Friday, February 29, 2008

IMMENSI

Che si voglia intendere film, attori, interpretazioni, personaggi...fate un po' voi. In una parola:
IMMENSI!

Thursday, February 28, 2008

"I have a competition in me. I want no one else to succeed. I hate most people."

There Will Be Blood. "Scorrerà il sangue" potete starne certi, perché è di petrolio che stiamo parlando, l'anima nera dell' uomo. Dai primi del '900 ad oggi nulla è cambiato: il petrolio è l'ago della bilancia nei rapporti politico-economici mondiali. Per l'oro nero tanto sangue si è versato e tanto ancora se ne verserà. Si può dire che il mondo come lo conosciamo oggi (ma soprattutto l' America) è stato forgiato da uomini come Daniel Plainview che hanno cacciato il petrolio come segugi, che hanno scavato la terra arida e dura con le mani, che hanno versato sudore e si sono rotti le ossa al buio, da soli, nei pozzi.
There Will Be Blood. Non potrebbe essere altrimenti. Perché i grandi imperi sono costruiti sul sangue, il debole è schiacciato dal più forte perché quest' ultimo sa sfruttare le loro debolezze, in questo caso l'avidità. E sfruttando l' avidità che Daniel ottiene per due soldi una fattoria il cui terreno galleggia sul petrolio. E' così che conquista la piccola comunità di Little Boston, promettendo ricchezze, promettendo di portare prosperità in una terra dove neanche il grano riesce a crescere. A far da tramite tra Daniel e la comunità c'è il giovane Eli Sunday, sedicente profeta in realtà asservito al dio denaro, più interessato alle ricchezze che il petrolio potrebbe portare piuttosto che alla crescita della sua Chiesa.
There Will Be Blood. Il nuovo attesissimo film di Paul Thomas Anderson è GRANDE. La storia si concentra nell'arco di circa trent'anni ma in realtà arriva molto più in la. "Il Petroliere" (così è stato tristemente ribattezzato qui da noi) è ambientato nel passato ma guarda dritto ai nostri giorni e punta il dito contro la società americana di oggi. La regia di Anderson è impeccabile come al solito e arriva a toccare la perfezione in alcune sequenze di una potenza visiva non facilmente descrivibile, molte delle quali raggiungono la completezza grazie alle musiche di Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead, che mette il suo talento completamente a servizio del film. Daniel Day Lewis regge praticamente tutto il film sulle sue spalle. La sua interpretazione, la sua stessa presenza, è talmente "ingombrante" che sembra voler divorare tutto e tutti. Un po' come il "suo" Daniel Plainview e il suo desiderio di possedere tutto ciò su cui posa lo sguardo, di essere sempre un passo avanti ai suoi diretti concorrenti anche se questo lo isola anche dagli affetti più cari (esemplare il complesso rapporto con il figlio H.W.). Anche il giovane Paul Dano, che già aveva convinto nel ruolo praticmaente muto in Little Miss Sunshine, interpreta egregiamente il ruolo di Eli Sunday anche se (e credo che in parte sia per esigenze di sceneggiatura) rimane decisamente all' ombra del grande Day Lewis.
There Will Be Blood. C'è una scena in particolare che spiega alla perfezione le emozioni che trasmette questo film: l'esplosione del pozzo. Una sequenza magnifica dove Daniel Plainview assiste, ricoperto di petrolio dalla tesa ai piedi, alla colonna di fuoco che dal terreno punta dritto al cielo. E sorride nonostante il figlio sia rimasto ferito nell' esplosione perché sa di aver trovato un giacimento dal valore inestimabile. Ed è così che rimaniamo anche noi, imbambolati di fronte a tanta magnificenza, sorridiamo perché abbiamo trovato anche noi qualcosa di prezioso e non ci importa più niente di dove siamo e di cosa ci circonda.

NOTE A MARGINE: adesso che ho visto sia il film dei Coen che quello di Paul Thomas Anderson, stabilire chi fosse il più meritevole dei due ad aggiudicarsi l' Oscar per il Miglior Film è comunque molto difficile. Sono entrambi FILM importanti per i quali la statuetta andrebbe divisa.

Wednesday, February 27, 2008

DEXTER - SEASON 02 -

TITOLO ORIGINALE: DEXTER
TITOLO ITALIANO: DEXTER
NUMERO EPISODI: 12

-TRAMA-
La vita di Dexter è cambiata. Perdere l'ultimo legame con la sua vera famiglia, l'unica persona che lo capisse veramente, l'unica persona con la quale non era necessario nascondere il suo lato oscuro, l'unica persona con la quale poter essere se stesso ha messo confusione in tutto quello che il padre adottivo gli ha insegnato. In una situazione così delicata cosa potrebbe succedere se il più grande dei suoi segreti venisse alla luce?

-COMMENTO-
Ci sono delle cose bellissime e perfette. Se le si vuole mantenere in questo status, è necessario che rimangano uniche, c'è poco da fare. Questo vale per tutto tranne che per Dexter. Dopo una prima stagione MEMORABILE, la seconda si mantiene sugli stessi altissimi livelli arrivando addirittura a superarla. Come è stato possibile raggiungere questo risultato (ringraziando il cielo che lo sciopero degli sceneggiatori non ha coinvolto anche Dexter)? Mantenendo inalterato quanto di buono fatto nei primi dodici episodi, è bastato lavorare su due elementi in particolare:
a) una storia avvincente che non lascia spazio ad alcun punto morto. Dexter messo alle strette, braccato da amici e colleghi, disorientato da cambiamenti improvvisi, costretto ad affrontare il proprio lato oscuro ad accettarlo e a calare definitivamente la maschera, sono tutti elementi con i quali gli sceneggiatori hanno imbastito la trama di questa stagione. Tutto in sole 12 puntate che, se non fosse per ovvi motivi fisiologici, andrebbero guardate tutte d'un fiato senza interruzione...specialmente le ultime sei: semplicemente favolose!
b) l'inserimento di nuovi personaggi. Non molti ma fondamentali. Innanzitutto c'è Lyla, un nuovo personaggio femminile che porterà molti cambiamenti nella vita di Dexter e che si svilupperà in maniera sorprendente. Poi c'è il detective Lundy dell' FBI, inviato a Miami per catturare "Il Macellaio di Bay Harbour". E' la nemesi naturale di Dexter e se questa fosse tutta un'altra serie, sarebbe lui l'eroe, non c'è alcun dubbio (anche per il rapporto che instaura con Deb).
Insomma una promozione a pieni voti che lascia intuire una probabile terza stagione.

-DVD-
Al momento non è previsto nessun cofanetto per la seconda stagione.

Tuesday, February 26, 2008

YOU CAN'T STOP WHAT'S COMING

Da quanto lo aspettavo? Forse da quando ne ho sentito parlare la prima volta. Forse da quel Ladykillers che aveva fatto temere un pericoloso avvicinamento da parte di Ethan e Joel Coen ad un tipo di cinema mainstream che non gli appartiene. Ma sono disposto a considerare Ladykillers un piccolo passo falso assolutamente perdonabile perchè il loro ultimo lavoro, No Country For Old Men ripaga di tutto. I fratelli Coen adattano per lo schermo il romanzo di Cormac McCarthy e ci portano in quel Texas di cui già ci raccontarono nel loro film d'esordio Blood Simple. Una terra di confine desolata e violenta che diventa teatro di un' atroce storia di sangue. Durante una battuta di caccia Llewelyn Moss si imbatte casualmente in uno scambio di droga finito male. Cadaveri dappertutto ed un' invitante valigia piena di soldi che il ragazzo decide di portarsi a casa. Peccato che ci sia chi è disposto a tutto per avere indietro il denaro, anche assoldare il peggior killer psicopatico che ci sia in circolazione, Anton Chigurh. Il vecchio sceriffo Ed Tom Bell incappa suo malgrado tra le trame di questa brutta storia e pur mantenendosi a distanza cerchera di fare il possibile per aiutare Llewelyn ad uscirne sano e salvo.
C'è tutto il cinema dei Coen in questo film, la loro impronta registica è in ogni sequenza così come quell'umorismo grottesco che arriva a darci respiro quando la tensione sembra insostenibile. Perché a differenza dei loro film precedenti, forse Fargo è quello che gli si avvicina di più, veniamo immersi sin dai primissimi minuti in una realtà cupa e violenta dove ogni azione ha le sue conseguenze per tutti, colpevoli e innocenti. Anche qui come in Fargo un mucchio di soldi richiama il sangue come le api al miele. Llewelyn si ritrova con una fortuna tra le mani, una di quelle che ti cambiano la vita, e pur non rinunciando alla sua umanità (torna indietro per dissetare il trafficante ferito) l'avidità condurrà lui e chi gli sta vicino alla rovina. Anton Chigurh (interpretato magistralmente da uno stepitoso Javier Bardem) è la diretta conseguenza delle azioni di Llewelyn. La sua presenza terribile e inquietante incombe per tutto il film (perfino nella locandina), il suo sguardo toglie il fiato, la sua voce gela il sangue. Non si parla di pura malvagità qui. Anton Chigurg è la morte con fattezze umane e non impugna una falce ma una "pistola" ad aria compressa da macellaio. Poi c'è il cuore del film: lo sceriffo Ed Tom Bell (un Tommy Lee Jones in grandissima forma). "Non è un paese per vecchi" Ed lo sa bene questo. Una vita lunga alle spalle, il volto segnato dagli anni, l' esperienza di chi è venuto prima di lui. E' lui che ci dice dove siamo (all' apertura del film) e dove inevitabilmente andremo tutti (in uno dei più bei finali degli ultimi tempi). E' Il mondo ad essere cambiato diventando incomprensibile o sta semplicemente invecchiando ed è stanco? Intuisce subito cosa sta succedendo perché ne ha viste di cose, forse pure troppe, e gli piacerebbe tanto restarne fuori questa volta. Tenta comunque di salvare chi ancora può essere salvato perché, che lo si voglia o meno, "non si può fermare quello che sta arrivando". Film magnifico al di la degli Oscar.

Monday, February 25, 2008

L' annata sarà anche ottima, il film invece...

Ah! E' dura la vita del broker in una grande città come Londra. Un lavoro che non lascia spazio per altro, che trasforma le tue priorità in un continuo "compra", "vendi", "soldi", "soldi" e ancora "soldi". Un mondo cinico e spietato fatto per uomini cinici e spietati. Max Skinner è uno di questi, anzi si può dire che è uno dei migliori e per questo nell' ambiente è parecchio odiato. Un giorno riceve la notizia che uno zio che non vedeva più da quasi dieci anni è morto. Non avendo lasciato nessun testamento, come parente più prossimo Max acquisisce la proprietà dello zio: uno splendido casale in Provenza con tanto di vigna, luogo dove da bambino Max ha passato delle splendide estati in compagnia dello zio, forse i momenti più felici della sua vita. Fatto sta che il primo pensiero di Max è rivolto a quello che si potrebbe guadagnare dalla vendita della proprietà. Recatosi in Francia per vedere in che stato si trovano il casale e la vigna, scopre che lo zio ha una figlia illegittima che potrebbe rovinare i suoi piani di vendita. Ma i ricordi di quelle estati che improvvisamente lo assalgono e una bella fanciulla del luogo di cui si innamora, mettono in discussione tutte le sue priorità, tutto quello che ha costruito nella sua vita fino ad allora.
Capita che grandi registi a volte si dedichino a progetti piccoli, quasi l'opposto delle grandi produzioni nelle quali siamo abituati a vederli impegnati, magari perché no, una di quelle brillanti commedie sofisticate che piacciono tanto a pubblico e critica. Be' A Good Year (Un' Ottima Annata nell'adattamento italiano) non rientra certo in questa categoria ma è più facilmente assimilabile a quelle commediole di stampo classico tanto prevedibili da esser quasi rassicuranti. Il tutto si riduce semplicemente ad un "se vuoi i soldi rinuncia all tua vita. Se vuoi riappropriarti della tua vita, dimenticati i soldi" ne più ne meno. Lo svolgimento, come da manuale, non riserva la benché minima sorpresa così come il lieto fine intuibile da prima che il film raggiunga la sua metà. Ed è un vero peccato, lasciatemelo dire, perché il personaggio di Max (interpretato da Russell Crowe) è uno stronzo di prima categoria (lui stesso si definisce così) e questo me lo ha reso simpatico praticamente da subito. Peccato che poi si ravveda e perda tutto il suo fascino. Naturalmente Scott non è li a fare il pagliaccio e il suo apporto al film si vede eccome: tutta la regia (così come la fotografia) gioca sui contrasti tra la fredda e piovosa Londra e la calda e solare campagna francese. Inutile dire che quest'ultima è ritratta in tutta la sua strabiliante bellezza. Nonostante il titolo, il vino occupa una parte veramente marginale nella vicenda. A quel punto è meglio riguardarsi Sideways di Alexander Payne che, diciamocelo chiaramente, è un film di tutt'altra caratura.

Sunday, February 24, 2008

Lyric of the Week + Video / CROSBY & NASH - SIMPLE MAN


I am a simple man
So I sing a simple song
Never been so much in love
And never hurt so bad at the same time.
I am a simple man
And I play a simple tune
I wish that I could see you once again
Across the room like the first time.
I just want to hold you I don't want to hold you down
I hear what you're saying and you're spinning my head around
And I can't make it alone.
The ending of the tale
Is the singing of the song
Make me proud to be your man only you can make me strong
Like the last time.
I just want to hold you I don't want to hold you down
I hear what you're saying and you're spinning my head around
And I can't make it alone.

Friday, February 22, 2008

Lascia che l'immaginazione ti renda libero...

Lo scafandro. Il corpo che diventa immobile prigione dello spirito e di una mente vigile. L'occhio è l'unica finestra che da all'esterno, che permette di guardare e di comunicare al mondo che c'è ancora vita all' interno del guscio. Tutto appare diversamente: i volti di donne e amici sembrano bellissimi, la luce che illumina le cose è calda e avvolgente.
La farfalla. Una scoperta dopo la disperazione e l'accettazione. La mente può viaggiare. I ricordi e le fantasie possono portarti ovunque oltre il tempo e lo spazio. Il corpo non è una barriera insormontabile ma solo una fragile crisalide al cui interno una farfalla è pronta a librarsi in volo, il battito delle palpebre come quello delle ali.
Jean-Dominique Bauby, caporedattore della rivista Elle, viene colto da un ictus a neanche cinquant'anni d'età rimanendo completamente paralizzato dalla testa in giu. Solo l'occhio e la palpebra sinistra si salvano diventando a tutti gli effetti l'unico suo "mezzo" per raggiungere il mondo. Attraverso una dura riabilitazione, Jean-Do impara una nuova forma di comunicazione che si basa sui movimenti della sua palpebra che gli permette non solo di dare forma ai suoi pensieri ma di dettare il libro dove racconta la sua storia, "Lo Scafandro e La Farfalla", da cui il regista Julian Schnabel ha tratto il film omonimo.
La pellicola si apre con il risveglio di Jean- Do dal coma. Appare subito evidente che lo scopo della regia di Schnabel è quello di costringere lo spettatore ad immedesimarsi con la tragica condizione di Jean-Do attraverso l'uso della soggettiva (forzata e limitata al campo visivo dell'occhio sinistro) del protagonista per gran parte del film. Viviamo insieme a lui la tragica scoperta della sua paralisi, la disperazione nel vedere il proprio occhio destro cucito perchè ormai immobile come il resto del corpo, la frustrazione nell'avere i propri pensieri prigionieri, la difficoltà nell'imparare a comunicare di nuovo. Una scelta registica claustrofobica ma efficace nel catturare ed immobilizzare lo spettatore, rendendogli impossibile muoversi o distogliere lo sguardo dallo schermo. Straordinario l'apporto che luci e colori danno alle immagini merito dell' esperta fotografia di Janusz Kaminski che abbiamo già imparato a conoscere ed apprezzare nei film di Steven Spielberg.
Ma al di la del suo innegabile valore tecnico ed estetico, Lo Scafandro e La Farfalla ha il grandissimo pregio di non rientrare in quella categoria di film che, pur mostrando apertamente il dolore e la sofferenza di chi si trova affetto da gravi handicap fisici, vogliono suscitare emozioni in modo furbo e poco onoesto. E' sorprendente come il film di Schnabel raggiunga il cuore di chi guarda con scene dalla disarmante semplicità come quella dell'anziano padre che in lacrime parla con il figlio sapendo che non avrà nessuna risposta. Commovente e bellissimo, non serve aggiungere altro.

Thursday, February 21, 2008

Kitano dove sei?

L'idilliaco rapporto tra il CINEMA e Kitano si è rotto. Non è certo una mia deduzione ma un'ammissione chiara e senza mezzi termini che il regista giapponese fa al termine del suo ultimo lavoro (ma sarà corretto chiamarlo così?) Glory to the Filmmaker: Kitano è dal dottore per un check up e dalla scansione del suo cervello fatta con la Tac si vede una macchina da presa che va in frantumi. Se questo è vero allora che senso ha, dopo Takeshis' (quasi un folle "Bignami" del suo cinema), un film come questo? Si parla di "suicidio artistico" e non sarebbe la prima volta. Il geniale regista di pellicole come Violent Cop, A Scene at the Sea e Sonatine, frustrato dal non veder riconosciuto il suo talento drammatico dal pubblico giapponese che lo considera unicamente come "Beat Takeshi il comico", porta in sala Gettin' Any?, film dalla comicità grottesca e demenziale. Alla luce di questo, il terribile incidente in cui rimane coinvolto qualche tempo dopo, non sembra casuale ma segna comunque il momento della sua rinascita e della definitiva consacrazione come regista di fama mondiale. Oggi Kitano non sembra più così fragile da mettere addirittura a repentaglio la propria vita anzi, è pienamente cosciente di quello che fa mettendo insieme una pellicola composta da tanti progetti cinematografici abortiti, tanti tentativi di fare un nuovo film che spaziano dallo stra-abusato gangster movie al dramma sentimentale, dal film storico alla commedia nonsense. A differenza del precedente Takeshis', questa volta Kitano si fa in tre: c'è il Takeshi Kitano regista, l'attore Beat Takeshi e un pupazzo dalle sembianze dello stesso Kitano. Quest' ultimo diventa l'alter ego di Beat e il capo espiatorio dei fallimenti del Kitano regista. Prima della confessione finale di cui parlavo poco sopra, Kitano usa il pupazzo per nascondersi (all' inizio, la visita medica e la Tac la fa il fantoccio) e per nascondere quello che dopo la visione appare evidente: Kitano ci dice chiaramente che non ha più stimoli ne ispirazione per fare film. Glory to the Filmmaker è una pellicola oggettivamente brutta e indifendibile. Tra citazioni ed autocitazioni si avverte a sprazzi la presenza del vecchio Kitano in alcune gag veramente esilaranti (tre in tutto), ma niente di più. Lo stesso regista è consapevole di questo e alla fine decide di distruggere tutto e tutti con una bella meteora. Questo film è quasi una pugnalata al cuore che Kitano infligge a chi come me ha sempre amato il suo lavoro. E' una cosa di cui non mi capacito e nutro la flebile speranza che si tratti di un gigantesco scherzo che il Maestro ci sta tirando. Speranza alimentata da quell' ultima scena dopo titoli di coda: in un piccolo e sgangherato cinema di campagna, lo stesso Kitano proietta Kid Return, film che decretò il suo ritorno dopo l'incidente che lo vide coinvolto. Dobbiamo quindi aspettarci un "altro" grande ritorno? O la pellicola che brucia è segnale inequivocabile dell' esatto contrario? L'unica cosa certa è un terzo film (anche Kitano ha la sua trilogia) con il quale cercherà di dare il colpo di grazia alla sua carriera. Ed io rimango basito, non capisco e piango in silenzio.

Wednesday, February 20, 2008

La "Colazione" mi è rimasta sullo stomaco

"Mah!". Ripenso a Breakfast on Pluto di Neil Jordan e questo è tutto quello che mi viene da dire. Perplessità, certo. Perplessità e disappunto sono le parole giuste per descrivere ciò che mi ha lasciato questo film di cui tanto avevo sentito parlare. Ed è noto che più alte sono le aspettative più cocente è la delusione che ne può derivare.
Il film di Jordan racconta la storia di Patrick "Kitten" Brady, nato dalla relazione "proibita" tra un prete e la sua governante e abbandonato ancora in fascie sulla soglia della parrocchia di un piccolo paese irlandese. Viene affidato ad una famiglia con la quale cresce ma alla quale non sente di appartenere. La sua innata propensione al vestirsi da donna e la sua manifestà omosessualità non lo aiutano a farsi accettare dalla famiglia adottiva e dalla piccola comunità cattolica. Alieno tra i terrestri, decide allora di andarsene e di trasferirsi a Londra dove spera di trovare la madre che anni addietro lo abbandonò.
La storia di Patrik è narrata in prima persona dal protagonista quasi come se stesse raccontando una favola (ci sono perfino i pettirossi che citano Oscar Wilde) con tanto di suddivisione in capitoli. Questa atmosfera fiabesca che ben si sposa con il personaggio così fuori dagli schemi (almeno per quei tempi) fa a pugni con la triste e sanguinosa realtà dell' Irlanda durante gli anni 70. Penso che lo scopo di Jordan fosse quello di far amalgamare questi due aspetti, renderli quasi una cosa sola, ma non ci riesce e finisce per perdere le redini di entrambi. Forse per questo il film mi ha lasciato "freddino" senza riuscire mai a coinvolgermi se non in brevi e sporadici momenti. Un vero peccato.
Non tutto è da buttare però: la colonna sonora è bella, bella, bella e ancora bella, minuziosamente ricercata per identificare ancora meglio gli anni in cui si svolge la vicenda narrata. Poi c'è la straordinaria interpretazione di un Cillian Murphy mai così bravo nel ricoprire il ruolo di un personaggio non certo facile. Vale al pena guardare Breakfast on Pluto per queste cose? Diciamo di si, ma di sicuro non basta a farmelo piacere.

Tuesday, February 19, 2008

Love, Reign O'er Me...

Il film si apre con la macchina da presa che segue un uomo a bordo di una specie di monopattino a motore. Aspetto trasandato, cuffie sulle orecchie, sfreccia fra le strade semi deserte di una New York notturna sulle note di Simple Man di Crosby e Nash. Il suo nome è Charlie e fino a qualche anno prima la sua vita era diversa: laureato in odontoiatria, sposato con tre figlie. Il destino ha voluto che, il fatidico 11 settembre 2001, le donne della sua vita fossero su uno degli aerei che si schiantarono sulle torri. In quel giorno la sua vecchia vita finisce e ne comincia una nuova. Charlie si impone di non ricordare e non pensare a quello che è successo, facendo finta che le persone che amava non siano mai esistite. Nega il suo dolore così come i ricordi e si immerge in un mondo tutto suo, fatto di lavori di restauro, playstation e una collezione sterminata di dischi in vinile. Un giorno incontra Alan Johnson un suo ex compagno di università che stenta a riconoscere. Alan si è laureato anche lui in odontoiatria, lavora in uno studio e si barcamena tra una paziente un po' troppo "affezionata" e una famiglia che lo soffoca. L'incontro con Charlie rappresenta per lui una via di fuga, una valvola di sfogo tanto desiderata. Ma più frequenta Charlie, più cresce in lui la voglia di aiutare l'amico a liberarsi dell' enorme peso che da anni si porta dietro. E se Charlie non volesse essere liberato? Il film scritto e diretto da Mike Binder è uno di quelli che può essere considerato "minore". Non so in madrepatria, ma qui da noi ha avuto un trattamento di questo tipo: passaggio praticamente in sordina al cinema (non ricordo di averlo visto dalle mie parti) e approdo quasi diretto per l'home video. Eppure il film di Binder è una piacevole sorpresa. La pellicola poggia le basi sulla tragedia dell' 11 settembre 2001 senza voler utilizzare questo evento in maniera pedante e retorica ma anzi lasciandolo sullo sfondo (la data viene nominata una sola volta in tutto il film, le altre volte si fa riferimento ad un disastro aereo) e si concentra sui personaggi, sull'amicizia che li lega e su come si compensino a vicenda. Alan si sente in dovere di aiutare Charlie e involontariamente riceve dall'amico la spinta per cambiare quello che non va nella sua vita. Un film tutto sommato onesto che qualche volta scivola in maniera troppo telefonata nel drammatico, ma che offre le piacevoli interpretazioni di Don Cheadle e di un Adam Sandler che stupisce vedere in un ruolo drammatico. A rischio spoiler dico che il film finisce come è iniziato, ma questa volta sul monopattino a motore c'è Alan che torna dalla sua famiglia dalal quale si era allontanato sulle note di Love Reign O'er Me degli Who. Il cerchio si chiude.

Monday, February 18, 2008

BLADE RUNNER - 5 DISC ULTIMATE COLLECTOR'S EDITION - (ITALY - R2)

Finalmente! Bisogna proprio dirlo FINALMENTE! Sono anni che gli estimatori della pellicola di Scott si gingillano con la Director's Cut di Blade Runner, unica versione (datata 1992) che la Warner ha potuto pubblicare, e sulla quale il contributo del regista è stato minimo. Per una questione di diritti, nelle mani dei produttori esecutivi del film, tutte le versioni precedenti sono rimaste nel limbo. Con lo sforzo congiunto della Warner, Scott è riuscito a riottenere tutti i diritti sulle varie edizioni del film e di poterle pubblicare insieme alla SUA versione definitiva, la Final Cut. Il tutto arriva a noi voraci utenti in una edizione da collezione clamorosa: in 5 dischi Scott è riuscito ad inserire le cinque versioni esistenti del film (Versione cinematografica USA e internazionale, Directors Cut, Final Cut e la rasissima versione Workprint) e una valnga di extra tra cui diversi commenti audio che, da triste tradizione Warner, non sono sottotitolati. Inclusi nella confezione, un booklet di 16 pagine, una lettera di Ridley Scott per la presentazione di questa edizione, un set di 8 cartoline e una scena "olografica" del film. Edizione eccellente insomma. Rimane solo un po' di rammarico per non essere riuscito ad avere la Deckart Briefcase Limited Edition!

Caretteristiche Generali e Tecniche
Produttore: Warner
Distributore: Warner
Video: 2.40:1 anamorfico
Audio: Final Cut - Italiano, Inglese, Francese Dolby Digital 5.1; Versione cinematografica USA 1982, Versione cinematografica internazionale 1982, Director's Cut 1992 - Italiano, Inglese, Francese Dolby Surround 2.0, Inglese Dolby Digital 5.1; Versione Workprint - Inglese Dolby Digital 5.1
Sottotitoli: Final Cut - Italiano (anche non udenti), Inglese, Francese, Olandese; Versione cinematografica USA 1982, Versione cinematografica internazionale 1982, Director's Cut 1992 - Italiano (anche non udenti), Inglese, Francese, Olandese; Versione Workprint - Inglese, Italiano, Tedesco (anche non udenti), Spagnolo, Olandese, Danese, Norveggese, Polacco, Svedese
Extra: Disco1 - Introduzione di Ridley Scott, 3 commenti audio; Disco2 - Documentario "Dangerous Days"; Disco3 - Introduzione di Ridley Scott alle tre versioni; Disco4 - Contenuti Speciali (incluse featurette, scen inedite o alternative e trailers) divisi in tre macro sezioni INIZIO, CREAZIONE, LONGEVITY; Disco5 - Introduzione di Ridley Scott, commento audio, featurette "All variant features" sulle diverse versioni del film.
Regione: 2 Italia
Confezione: cofanetto

Contenuti cofanetto:
1 DVD Final Cut
1 DVD documentario Dangerous Days
1 DVD Versione cinematografica USA e internazionale 1982, Director's Cut 1992
1 DVD contenuti speciali
1 DVD Versione Workprint
Lettera di Ridley Scott
Scena dal film
Booklet di 16 pagine
Set di 8 cartoline










Sunday, February 17, 2008

Lyric of the Week + Video / STARSAILOR - ALCOHOLIC


Don't you know you've got your Daddy's eyes?
Daddy was an alcoholic,
But your mother kept it all inside,
Threw it all away,
I was looking for another you,
And I found another one,
I was looking for another you,
When I looked round by you were gone,

Stand by my side,
And the pipe dream is yours now,
Stand by my side,
And the singer won't get in our way,

Don't you know you've got your Daddy's eyes?
And Daddy was an alcoholic,
But your mother kept it all inside,
Threw it all away,
I was looking for another you,
And I found another one,
I was looking for another you,
When I looked round by you were gone,

Stand by my side,
And the pipe dream is yours now,
Stand by my side,
And the cynics won't get in our way,

Don't you know you've got your Daddy's eyes?
Daddy was an alcoholic,
But you mother kept it all inside,
Threw it all away,
I was looking for another chance,
See your blue eyed problem.

Friday, February 15, 2008

Thursday, February 14, 2008

PARLAMI DI 'STA CIPPA MUCCINO!!!

Di solito non faccio queste cose, soprattutto quando ho un post già bello che pronto, ma oggi mi sento di riportare e commentare parte di un intervista fatta a Silvio Muccino dal sito Exite Italia (l'intervista completa qui):

Che ne pensi del fenomeno dei cineblog? Ne leggi qualcuno in particolare, li trovi interessanti?
Diciamo che sono anni che ho smesso da un po' con questa pratica masochista. Internet è bellissimo, perché ognuno può dire ciò che vuole. Tuttavia spesso mi sono trovato a leggere cose scritte da persone che parlano senza alcun titolo di cose che non conoscono. Ho letto molte falsità sul mio conto. Ti faccio un esempio: in questo momento sto vivendo uno dei periodi più felici della mia vita. Uno di questi siti internet ha messo in circolazione la falsa notizia secondo cui sarei depresso, ed ora sono in molti a dare questa notizia.


Quindi tu non sei d'accordo con alcune iniziative che stanno tantando di coinvolgere maggiormente i cine-bloggers con anteprime e altre iniziative. Non vedi possibile una maggiore integrazione tra critica ufficiale e bloggers?
Il problema è che il critico quando scrive qualcosa si assume delle responsabilità, i bloggers non rischiano niente, possono dire ciò che vogliono. L'impressione che molto spesso ho avuto è che parlassero per sentito dire, seguendo delle chiacchiere di corridoio.


Non so se considerare il mio un "cineblog". Certo il cinema occupa forse il 90% del mio piccolo spazio web, ma la mia è l' "esperienza" di un autodidatta. Ma facciamo finta che lo sia perchè sento che questa cosa tocca anche me. Comunque leggo molti di quelli che possono andare orgogliosi di essere chiamati cineblog e in nessuno di questi ho mai letto notizie sulla presunta depressione del piccolo Muccino.
Forse l'avrà scritto qualcuno in quelle centinaia di cineblog che non leggo. Forse. O forse il buon Silvio non sa proprio di che cazzo sta parlando e confonde i blog che si occupano di cinema con quelli di gossip. La vita privata non si tocca, per carità, su quello siamo d'accordo. Ma anche se qualche blog di cinema avesse parlato di questa depressione poi smentita, troppo comodo puntare il dito contro tutti caro Silvio, troppo comodo.
E poi cosa significa "Il problema è che il critico quando scrive qualcosa si assume delle responsabilità, i bloggers non rischiano niente, possono dire ciò che vogliono"? I critici accreditati sono pagati per quello che fanno ed assumersi responsabilità per quello che scrivono mi sembra il minimo. Noi (dai, mi ci butto in mezzo pure io) lo facciamo per passione, per condividere con gli altri le nostre considerazioni sul cinema e in tasca non ci viene niente. Però se la cosa ti disturba, dicci tu cosa possiamo o non possiamo scrivere. Parla a voce alta però perchè sarà difficle sentirti in mezzo al coro di pernacchie che ti dedicheremo.
Anzi visto che ormai hai smesso con questa "pratica masochista" continua così. Io intanto metto le mani avanti:


Se mai dovessi capitare da queste parti almeno non perdi tempo.

Wednesday, February 13, 2008

"IT'S HUGE! IT'S ALIVE!"


CLOVERFIELD E':
1) UN GUSTOSO GIOCATTOLONE CINEFILO PER CINEFILI: Tutta l' ambiguità dei trailer viene cancallata dopo i primi venti minuti, forse superflui ma che aiutano a creare la giusta atmosfera. Al termine di questa "introduzione" il film si mostra per quello che è: un disaster movie con tanto di mostro. Un monster/disaster movie o in qualsiasi modo vogliate chiamarlo, con tutte le dovute citazioni del caso. Il film risponde a tutti i canoni richiesti dal genere inclusi morte e distruzione (con evidentissimi e molto criticati richiami alla tragedia dell' 11 settembre 2001). Anche i personaggi si comportano come da manuale, andando in bocca (o sarebbe meglio dire "nelle fauci"?) al pericolo invece di correre nella direzione diametralmente opposta. Naturalmente non mancano neanche i militari impotenti pronti a fare "tabula rasa". C'è poco da storcere il naso a mio avviso, perchè un genere deve essere comunque fedele a se stesso. Ma veniamo alla forma nella quale il film è presentato. All'inizio della pellicola alcune scritte ci avvisano che quello che stiamo per vedere è un filmato preso da una memoria SD di una videocamera digitale ritrovata nella ormai ex-Manhattan. In effetti Cloverfield è tutto qui: un lungo video amatoriale della notte in cui un mostro gigantesco ha attaccato New York. La cosa di per se non è una novità visto che ci sono dei precedenti e se proprio non vogliamo tirare in ballo The Blair Witch Project, non possiamo fare un balzo ancora più lungo indietro nel tempo fino a Cannibal Holocaust. Entrambi i film citati però, si proponevano come documentari e qui la cosa è leggermente diversa. Cloverfield è a tutti gli effetti figlio dei nostri giorni. Oggi tutto viene ripreso da telefonini, fotocamere, videocamere e diffuso grazie alle tecnologie on-line. Chi più, chi meno siamo tutti in possesso dei mezzi per farlo e non mi sembra tanto azzardato dire che potenzialmente siamo tutti "registi dell' attimo" pronti a catturare il momento, forse per puro spirito voyeur o forse solo per protagonismo. Hud incarna perfettamente questo tipo di persona: all' inizio è riluttante a prendere in mano la videocamera per registrare i messaggi d'addio all'amico Rob ma quasi subito viene "assorbito" dal mezzo, dal quale non si separa più fino alla fine (la sua). La febbre da video (una vera malattia dei nostri tempi) lo porta ad accollarsi il compito e la responasabilità di testimoniare secondo per secondo, quello che succede senza perdere nulla, senza distogliere il suo "sguardo" anche dalle cose più crude. Esemplare al scena dove inquadra un soldato sventrato e rivolgendosi chissà a chi (probabilmente a noi spettatori) dice "non guardate, è disgustoso". Naturalmente si avverte la finzione in queste riprese, troppo cinematografiche per essere considerate amatoriali (nonostante i movimenti traballanti e concitati creino il giusto disturbano e un' adeguata tensione) ma l'effetto finale e le basi su cui si posa l'idea del film, non risultano compromesse. Per finire, ho trovato veramente bello come l' importanza del "presente" sia tale da cancellare e sovrascrivere il passato che diventa come un flashback (Lost insegna) tra le incisioni digitali.
2) UN MOSTRUOSO PRODOTTO DI MARKETING: Anzi sarebbe corretto dire di Viral Marketing. Virale, contagioso, che si diffonde di conseguenza tra i mezzi di comunicazione e poi direttamente al pubblico. Il tutto è cominciato con un trailer che lasciava immaginare di tutto e un sito web con alcune enigmatiche foto. Le informazioni sono state rilasciate pian piano (incluso il titolo definitivo del progetto) e si è arrivati fino ai finti servizi di telegionale, in tante lingue diverse, che documentavano il misterioso abbattimento di una stazione petrolifera nel mezzo dell' Oceano Atlantico. L'unica cosa che non è mai stata rivelata è la presenza e le sembianze del mostro. Incredibile come siano riusciti a tenerle nascoste fino all' uscita del film nelle sale, dimostrando di essere completamente padroni dei mezzi di comunicazione informatici. Insomma una ramificata operazione che ha sortito sul pubblico l'effetto dovuto. Poi, che si sia apprezzato il risultato finale (io l'ho apprezzato) è tutto un altro discorso. Comunque non credo che ci sia nessun altro come J.J. Abrams, in grado di creare hype come fa lui per i suoi progetti.
3) UN FILM CON UN MOSTRO GIGANTESCO: "mangiava le persone...mangiava le persone..." questa frase mi risuona ancora nella mente. Perchè fondamentalmente sono un bamboccio e ai bambocci piacciono i mostroni. Ma la cosa che mi fa veramente piacere è scoprire che non sono l'unico bamboccio a questo mondo che impazzisce per i mostroni. Cloverfield ha un aspetto puramente ludico che non dovrebbe essere sottovalutato. Insomma, qui c'è un mostro di dimensioni ragguardevoli che cammina tra i palazzi, li abbatte e come se non bastasse partorisce dei terribili mostri ragno dal morso infetto. E di fronte a tutto questo la mente di un bamboccio non può che lavorare ed immaginarsi cosa succederebbe se il mostro di
The Host dovesse affrontare il mostro di Cloverfield. Con molta probabilità il primo soccomberebbe perchè un Mostro Grosso nulla può contro un Mostro Enorme. Pura goduria.

NOTE A MARGINE: giusto un paio di cose. Se avete avuto la pazienza di leggere tutto, vi ringrazio e vi invito a leggervi il bellissimo
doppio post degli amici Para e Chimy su Cineroom. E magari fate anche un salto su http://cloverfield-italia.blogspot.com/. Forse vi interessera scoprire cosa dice la voce dopo i titoli di coda o se effettivamente il mostro era più di uno. Oppure scoprire che durante le scritte iniziali compare per un decimo di secondo nell'angolo in basso a destra dello schermo IL SIMBOLO DELLA DHARMA, PRECISAMENTE QUELLO DELLA STAZIONE PERLA!!! Diavolo di un Abrams...
Poi ieri al cinema è successa una cosa strana. Quando si sono riaccese le luci, tutti in sala si sono messi a ridere al che io imbarazzato ho detto al caro Deiv che forse era meglio se ridevamo anche noi perchè probabilmente non avevamo colto il lato comico e potevamo sembrare due cretini.

Tuesday, February 12, 2008

Sui binari di Hideaki Anno per raggiungere Ritual

Se escludiamo drammoni sentimentali e commedie adolescienziali (alcune tutt'altro che disprezzabili, per carità, ma anche un po' tutte uguali) il cinema giapponese moderno si eleva con pochi ma significativi registi che rientrano nella ristrettissima cerchia dei miei "preferiti". In pratica occupano il limitato numero di posti in questa categoria quei registi che sono riusciti a distinguersi con il loro personalissimo modo si fare cinema. Con Ritual, uscito nel 2000, Hideaki Anno non solo entra nel nuovo millennio sfondando la porta ma si aggiudica un posto a vita in questa cerchia insieme a Miike, Tsukamoto e Kitano. I protagonisti di questa storia non hanno nome ma potrebbero chiamarsi come gli attori che li interpretano visto che la scelta non sembra essere stata per nulla casuale. Lui è un regista (interpretato dal regista Shunji Iwai al quale manca veramente poco per entrare nella cerchia di cui parlavo prima) in crisi creativa, lontano dalla sua città in cerca di chissà quale ispirazione. Passeggiando per la ferrovia incontra una strana ragazza (Ayako Fujitani, figlia di Steven Segal e non a caso autrice del romanzo da cui Anno ha tratto la sceneggiatura del film), pesantemente truccata, ombrello rosso al fianco, sdraiata sui binari. Il regista affascinato da questa "figura", decide di seguirla e giorno dopo giorno si rende conto dello strano mondo in cui la ragazza è prigioniera, un mondo occupato da lei soltanto dove ogni giorno è uguale al precedente, dove il domani non arriva mai, è sempre "oggi". Ogni giorno la ragazza fa le stesse cose, vede gli stessi posti in un rituale che si ripete all'infinito.
Ritual è un film che si presta a diversi piani di lettura. Ad una prima visione sono principalmente due quelli ad apparire evidenti, ma il film di Anno è complesso ed andrebbe visto più volte e metabolizzato con calma. In Ritual Anno ci parla del cinema in generale, ma probabilmente ci rivela molto del suo cinema. Lo fa attraverso la figura e le riflessioni del Regista/Iwai che decide di girare un film su questa ragazza che tanto lo incuriosisce "Anche i film di vita quotidiana, che registrano l'attualità, non corrispondono alla realtà. Al contrario, la realtà, destinata ad esser ripresa, perde il suo valore...Sicuramente lei vuole rifugiarsi nella fantasia. Sicuramente io voglio fuggire dalla fantasia. Ma in realtà il mio comportamento non è niente più che una scusa alla mia incapacità di comunicare se non attraverso le immagini." e ancora "Oggi in Giappone, tutte le forme di espressione, cominciando dalle immagini, servono solo come passatempo intrattenendo quelli senza niente da fare come pausa momentanea per quelli che hanno paura del dolore. La gente adora gli scandali reali amplificati dalla crudezza delle immagini...Anche questo film una volta completato diverrà un mezzo per trasmettere un certo numero di stimoli privi di sorprese". Ma il film parla soprattutto di solitudine, quella prigionia auto imposta dalla quale si vuole ardentemente essere liberati. La regia di Anno riesce a dare "corpo" a questa solitudine con un uso perfetto di immagini grandangolari che riprendono nella loro complessità gli enormi spazi vuoti che circondano la ragazza, in casa sua come all' esterno. Le inquadrature si riempiono di oggetti e suoni che ritornano dalle opere precedenti del regista giapponese, partendo da Evangelion e passando per Love & Pop. I passaggi a livello e i binari risultano qui forse l'esempio più evidente visto anche l'importanza simbolica che hanno per i due protagonisti: per il Regista/Iwai rappresentano la sicurezza che cerca di ritrovare sia nella vita che nel lavoro ("...sono piantati, fermi...Per tutto il tempo che ci cammini sopra non devi mai scegliere il percorso. Questo potrebbe essere di sollievo."). Per la ragazza rappresentano ancora la solitudine, l'impossibilita di avvicinarsi a qualcuno ("...questi due binari non si incontrano mai. Eppure i due sono uno"). Il registro cambia soltanto durante le riprese fatte dallo stesso Iwai (ancora cinema nel cinema...geniale!) con una camera a mano, ridotte ad un formato più piccolo rispetto allo schermo. Se vogliamo esaminare questa pellicola con il cuore, è impossibile non percepire la straordinaria sensibilità con la quale il rapporto tra il Regista e la ragazza viene affrontato. Un rapporto che si costruisce lentamente, giorno per giorno, di cui Anno cattura la dolcezza e la purezza creando un'intimità dove anche noi spettatori ci sentiamo di troppo.
Film straordinario di un regista straordinario che si fa amare e odiare. Il suo estremizzare le immagini e il cinema stesso, mi rende impossibile non apprezzare il suo genio.

Monday, February 11, 2008

BATTLESTAR GALACTICA - LA MINISERIE -

TITOLO ORIGINALE: BATTLESTAR GALACTICA
TITOLO ITALIANO: BATTLESTAR GALACTICA - LA MINISERIE
NUMERO EPISODI: 2

-TRAMA-
L' uomo creò i Cyloni. I Cyloni si ribellarono all'uomo. Ci fu la guerra al termine della quale i Cyloni partirono alla ricerca di una nuova patria. Dopo quarant'anni di silenzio i Cyloni sono tornati per sferrare l'attacco decisivo agli umani e alle loro colonie.

-COMMENTO-
Credo che sia dai tempi di Star Trek (e parlo della primissima serie) che non guardavo un serial fantascientifico. Completamente rapito da 24, Lost e Prison Break, mi ero lasciato sfuggire questo Battlestar Galactica anche se i promo andati in onda su Fox mi avevano parecchio intrigato. Se Star Trek ha sempre rappresentato il viaggio, l'esplorazione alla ricerca di nuove forme di vita (mostrandoci anche una grande quantità di razze aliene), Battlestar Galactica ci mostra un futuro ben diverso, dove l'uomo si è espanso, ha colonizzato pianeti e credendosi Dio ha creato la vita. Questa sua creatura, i Cyloni, gli si è rivoltata contro e minaccia di sterminarlo. Insomma, l'uomo lotta per la sopravvivenza affrontando direttamente le proprie responsabilità. Ma se questo non bastasse, la serie prende definitivamente le distanze dal Capitano Kirk e soci, assumendo sin da subito connotati molto cupi, apocalittici e mostrandoci una tecnologia non così avveniristica e credibile: le comunicazioni all'interno del Galactica avvengono attraverso telefoni a filo, le manovre studiate su mappe cartacce, gli abitacoli dei caccia hanno chiusura manuale e via dicendo. Un buon numero di misteri appena accennati e una regia atipica per un serial di questo tipo (le riprese spaziali sembrano girate con camera a mano), lo rendono un prodotto validissimo e bel al di sopra di qualsiasi aspettativa. Questa miniserie (composta da due episodi di 90 minuti circa ciascuno) nasceva come remake del film per la tv del 1978. Visto il buon responso di pubblico è diventata una serie regolare che conta tre stagioni (la quarta, probabilmente ultima, inizierà quest'anno) e un film a cavallo tra la seconda e la terza serie. Insomma, se non si fosse capito, il mio riavvicinamento alla fantascienza non poteva essere più felice.

-DVD-
Produttore: Universal
Distributore: Universal
Video: 1.78:1 anamorfico
Audio: Italiano, Inglese Dolby Digital 5.1
Sottotitoli: Italiano, Inglese
Extra: documentario "The Lowdown"
Regione: 2 Italia
Confezione: amaray









Note: edizione completa, video nel coretto formato anamorfico, audio originale e due tracce di sottotitoli disponibili. La miniserie è presentata come un unico lungo episodio senza la divisione utilizzata per il passaggio televisivo. La qualità video risente un po' della lunga durata (quasi tre ore) soprattutto perché è presente tra gli extra anche un documentario.

Sunday, February 10, 2008

Lyric of the Week + Video / TEARS FOR FEARS - HEAD OVER HEELS


I wanted to be with you alone
And talk about the weather
But traditions I can trace against the child in your face
Won’t escape my attention
You keep your distance with a system of touch
And gentle persuasion
I’m lost in admiration could I need you this much
Oh, you’re wasting my time
You’re just wasting time

Something happens and I’m head over heels
I never find out till I’m head over heels
Something happens and I’m head over heels
Ah don’t take my heart
Don’t break my heart
Don’t, don't, don't throw it away
Throw it away
Throw it away

I made a fire and watching burn
Thought of your future
With one foot in the past now just how long will it last
No no no have you no ambition
My mother and my brothers used to breathe in clean in air
And dreaming I’m a doctor
It’s hard to be a man when there’s a gun in your hand
Oh I feel so...

Something happens and I’m head over heels
I never find out till I’m head over heels
Something happens and I’m head over heels
Ah don’t take my heart
Don’t break my heart
Don’t, don't, don't throw it away

And this my four leaf clover
I’m on the line, one open mind
This is my four leaf clover

In my mind's eye
One little boy, one little man
Funny how, time flies

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Un piccolo BONUS ^__^:

Saturday, February 09, 2008

Se pensavate stessimo scherzando...

I Guerrieri sono scesi in campo...


Il
MURO è stato eretto...

e adesso...


...NON CI SARA' POSTO DOVE POSSIATE NASCONDERVI!!!

Friday, February 08, 2008

La storia può ricominciare...

Avete presente Orgoglio e Pregiudizio? Il film di qualche anno fa, non il libro. Be, io decisi di vederlo un po' controvoglia, eppure il bel piano sequenza iniziale mi fece pensare "E che cacchio! Questo Joe Wright non scherza mica". E adesso mi ritrovo davanti al suo nuovo film, Espiazione, e la sensazione pare essere la stessa. Joe Wright si conferma un regista dalle grandi capacità. La messa in scena risulta pressochè perfetta, curata nei minimi dettagli a partire dalle inquadrature fino all' uso delle luci e dei colori. Non sfigura neanche quando si tratta di muovere la macchina da presa e a tale proposito non si può non citare il lungo piano sequenza durante i lraduno dell' esercito inglese sulla spiaggia. Forse è l'esempio più scontato, ma rende perfettamente l'idea delle pregevoli doti registiche di Wright. La sceneggiatura è tratta da un romanzo di Ian McEwan (che non ho letto, perciò mi asterrò da qualsiasi giudizio riguardante la bontà dell' adattamento) che divide la storia in tre blocchi: nel primo vediamo la tredicenne Briony Tallis accusare, probabilmente guidata dalla gelosia, di un crimine che non ha commesso Robbie, il giovane amante di sua sorella maggiore Cecilia. Briony non se ne rende conto immediatamente, ma il suo gesto cambierà radicalmente le vite di tutti loro. La seconda parte è ambientata nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Robbie per evitare anni di carcere si arruola nell'esercito e viene mandato a combattere in Francia. Cecilia ha abbandonato la famiglia ed diventata infermiera nella speranza di potersi ricongiungere con il suo amato una volta terminato il conflitto. Resasi conto del terribile errore commesso anni prima, anche Briony abbandona la famiglia e si iscrive alla scuola per infermiere. Nell' ultima parte Briony è ormai anziana, scrittrice affermata in procinto di pubblicare il suo ultimo romanzo "Espiazione", nel quale si confessa con la volontà di fare ammenda per i suoi errori e di dare pace alle persone che ha fatto soffrire. Devo ammettere di non trovarmi mai a mio agio con film come Espiazione. Il melodramma di per se è un genere che non mi "acchiappa" particolarmente. E anche in questo caso mi troverei a parlarne in maniera del tutto diversa se non fosse che, oltre alla bravura degli interpreti (su cui spicca una Keira Knightley bellissima senza i vestiti da pirata), la qualità della regia di Wright da al film quella marcia in più che mi ha decisamente convinto. Un po' come era successo con Orgoglio e Pregiudizio in pratica.

Thursday, February 07, 2008

Ma qualcuno si ricorda di: G.I. JOE


Tempi diversi sempre la solita storia: America contro terroristi. In fondo era questa la base su cui si basava la serie di cui parlerò oggi nella rubrica dei ricordi: G.I. JOE. A dire la verità l'origine dei "soldati di fanteria" (l.a sigla G.I. significa "galvanized iron", soldato di fanteria in gergo militare) risale ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, in alcune strisce a fumetti realizzate appositamente per l'esercito. Gli anni sono passati ma i G.I. JOE hanno sempre avuto un nemico da combattere. A vederlo oggi questo cartone, con il suo strabordante patriotismo e la morale spicciola che propinava, ci creerebbe non poche perplessità (a voler essere buoni). Ma da bambino io lo adoravo. Lo ammetto senza vergogna. E questo perché alla serie animata corrispondeva una serie di giocattoli, rappresentanti tutti i personaggi (oggi le chiamiamo action figures) e i veicoli della serie, veramente bellissimi. Ne avevo diversi ma purtroppo sono andati persi col tempo (un altro modo per dire "mia mamma me li ha probabilmente buttati") perciò mi capita spesso di guardare indietro a questa serie con nostalgia.

Indubbiamente uno dei pochi cartoni animati americani (insieme ad He-Man, Teenage Mutant Ninja Turtles, Ghostbusters e pochi latri) che ricordo con affetto.

Le immagini sono relative alla riedizione dei giocattoli per il 25° anniversario della serie e sono proprietà dei siti:
http://www.joebattlelines.com/
e
http://addictedtoplastic.blogspot.com/

Wednesday, February 06, 2008

L' uomo senza paura

Ma che belli i film di arti marziali cinesi dove i combattimenti sono coreografie mozzafiato, dove i lottatori danzano leggiadri e pestano come fabbri. Fearless è uno di questi ma non è solo un film di combattimenti. C'è dietro anche una storia che fa da collante tra una lotta e la successiva, e non una storia qualsiasi. Una storia vera, quasi una leggenda, adeguatamente "pompata" ma pur sempre vera. La storia di HuoYoun Jia, figura realmente esistita tra la fine dell' 800 e i primi anni del 900, maestro del Wushu e fondatore della federazione sportiva Jinwu. Ripercorriamo la sua vita come un lungo flashback: il suo desiderio da bambino di imparare il Wushu nonostante la ferma decisione del padre a non insegnarglielo. Da adulto, la sua inarrestabile ascesa votata unicamente a diventare il più forte e i terribili fatti di sangue che ne hanno decretato la caduta. La rinascita anni più tardi, in una Cina ormai "invasa" dalle potenze occidentali e dal Giappone, ma dall' orgoglio nazionale mai sopito, incarnato proprio nella figura di Huo Youn Jia il guerriero imbattibile. Per mostrare ancora di più la loro superiorità sul popolo cinese, le potenze europee e il Giappone organizzano una sfida tra i loro quattro più forti combattenti e Huo Youn Jia. Ed è qui che il film si apre e si chiude. La regia è affidata a Ronnie Yu che io ricordo per il simpatico Codice 51 ma che scopro essere anche la mano dietro l'infelice progetto Freddy vs. Jason. Fearless si rifà ad un genere di film d'arti marziali molto popolare in Cina che Ronnie Yu "contamina" con il suo stile registico creando un mix abbastanza calibrato fra classico e moderno, per quanto si noti un abbondante utilizzo di effetti digitali specialmente nei combattimenti (vero cardine del film, diciamoci la verità). L'attore Jet Li è chiamato a ricoprire il ruolo di Huo Youn Jia e da lui non si può pretendendere una strepitosa interpretazione (anche perchè il film in se non la richiede) ma che faccia il suo dovere quando c'è da menare le mani, cosa che puntualmente avviene grazie alle sue note doti atletiche e alle curatissime coreografie che rendono ogni sfida una vera goduria. Riassumendo un po' le cose, il film non soffre di particolari mancanze in nessun reparto e risulta una visione piacevole e mai noiosa. Certo, se non amate il genere o siete dei puristi che aborrono le tecnologie digitali nei film d'arti marziali, il discorso cambia sensibilmente.

Tuesday, February 05, 2008

La solitudine ai tempi della DDR

Dopo il film di Mungiu ecco un' altra importante pellicola Europea, premiata tra l'altro con l'Oscar per il Miglior Film Straniero, recuperata con un ingiustificabile ritardo. Le Vite degli Altri di Florian Henckel Von Donnersmarck ha in comune con il film di Mungiu, non soltanto la provenienza geografica, ma anche il raccontare con estrema lucidità un triste periodo storico del nostro recente passato. Germania, primi anni '80. Una Germania ancora divisa dal muro, Germania dell' Est in questo caso specifico. La vita delle persone è controllata costantemente, la Stasi è come un "Grande Fratello" che vigila su tutto, rendendo prive di significato libertà personali e artistiche. Gerd Wiesler lavora per la Stasi. Esperto in interrogatori, viene spesso impegnato come spia in operazioni che hanno come scopo tenere sotto controllo questo o quel personaggio sospettato di promuovere ideologie contrarie al regime. Georg Dreyman è uno di questi, famoso drammaturgo i cui testi spiccatamente neutrali gli hanno permesso di lavorare liberamente. Ma qualcuno nelle alte sfere crede che Dreyman nasconda qualcosa e decide di metterlo sotto osservazione (o ascolto) diretta. Non c'è ombra di dubbio che Le Vite degli Altri sia un gran bel film. La regia, asciutta ed essenziale, ben si sposa con una narrazione che non cede il passo a cadute di tono, rallentamenti di quasiasi genere, ma che conduce lo spettatore per i suoi 137 minuti con una storia che si bilancia egregiamente con i generi che tratta (thriller, spionaggio e una spruzzata di melodramma). Ma al di la di questo, tutto il film si regge sul personaggio di Wiesler interpetato in maniera superba da Ulrich Mühe (tristemente scomparso lo scorso luglio). Hauptmann Gerd Wiesler è un uomo fedele ai suoi principi e alle sue ideologie, pronto a difendere con ogni mezzo la DDR dai nemici dello Stato. Questo lo rende un uomo solo ma non per questo cattivo. Ascoltando la vita di Dreyman, artista diviso tra la voglia di lavorare e le costrizioni dovute al regime, Wiesler realizza il profondo vuoto che c'è nella sua vita. Amicizia o il calore nell'abbraccio della donna amata sono cose che non ha mai avuto ma che si scopre in dovere di difendere anche a costo di mettere in discussione tutto ciò in cui ha sempre creduto. Questo è il cuore è la forza del film. Il resto (sia le vicende di Dreyman che della sua compagna) è un contorno meno intenso ma funzionale alla narrazione. Il finale, a livello puramente emozionale, è da applausi.

Monday, February 04, 2008

AD UN PRIMO SGUARDO - LOST SEASON 04 E JERICHO SEASON 02

L'abbiamo attesa tutti. Sia chi ha detestato la terza stagione, sia chi l'ha amata. Tutti eravamo in trepidante attesa per l'inizio della nuova serie di Lost, la quarta. Non si sa ancora se verranno trasmesse tutte e sedici le puntate o solo le otto che sono confermate al momento. In attesa di sviluppi, esaminiamo questa prima puntata che, lo dico subito, mi ha convinto. Certo, come molti avranno notato, l'incipit è un po' più debole rispetto a quelli della seconda e della terza serie, davvero "breathtaking". Debole ma neache più di tanto visto che, quella che ci viene mostrata, sarà con molta probabilità la nuova formula narrativa che seguirà la serie. Ultimo ma non ultimo, The Beginning of the End ci immerge sin dai primi minuti in quelle fantastiche atmosfere dense di mistero che hanno reso famosa questa serie. Non rimane che attendere pazientemente i prossimi episodi (che lascierò un po' accumulare in modo da guardarmene almeno quattro per volta) e sperare che queste belle premesse vengano mantenute.
Adesso alcune note assolutamente SPOILER sull' episodio. Non leggete se non l'avete visto:
1) a quanto pare i flashback sono stati sostituiti dai flashforward...molto interessante!
2) Hurley afferma di essere uno degli "Oceanic's Six". Probabilmente uno dei sei che sono tornati dall'isola. Per adesso quindi sappiamo che lui, Jack e Kate sono tornati. E gli altri tre chi sono? Ma soprattutto: e tutti gli altri?
3) qualcuno è interessato a sapere se nell'isola ci sono sopravvissuti.
4) è confermato che andare via dall' isola non è salutare, specie se dopo hai le allucinazioni e vedi la gente morta.
5) pare che la casa di Jacob non abbia una posizione fissa nell'isola ma che si "manifesti" in luoghi diversi a seconda di chi deve "incontrare". Comunque, la migliore scena dell'episodio. Da brividi.
6) Locke è un figo. Lo seguirei fino all'inferno.
7) Jack un po' meno, visto che ultimamente prende a pugni ogni cosa che si muove.

Network CBS contro Fan di Jericho 1 - 1. Loro chiudono la serie con la prima stagione per un inaspettato crollo di audience dopo la pausa invernale e i fan si mobilitano in massa: lettere e migliaia di pacchetti di noccioline recapitati direttamente alla CBS. Risultato: il network decide di fare una seconda serie di soli sette episodi con diversi finali già pronti a seconda di come vanno gli ascolti...per la serie "pariamoci il sedere che non si sa mai". Questa prima puntata non prosegue l'emozionante finale della passata stagione che ci viene invece mostrato in un breve flashback. Viene fatta chiarezza sulla situazione politica dei "nuovi" USA e lasciato intendere che il futuro per la piccola citta americana non sarà certo roseo. Purtroppo questo primo episodio non cancella certo i dubbi che la
prima stagione mi aveva lasciato. La serie continua ad essere deboluccia nonostante le grosse potenzialità. Di sicuro non ce la fa a stare al passo con i serial più famosi. Vedremo cosa ne uscirà fuori dopo i restanti sei episodi.

Sunday, February 03, 2008

Lyric of the Week + Video / ARCADE FIRE - NO CARS GO


Hey!
Hey!

We know a place where no planes go
We know a place where no ships go
Hey!
No cars go
Hey!
No cars go
Where we know

We know a place where no spaceships go
We know a place where no subs go
Hey!
No cars go
Hey!
No cars go
Where we know

Go!
No go!

Hey!
Us kids know
Hey!
No cars go
Where we know

Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream

Little babies?
Let's go!

Women and children?
Let's go!

Old folks?
Let's go!

Don't know where we're going

Friday, February 01, 2008

THE TIME TO FIGHT!

Ci son cose che danno fastidio e per questo ci lamentiamo.
A volte lo facciamo tra di noi, sottovoce e la cosa rimane tra pochi intimi.
Ci sono momenti però in cui bisogna alzare la voce per farsi sentire. Ci sono momenti in cui tutti i nostri bisbigli devono unirsi per diventare un'unica voce forte e chiara. Questo è uno di quei momenti.
Raccolgo perciò l'invito degli amici Para e Chimy del blog
Cineroom e del Contenebbia, che chiamano a raccolta i cinefili in rete perchè questa volta è il caso di farsi sentire sui problemi (ma potremo definirle anche "piaghe") che colpiscono la distribuzione (con annessi e connessi) cinematografica italiana.


E' cosa nota a tutti che la grande distrubuzione predilige la diffusione dei blockbuster perchè le grandi produzioni hollywoodiane significano "grandi incassi". Le stesse case di distribuzione contano nei loro "cataloghi" film "minori" ma non per questo "inferiori", ma per loro stessa natura (sconosciuti se non ai cinefili incalliti) destinati all' oblio o a comparire per una settimana (se tutto va bene) in qualche sgangherato cinema d'essai. Certo, chi lo vuole vedere in qualche modo se lo procura, ma volete mettere il piacere di guardare un film sullo schermo cinematografico rispetto ai ridotti pollici un monitor o di un televisore?
Se miracolosamente uno di questi film riesce a superare l'ostacolo distribuzione/diffusione, deve essere sottoposto all' "adattamento".
Adesso, io mi immagino un gruppo di esperti in tecniche di comunicazione di massa e marketing che si riuniscono in una bella stanzetta per lavorare sulle edizioni italiane dei film. Cominciano dal titolo perchè, in fin dei conti, è quella l'esca per attirare il pubblico: un buon titolo seleziona il pubblico a priori. Un adeguato sottotitolo evita che lo spettatore poco attento si preoccupi di conoscere la trama.
Me li immagino mentre lavorano su alcuni dei più bei film degli ultimi anni. Mi immagino che tra di loro ci sia la voce della coscienza, uno che come me o come voi, che capisca l'importanza del titolo originale.
Ecco, me li immagino pressapoco così:

2004
Mr Coscienza: qui il titolo del film è fantasico. Una bellissima frase tratta da un poema di Alexander Pope che richiama alla perfezione le tematiche del film...
Mr Comunicazione di Massa e Marketing: ma scusa: lei lascia lui e si cancella la memoria. Lui per ripicca fa altrettanto. "Se mi lasci ti cancello" è perfetto. Aggiungici Jim Carrie che fa le faccine e riempi la sala.
Mr. Coscienza: si, ma qui Jim Carrey non fa le faccine! Senza contare che regia e sceneggiatura non sono di due tizi qualsiasi. Non rischiamo che il pubblico si senta in qualche modo tradito e cominci a odiare il film a priori?
Mr. Comunicazione di M&M: si bella questa! Mo' Jim Carrey non fa le faccine! E poi chi se li fila questi...com'è che si chiamano? Gondry e Kauffman?
Mr. Coscienza:............................

2005
Mr. Coscienza: Haneke è un regista fantastico. Il titolo originale significa "nascosto" e Haneke gioca con lo spettatore nascondendosi lui stesso: lo "sguardo" del regista diventa, senza che ce ne accorgiamo, il nostro sguardo. Il voyeur che perseguita la famiglia diventiamo noi senza accorgercene...
Mr. Comunicazione di M&M: AH AH AH Caché! Pensavo volesse dire merda in francese! Te lo immagini le risate che si fa la gente con questo titolo? Questo in fondo è un film drammatico, con un mistero da svelare, segreti inconfessabili. Niente da Nascondere da la giusta dimensione a questi "misteri".
Mr. Coscienza: ma...ma...

2006
Mr. Comunicazione di M&M: dai, dimmi perchè dovremmo lasciare il titolo come nell'originale.
Mr. Coscienza: Innazitutto perchè è il nome della trasmissione radiofonica al quale il film si ispira. Secondo perchè "prairie", prateria, da un senso anche alla bellissima colonna sonora del film.
Mr. Comunicazione di M&M: hai finito? Bene. Da una nostra ricerca risulta che il 90% degli italiani non sa pronunciare correttamente il termine prairie. Il restante 10% non ha capito la domanda.
Mr. Coscienza: ma perchè Radio America allora? Non è un po' troppo vago?
Mr Comunicazione di M&M: "Radio" perchè si parla di radio. "America" perchè fa tanto figo. Adesso prendi questo gomitolo e vai a giocare in un angolo, va, che qui abbiamo da fare!

2007
Mr. Comunicazione di M&M: questa volta sarai contento anche tu! Abbiamo mantenuto "Promessa" dal titolo originale e aggiunto "Assasino" così il pubblico va in brodo di giuggiole. Che ne dici?
Mr. Coscienza: a parte che non so cosa sia il brodo di giuggiole, ma "Eastern Promises" fa riferimento a tutte quelle ragazze che vengono dall'est Europa con la promessa di trovare negli altri Paesi una vita migliore. La voce narrante della giovane partoriente morta non vi dice niente? E poi mi spiegate che promessa fa l'assassino?
Mr. Comunicazione di M&M: ma pensi che arrivati alla fine del film qualcuno si fermi a ragionare sul fatto che il titolo abbia senso con quello che hanno visto? La cosa importante è che siano entrati in sala. Il dopo non è un problema che ci riguarda. E adesso lasciami finire il mio sudoku.

Si è scherzato, ma neanche tanto. Io sono fatto così. Le cose che mi fanno inca......volare le prendo a ridere, ci ironizzo su. Non per sminuirle, sia ben chiaro, ma più che altro per evitare l'ulcera.
E' troppo chiedere un po' più di serietà, un po' più di rispetto verso chi il cinema lo ama?
E' troppo chiedere che il cinema venga considerato "arte" e non solo "businnes"?
Cari distributori, o chi per voi, io continuo a vedere campagne contro la pirateria informatica, contro i film scaricati da internet e pochissima attenzione verso chi al cinema ci va e pagherebbe con molto più piacere il biglietto se qualche volta si sentisse ascoltato.
Forse noi perderemo questa battaglia ma voi, quella del "download selvaggio", l'avete persa in partenza.
Riflettete su questo mentre noi ci prepariamo a quel che ci attende nel:

2008
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