei corpi ed un fumo pestilenziale impregna l'aria. Personaggio e scenografia diventano così indissolubili, un' amalgama perfetta.
Indissolubile è la prolifica collaborazione tra un Burton per certi versi inedito, e un Johnnie Depp sempre più "malleabile" nel trasformarsi per le visioni del geniale regista. Un' amalgama perfetta risulta la fusione di generi che opera Burton, un musical macabro che gronda sangue sin dai titoli di testa fino ad un finale che di "burtoniano" ha ben poco: cupo, senza speranza. Due figure si riuniscono dopo anni, non è l'amore a riavvicinarli ma la morte, dispensata e subita. Si ritrovano e l'unico sorriso che si scambiano è quello delle loro gole lacerate.
Tuesday, July 01, 2008
Un nuovo inizio per Batman OVVERO aspettando Il Cavaliere Oscuro
"Batman Begins" perchè? Perché, dopo cinque film, ricominciare dall' inizio? Perché, e qui siamo a prova di smentita, le due (a quanto pare una non bastava) pagliacciate imbastite da Joel Schumacher avevano ucciso cinematograficamente il personaggio. Per riportare Batman sul grande schermo era necessaria una rinascita, un adattamento ai giorni nostri che avesse la forza di dare alla sua figura il giusto spessore, la giusta immagine. Il progetto fu affidato a Christopher Nolan, regista al suo primo film "d'azione" ma che si trova perfettamente a suo agio a raccontare personaggi ambigui, vittime delle loro ossessioni: chi meglio di lui allora poteva raccontare la storia di un uomo roso dal desiderio di vendetta che nasconde la sua identità dietro una maschera? Forse qualcuno ci sarebbe anche potuto essere, ma Nolan si è rivelato all' altezza del compito. Uniformandosi allo standard attuale dei supereroi cinematografici, che vede importanti registi dare un'immagine matura dei personaggi rappresentati, anche Nolan lavora profondamente sulla figura "umana" di Bruce Waine: tormentato dal pensiero che le sue paure abbiano causato la morte dei genitori, Bruce cerca nella vendetta e nella rabbia di soffocare il senso di colpa. Ed è così che comincia la sua caduta. La sua rinascita avviene invece sul "tetto del mondo", L' Himalaya, nella scuola della Setta delle Ombre dove impara a governare le sue paure, a trarne forza. E' qui che capisce che può usare la sua paura contro gli altri, che la sua paura può diventare il simbolo che salverà Gotham dall' autodistruzione. Fondamentale quindi, nella visione di Nolan, dare anche all' alter-ego di Bruce Waine il giusto spessore in modo da far apparire plausibile e motivato il suo vestirsi da uomo-pipistrello e dare un senso preciso alla maschera stessa. La sceneggiatura sceglie una strada pericolosa e potenzialmente suicida (scelta che mi sento di appoggiare completamente) dedicando molto tempo alla formazione dell' uomo dietro la maschera e facendo comparire Batman solo dopo un ora di film. La seconda ora è dedicata invece alle gesta dell' eroe ed è in questi sessanta minuti che il fim mostra il fianco a qualche difetto probabilmente dovuto all' inesperienza di Nolan nel gestire i tempi cinematografici del genere. Comunque, tra scazzottate (anche qui Nolan deve sicuramente prenderci la mano) e inseguimenti in auto (la nuova Batmobile è tanto bella quanto tamarra), c'è di che soddisfare quel desiderio di pura azione che una pellicola di questo tipo per forza di cose accende. Un Batman tutto nuovo insomma, con un cast nuovo anch' esso che vede Chrstian Bale nei panni di Bruce Waine e del suo alter ego, Micheal Cane nel ruolo del maggiordomo Alfred e Gary Oldman in quello del "non ancora" commissario Gordon. Il ruolo dell' amica d'infanzia di Bruce è toccato a Katie Holmes che personalmente, con quella sua boccuccia sempre storta, non sopporto proprio. Liam Neeson e Chillian Murphy interpretano i "cattivi", rispettivamente il mentore di Bruce, Ra's Al Ghul e Lo Spaventapasseri. Curioso e interessante che la scelta degli antagonisti di Batman sia ricaduta su questi due e non sul suo nemico storico di cui sentiamo parlare solo alla fine del film, di cui vediamo l'inconfondibile "firma". Un avvertimento per quel che verrà.
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