"There will be blood" risuonava come una promessa rivelandosi poi una premonizione di quel che sarebbe successo, del sangue versato per porre le basi dell' America di oggi. Il Petroliere di Paul Thomas Anderson era così, un film potente e diretto supportato dalla gigantesca prova attoriale di Daniel Day Lewis. Messo direttamente a confronto, The Master appare un' opera più complessa, più stratificata ma legata a filo diretto con la precedente e forse per questo non meno importante. L' America in fondo è sempre la stessa, qualche anno più tardi certamente, ma ugualmente confusa, con un posto nel panorama mondiale che si va a rafforzare grazie al proprio ruolo nella Seconda Guerra Mondiale. Ed anche qui la promessa di sangue è stata mantenuta, lasciando sulle spalle di tanti ex soldati il peso di costruirsi un futuro con le ferite ancora aperte lasciate dalla guerra. Tra questi c'è Freddie Quell, ex soldato di Marina facile preda di istinti violenti e sessuali, che si avvelena quando può con intrugli alcolici di sua creazione. La sua strada si incrocia con quella di Lancaster Dodd, dottore, filosofo, scirttore, ciarlatano, sedicente leader di una sorta di culto conosciuto come La Causa. Dodd accoglie Freddie come un figlio per poi cercare di farne un allievo ed infine di domarlo alla stregua di un animale selvatico. La ricerca del "potere", questa volta incarnato nella deleteria ossessione per il controllo, è un altro dei punti in comune con Il Petroliere perchè è questo stesso "potere", seppur in forme diverse, a consumare i protagonisti. Impreziosito da momenti di altissimo cinema, ai quali Paul Thomas Anderson ci ha abituato fino a viziarci, e dalla cornice musicale di Jonny Greenwood, The Master racconta, nel suo strato più superficiale ma non meno importante, un confronto umano di grande impatto emotivo, costruito intorno alle titaniche interpretazioni di Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix. In questo confronto, dal quale entrambi usciranno segnati, le convinzioni di Dodd scricchiolano, cedono e si sbriciolano infine, di fronte all'impossibilità di comprendere un uomo difficile, forse malato, come Freddie e di poterlo tenere al guinzaglio, prova tangibile di un America che ha bisogno di una guida forte e decisa. Freddie in fondo rappresenta il "fattore x", imprevedibile e forse pericoloso, la mano che spazza la scacchiera, il soffio che fa crollare il castello di carte.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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