Pare che il punto più alto raggiunto dal cinema di Tim Burton, Big Fish, corrisponda anche al momento in cui in tanti, tra pubblico e critica, hanno cominciato a disaffezionarsi ai lavori del cineasta americano come se tutto si fosse ridotto unicamente alla collaborazione con attori feticcio e ad elementi stilistici e tematici ricorrenti. Condivisibile o meno che possa essere questo punto di vista, da Sweeney Todd in avanti Burton si è dedicato a progetti più facili e forse commercialmente più appetibili come il tanto discusso Alice in Wonderland che lo ha riavvicinato alla Disney dopo tanti anni. Ed è proprio per la Disney che dirige Frankenweenie, film d' animazione in stop-motion con il quale rifà un suo stesso corto "live action" dell' '84. Burton che rifà Burton in un momento così particolare della sua carriera può far pensare ad un consapevole tentativo di suicidio ma così non è. Frankenweenie è un ritorno di Burton su territori cinematografici a lui (e a noi) familiari, storie ambientate in sobborghi fati di case e giardini tutti uguali, la cui facciata puliti nasconde l' ignoranza di vite vissute con i paraocchi, con la paura per qualsiasi cosa sia diverso. E i diversi sono loro, i bambini (rappresentati, in certi casi, come dei veri e propri freaks) con le loro domande, la loro curiosità "pericolosa". E mentre si omaggia tutto un universo cinematografico tanto caro al regista di Edward Mani di Forbice, dall' horror (i classici come Frankestein e La Moglie di Frankenstein) fino alla fantascienza (i kaiju-eiga giapponesi), si racconta la storia commovente di un amicizia talmente profonda da travalicare i confini della vita e della morte. Se è particolarmente stimolante vedere la casa che ha dato i natali a Mickey Mouse & Co. impegnata in un film con tematiche così particolari e con un continuo richiamo grafico al gotico (ma il finale è quanto di più "disneyiano" si possa immaginare), lo è altrettanto vedere un Tim Burton ritagliarsi il suo spazio, trasformare il giovane Victor nel suo alter ego (splendido il gioco metacinematografico ad inizio film), il diverso che vive delle, e nelle, sue passioni, le ama e le tiene vive a dispetto di tutti coloro che non possono o non vogliono capirle.
Wednesday, January 30, 2013
Tuesday, January 29, 2013
PRIMER su I-FILMSONLINE
"Do you believe in time travel?" Questa è la domanda che il coniglio Frank rivolge ad un Donnie Darko strafatto di farmaci, ed è la stessa domanda a cui tanti sci-fi geeks vorrebbero avere una risposta, la possibilità di piegare la linea retta del tempo per raggiungere uno qualsiasi dei punti che la compongono. Il cinema non si è mai posto tanti problemi ed ha sfruttato, con risultati altalenanti, un' idea affascinante con tutte le sue possibili applicazioni narrative: basti pensare all' immortale trilogia di Zemeckis, Ritorno al Futuro. Ma anche titoli più o meno conosciuti più o meno recenti, come Deja vu del compianto Tony Scott, lo stesso Donnie Darko di Richard Kelly poco sopra citato, Butterfly Effect, L' esercito delle Dodici Scimmie di Terry Gilliam e, perchè no, anche il capolavoro di Lynch, Strade Perdute. E poi c'è Primer.
Uno dei film più interessanti sui viaggi nel tempo, l' ho recensito per gli invisibili de i-filmsonline. Potete leggere quel che ne penso a questo link.
Ne avevo scritto un post anche per il blog diversi anni fa (se vi va, la vecchia rece è qui).
Monday, January 28, 2013
"I like the way you die, boy"
Nel giudicare Django Unchained si rischia di incappare in tre errori madornali che sarebbe meglio evitare. Il primo: aspettarsi un film superiore a Bastardi Senza Gloria, perchè a conti fatti non lo è. E questo non è necessariamente un difetto anche perchè era difficilmente auspicabile che il Maestro raggiungesse le vette del suo progetto precedente. Ci si avvicina ma rimane comunque indietro. Il secondo: giudicare il film prima di averlo visto. E' vero che le opinioni di pubblico e critica su Tarantino sono belle consolidate, ma il pregiudizio è una pratica che sarebbe meglio lasciare a certi registi presuntuosi. Il terzo: cercare di etichettare il film. Perchè, da che mondo è mondo, le più comuni definizioni di genere vanno strettissime ai film del buon Quentin, generalmente sempre troppo grossi e strabordanti per poter essere inclusi in qualsivoglia categoria (e "tarantiniano" non è una categoria ma una bestemmia). Questo perchè il cinema di Tarantino è una creatura famelica che si nutre della stessa materia di cui è fatta, crescendo e trasformandosi in qualcosa di nuovo, unico e (fino ad oggi) a prova d' imitazione. Così, come Bastardi Senza Gloria nasceva da Quel Maledetto Treno Blindato di Castellari fino a diventare una riscrivere la fine della Seconda Guerra Mondiale, Django Unchained parte dallo spaghetti western di Sergio Corbucci, dal quale poi si "limita" a prendere il nome del protagonista ed il tema musicale principale, trasformando il leggendario pistolero interpretato a suo tempo da Franco Nero, in uno schiavo di colore venduto e separato dalla moglie dopo aver tentato invano la fuga dalla piantagione dove lavoravano. Liberato da un ex dentista, ora cacciatore di taglie, di origine tedesca, Django si unisce a quest' ultimo con il quale escogita un piano per liberare la moglie dalla proprietà di Calvin Candie, negriero appassionato di combattimenti tra mandingo. Più che un western all' italiana, comunque omaggiato in maniera più o meno diretta, ci troviamo immersi in una rievocazione storica che abbraccia la blaxploitation per raccontare una storia di schiavitù e vendetta nel profondo sud degli Stati Uniti. Il resto, e non è poco considerata la durata di quasi tre ore, è puro cinema di Tarantino, dalla scelta della colonna sonora (a volte in apparente contrasto con le atmosfere del film) ad una precisa direzione d' attori ai quali riesce ad incollare addosso i personaggi ed i dialoghi che scrive. Qui, al solito, son tutti perfetti: dal Django di Jamie Fox al Dott. King Schulz di un immenso Christoph Waltz. Dal Calvin Candie di Leonardo Di Caprio al "negro di casa" di Samuel L. Jackson, vero personaggio infido e negativo del film. E se son tante la sequenza memorabili (quella del Ku-Klux Klan è già cult) Tarantino da sempre il meglio di se quando prende i suoi personaggi e li chiude in una stanza, magari seduti intorno ad un tavolo, inonda lo spettatore con fiumi di parole e costruisce la tensione con l' attesa di un climax che esplode anche con violenza. Ed è proprio la violenza a tenere banco quando si tratta di Tarantino, e se il sangue scorre a fiumi, letteralmente, è altrettanto vero che tutto è perfettamente bilanciato da una precisa e puntuale vena ironica. Django Unchained, insomma, non è un film che si presta a compromessi di sorta, che può portare i detrattori ad una fulminazione sulla via di Damasco o gli estimatori ad un improvviso rigetto. E' un cinema che ormai si ama o si odia. Prendere o lasciare. Noi prendiamo, a piene mani.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Sunday, January 27, 2013
Lyrics of the Week + Video / COLAPESCE - GLI ANNI
Stessa storia, stesso posto, stesso bar
Stessa gente che vien dentro consuma e poi va
Non lo so che faccio quì
Esco un pò
E vedo i fari delle auto che mi
Guardano e sembrano chiedermi chi cerchiamo noi
Gli anni d’oro del grande Real
Gli anni di Happy days e di Ralph Malph
Gli anni delle immense compagnie
Gli anni in motorino sempre in due
Gli anni di che belli erano i film
Gli anni dei Roy Rogers come jeans
Gli anni di qualsiasi cosa fai
Gli anni del tranquillo siam qui noi
Siamo qui noi
Stessa storia, stesso posto, stesso bar
Una coppia che conosco ci avrà la mia età
Come va
Salutano
Così io
Vedo le fedi alle dita di due
Che porco giuda potrei essere io qualche anno fa
Gli anni d’oro del grande Real
Gli anni di Happy Days e di Ralph Malph
Gli anni delle immense compagnie
Gli anni in motorino sempre in due
Gli anni di che belli erano i film
Gli anni dei Roy Rogers come jeans
Gli anni di qualsiasi cosa fai
Gli anni del tranquillo siam qui noi
Siamo qui noi
Siamo qui noi
Stessa storia, stesso posto, stesso bar
Stan quasi chiudendo
Poi me ne andrò a casa mia
Solo lei
Davanti a me
Cosa vuoi
Il tempo passa per tutti lo sai
Nessuno indietro lo riporterà neppure noi
Gli anni d’oro del grande Real
Gli anni di Happy days e di Ralph Malph
Gli anni delle immense compagnie
Gli anni in motorino sempre in due
Gli anni di che belli erano i film
Gli anni dei Roy Rogers come jeans
Gli anni di qualsiasi cosa fai
Gli anni del tranquillo siam qui noi
Siamo qui noi
Siamo qui noi
Thursday, January 24, 2013
CINE20 - 83^ PUNTATA
In settimane così importanti qui su CINE20 non rimaniamo con le mani in mano. Ed infatti, ad aprire questa ottantatreesima puntata, trovate la mia recensione su Django Unchained e quella di Kusa su Frankenweenie.
Inoltre, tutte le uscite in sala tra le quali si consiglia caldamente il biopic su Lincoln firmato Spielberg.
Poco interessanti le uscite home video, a meno che non siate appassionati di sequel francamente superflui.
Ci potete leggere con tutta calma proprio qui.
Tuesday, January 22, 2013
SUKIYAKI WESTERN DJANGO su I-FILMSONLINE
Questo è l' inizio della mia nuova recensione per Sukiyaki Western Django di Miike, riscritta per i-filmsonline in occasione dell' uscita nelle sale del nuovo film di Quentin Tarantino, Django Unchained. La potete leggere per intero qui.
Mentre se vi va di leggere la precedente, la trovate qui di seguito.
Monday, January 21, 2013
"Just trying to understand why we keep making the same mistakes... over and over."
Nel 1836 un giovane avvocato attraversa l' Atlantico e salva la vita ad uno schiavo di colore. Nel 1938 un giovane omosessuale lavora come copista per un vecchio compositore e scrive il "Sestetto Altalnte delle Nuvole". Nel 1973 una giornalista rischia la vita per indagare su di una importante compagnia energetica e la loro centrale nucleare. Nel 2012 un vecchio editore finisce rinchiuso in una casa per anziani a causa di una macchianzione da parte del vendicativo fratello. Nel 2144 una giovane clone scopra la verità dietro la sua esistenza. Nel 2332 un allevatore intraprende un viaggio nel quale scoprirà l' origine del culto che guida lui e la sua gente da secoli. Queste sono le sei storie che compongono l' ultima fatica di Andy, Lana Wachowski e Tom Tykwer, Cloud Atlas, tratto dall' omonimo romanzo di David Mitchell. Un' opera ambiziosa ed affascinante, produzione americana / tedesca, scritta e diretta a sei mani miscelando generi e registri totalmente diversi, necessari a raccontare queste sei storie così distanti nel tempo e nello spazio eppure unite in maniera indissolubile. Il film fortunatamente non rimane impantanato in una narrazione "densa" che invece scorre come un fiume in piena perchè imbrigliata in una struttura di ferro che procede a balzi da un' epoca all' altra e sulla cui fluidità gioca a favore un lavoro di montaggio davvero efficace. Una scelta di forma questa certamente ponderata che i tre registi usano per sottolineare alcune delle tematiche sulle quali Cloud Atlas fonda le proprie basi, il destino, la reincarnazione, il karma: ogni vita non conduce un' esistenza fine a se stessa ma è collegata a quelle passate e future in maniera così solida che anche un singolo gesto d' umanità lascia una traccia indelebile, un' eco udibile nei secoli. Attraverso un viaggio di centinaia di anni quello che emerge soprattutto è il ritratto di un' umanità in continua lotta contro forze che provano a renderla prigioniera, sia che si tratti di un regime totalitario o di discriminazione, di vecchiaia o di religione. Tutti concetti che i Wachowski e Tykwer ripetono però in maniera un po' troppo insistita forse perchè, di fronte ad un film tutto sommato complesso e dalla durata vicina alle tre ore, questa era la maniera più facile, ma meno coraggiosa, per provare a raggiungere un pubblico sempre più atrofizzato e meno disposto a soffermarsi nella lettura di qualsivoglia sottotesto. Decisamente più riuscito invece l' espediente di utilizzare gli stessi attori per tutte e sei le storie, impegnandoli in ruoli diversi e trasformandoli fisicamente anche nel sesso e nella razza, arrivando in questo ultimo caso a degli eccessi di trucco poco naturali ed in alcuni casi anche ridicoli. A parte questo però Cloud Atlas convince anche nelle singole parti, nel tocco europeo di Tykwer ed in quello americano dei Wachowski che si riavvicinano con convinzione alla fantascienza rimanendo lontani (fortunatamente) dagli onanismi e dalla filosofia spicciola dei seguiti di Matrix.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Sunday, January 20, 2013
Lyrics of the Week + Video / TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI - LA MIA VITA SENZA TE
La mia vita senza te non è così diversa
Faccio tutto un po' più piano ed ho tempo per me
La mia vita senza te non è così diversa
Io lo canto per non piangere e non piangerò
La sua vita senza te io che lo vedo spesso
Non capisco bene come farà ma sopravviverà
La mia vita senza te non è così diversa
Io lo canto per non piangere e non piangerò
C'è un momento per tutto vai pure dritto sai
Devi farti un po' male che dopo capirai
E' un momento poi passa giuro passerà
Puoi chiamarla se vuoi libertà
La mia vita senza te non è così diversa
Io lo canto per non piangere e non piangerò
C'è un momento per tutto vai bene come vai
Qualche cosa si spegne altre ne riaccenderai
Al dolore rispondi col sorriso che hai
Le ragazze non piangono mai
La mia vita senza te non è così diversa
Io lo canto per non piangere e non piangerò.
Thursday, January 17, 2013
CINE20 - 82^ PUNTATA
La recensione di Cloud Atlas, enorme fatica congiunta dei Wachowski e di Tom Tyker che divide e dividerà, apre l' ottantaduesima puntata di CINE20.
Ma parliamoci chiaro, le vere bombe sono in sala questa settimana. Arrivano infatti due pezzi da novanta con le loro nuove fatiche: Tarantino con il suo Django Unchained e Tim Burton con Frankenweenie.
Pensate sia finita qui? E pensate bene, anche perchè non c'è nessuna uscita home video che valga la segnalazione.
Siamo online qui.
Tuesday, January 15, 2013
TOP TEN FILM - ANNO 2012
Eccola la classifica dei 10 migliori film del 2012 di WELTALL'S WOR(L)D!
Mai come quest' anno però la sento incompleta e sono certo che alcuni dei film che ho perso (Pietà di Kim Ki-duk e Amour di Haneke) avrebbero trovato posto in una delle 10 posizioni.
Tanti anche i film esclusi ma ciò non significa che siano per questo meno validi o scartabili.
E dopo questa breve introduzione i dieci, discutibilissimi, film selezionati. A voi!
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Mai come quest' anno però la sento incompleta e sono certo che alcuni dei film che ho perso (Pietà di Kim Ki-duk e Amour di Haneke) avrebbero trovato posto in una delle 10 posizioni.
Tanti anche i film esclusi ma ciò non significa che siano per questo meno validi o scartabili.
E dopo questa breve introduzione i dieci, discutibilissimi, film selezionati. A voi!
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Monday, January 14, 2013
"I am a man, a hopelessly inquisitive man, just like you."
"There will be blood" risuonava come una promessa rivelandosi poi una premonizione di quel che sarebbe successo, del sangue versato per porre le basi dell' America di oggi. Il Petroliere di Paul Thomas Anderson era così, un film potente e diretto supportato dalla gigantesca prova attoriale di Daniel Day Lewis. Messo direttamente a confronto, The Master appare un' opera più complessa, più stratificata ma legata a filo diretto con la precedente e forse per questo non meno importante. L' America in fondo è sempre la stessa, qualche anno più tardi certamente, ma ugualmente confusa, con un posto nel panorama mondiale che si va a rafforzare grazie al proprio ruolo nella Seconda Guerra Mondiale. Ed anche qui la promessa di sangue è stata mantenuta, lasciando sulle spalle di tanti ex soldati il peso di costruirsi un futuro con le ferite ancora aperte lasciate dalla guerra. Tra questi c'è Freddie Quell, ex soldato di Marina facile preda di istinti violenti e sessuali, che si avvelena quando può con intrugli alcolici di sua creazione. La sua strada si incrocia con quella di Lancaster Dodd, dottore, filosofo, scirttore, ciarlatano, sedicente leader di una sorta di culto conosciuto come La Causa. Dodd accoglie Freddie come un figlio per poi cercare di farne un allievo ed infine di domarlo alla stregua di un animale selvatico. La ricerca del "potere", questa volta incarnato nella deleteria ossessione per il controllo, è un altro dei punti in comune con Il Petroliere perchè è questo stesso "potere", seppur in forme diverse, a consumare i protagonisti. Impreziosito da momenti di altissimo cinema, ai quali Paul Thomas Anderson ci ha abituato fino a viziarci, e dalla cornice musicale di Jonny Greenwood, The Master racconta, nel suo strato più superficiale ma non meno importante, un confronto umano di grande impatto emotivo, costruito intorno alle titaniche interpretazioni di Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix. In questo confronto, dal quale entrambi usciranno segnati, le convinzioni di Dodd scricchiolano, cedono e si sbriciolano infine, di fronte all'impossibilità di comprendere un uomo difficile, forse malato, come Freddie e di poterlo tenere al guinzaglio, prova tangibile di un America che ha bisogno di una guida forte e decisa. Freddie in fondo rappresenta il "fattore x", imprevedibile e forse pericoloso, la mano che spazza la scacchiera, il soffio che fa crollare il castello di carte.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Sunday, January 13, 2013
Lyrics of the Week + Video / ATOMS FOR PEACE - DEFAULT
(Hey)
(Yeah)
(Hah)
It slipped my mind
And for a time
I felt completely free
Oh what a troubled,
Silent, poor boy
A pawn into a queen
I laugh now
But later's not so easy
I've gotta stop,
The will is strong, but the flesh is weak
Guess that's it
I've made my bed, I'm lying in it
I'm still hanging on
Bird upon the wires
I fall between the waves
I avoid your gaze
I turn out of phase
A pawn into a queen
Oooooohhhhh
I laugh now
But later's not so easy
I gotta stop,
The will is strong, but the flesh is weak
Guess that's it
I've made my bed, I'm lying in it
But it's eating me up
It's eating me up
It's eating me up (if I could feel all the snails on my heads)
It's eating me up (if I could feel all my snails on my heads)
It's eating me up (if I could feel all my snares on my head)
Oooooohhhhh
Thursday, January 10, 2013
CINE20 - 81^ PUNTATA
Dopo le rigeneranti (?) feste natalizie, CINE20 ritorna con ben due recensioni: la mia sull' ultimo grandissimo film di Paul Thomas Anderson, The Master, e quella di Kusa sul film di Ang Lee, Vita di Pi.
Come al solito trovate anche le uscite settimanali in sala, non particolarmente stimolanti ma da tenere d' occhio, come Cloud Atlas ed il nuovo film di Gabriele Muccino che, ohhh, al solo pensarci ho già la pelle d' oca.
In home video, con un po' di ritardo rispetto a quanto annunciato, trovate nei negozi Achille e la Tartaruga di Kitano. Ma anche Prometheus di Ridley Scott ed il cult Wargames - Giochi di Guerra.
Leggeteci qui, come al solito.
Tuesday, January 08, 2013
Vita semplice in un cinema semplice
Nel 2009 con The Way We Are, Ann Hui era riuscita a raccontare, con un taglio quasi documentaristico, la vita in un quartiere periferico di Hong Kong, vite comuni di persone comuni alle prese con le difficoltà di tutti i giorni e con il tempo che passa. Uno spaccato sincero dal quale emergeva con forza una commovente umanità, forse anche frutto della semplicità del progetto. Possibile replicare le stesse sensazioni in una pellicola più importante per produzione e nomi coinvolti? La regista di Hong Kong risponde a questa domanda con A Simple Life dove, basandosi su fatti e personaggi reali, racconta di Ah Tao, immigrata cinese da oltre sessantanni al servizio della famiglia borghese dei Leung. La donna ha un rapporto affettivo speciale con Roger, famoso produttore cinematografico, di cui si è occupata fin da tenera età. Quando la donna, per problemi di salute, deciderà di ritirarsi in un ricovero per anziani, Roger inizierà a prendersi cura di lei con instancabile costanza. Portare sullo schermo nomi del calibro di superstar come Andy Lau, Deanie Ip (forse meno conosciuta ma meritevole della Coppa Volpi assegnatale al Festival di Venezia) e tanti altri volti coinvolti in piccoli cameo (Tsui Hark e Sammo Hung) o ruoli minori (Anthony Wong e Chapman To), non ha impedito alla Hui di raccontare la storia commovente di un rapporto affettivo che abbatte qualsiasi barriera culturale e sociale. Con la solita regia mai invadente, atipica per il cinema di Hong Kong ma perfetta nel catturare i volti ed i gesti dei protagonisti, si ritraggono scene di grande intimità dove la quotidianità si infrange contro l' inesorabile incedere del tempo che consuma ogni vita, particolare che la regista di Hong Kong racconta quasi totalmente fuori campo, senza mai soffermarsi sui dettagli più tristi e dolorosi. Preferisce invece ritrarre una toccante inversione di ruoli ed una riflessione sul vero significato di famiglia, non solo definibile dalle proprie radici o dal sangue, ma riconducibile e legami più profondi, al modo in cui ci relazioniamo con gli altri, al modo in cui lasciamo un segno negli altri, una traccia profonda che rimane viva, nei ricordi delle persone che abbiamo incrociato ed amato, quando non ci siamo più.
Sunday, January 06, 2013
Lyric of the Week + Video / U2 - UNTIL THE END OF THE WORLD
Haven't seen you in quite a while
I was down the hold just passing time
Last time we met was a low-lit room
We were as close together as a bride and groom
We ate the food, we drank the wine
Everybody having a good time
Except you
You were talking about the end of the world
I took the money
I spiked your drink
You miss too much these days if you stop to think
You lead me on with those innocent eyes
You know I love the element of surprise
In the garden I was playing the tart
I kissed your lips and broke your heart
You
You were acting like it was the end of the world
Love...love...love...love...love...love...
Love...love...love...love...love...love...
Love...love...love...love...
In my dream I was drowning my sorrows
But my sorrows, they learned to swim
Surrounding me, going down on me
Spilling over the brim
Waves of regret and waves of joy
I reached out for the one I tried to destroy
You, you said you'd wait
'Til the end of the world
Wednesday, January 02, 2013
CONNECTED su I-FILMSONLINE
E' attribuibile all' uscita di Infernal Affairs, del duo Lau / Mak nel 2002, la nuova alba del poliziesco made in Hong Kong. Il film e i suoi due seguiti trovarono nel pubblico, non solo asiatico, un riscontro positivo cosa che convinse più di un produttore ad investire nel genere. Ad oggi il rappresentante più in vista è certamente Dante Lam con i suoi poliziotti tormentati e la deriva puramente action dei suoi film. Nel mezzo sarebbe davvero un peccato non citare Benny Chan con il suo New Police Story del 2004 ma sopratutto Connected nel 2008. Lontano dai personaggi "duplici" di Infernal Affairs e dagli intrecci impossibili di un qualsiasi film di Lam, Connected è una pellicola molto più semplice, partendo proprio da personaggi ben inquadrati nei loro ruoli: il protagonista (Louis Koo, Bullets Over Summer), ad esempio, classico uomo qualunque (difatti non sapremo mai il suo vero nome) esattore di crediti e padre fallito che si ritrova suo malgrado a fare l' eroe per salvare la bella Grace (Barbie Hsu) rapita senza apparente motivo. C' è poi il poliziotto buono (Nick Cheung, Beast Stalker) relegato alla stradale ma dall' indomito istinto da detective, e i cattivi che ricoprono il loro ruolo a tutto tondo, senza se e senza ma. Ognuno di loro ha il suo spazio e la sua entrata in scena che sembra tracciare le coordinate di un copione già visto parecchie volte: tutto si svolge nell' arco di una giornata qualsiasi nella quale Grace viene rapita e rinchiusa in un capanno. Al suo interno un telefono fatto a pezzi attraverso il quale la nostra riesce ad effettuare una chiamata random che raggiunge l' ancora inconsapevole eroe che, dopo una prima diffidenza, decide di aiutare la donna in difficoltà. Incipit (rapimento), svolgimento (ricerca) e fine (confronto buoni/cattivi), un paio di efficaci twist narrativi e qualche macroscopica ingenuità danno l' idea che Connected sia un film piuttosto canonico e, se non vecchio, almeno fuori tempo massimo. Cosa che sarebbe potuta anche essere vera se al timone non ci fosse stato uno come Benny Chan. Il regista di Hong Kong infatti, conscio del fatto di trovarsi per le mani una storia che sarebbe potuta andare bene alla fine degli anni '80/ primi '90, decide di non sprecare un solo minuto dando al pubblico, ma sopratutto agli estimatori del genere, pane per i loro denti: la regia, sia che si tratti di una sparatoria o di uno scontro fisico, è sempre di ottimo livello, "pulita", mai confusionaria, esemplare anche quando riesce a trasformare un (lungo) inseguimento in auto nella sequenza che da sola si vale la visione del film. Ma bisogna attribuire a Benny Chan anche un altro merito: Connected è infatti il remake di Cellular, film americano del 2004 con Kim Basinger e Jason Statham, trascurabile al punto che se lo ricordano in pochi. Considerata la tendenza del recente cinema americano, è quanto mai curioso notare un caso di remake "al contrario" dove è il cinema orientale che pesca dall' occidente evitando però una mera ricalcatura ma infondendo alla pellicola una riconoscibile impronta personale, quella di Chan nello specifico. E Hong Kong impartisce ad Hollywood un' altra importante lezione.
Recensione già pubblicata su i-filmsonline.
Recensione già pubblicata su i-filmsonline.
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