Eccomi di nuovo qui, 365 giorni dopo (non corrispondenti ad altrettanti post) a segnare una nuova tacca nella blogosfera perché, ebbene si, WELTALL'S WOR(L)D compie oggi 2 anni.
E non sono certo qui ad autocelebrarmi convinto di aver fatto in qualche modo la storia di Internet ma semplicemente perché è una grande soddisfazione aver portato avanti questo piccolo progetto cercando di mantenere una pubblicazione il più regolare possibile e un profilo, se non basso, sicuramente modesto.
Non sono stato mai, infatti, un fan sfegatato della "follia da scambio link" anche perché per lo più si ha a che fare con persone che copiano/incollano lo stesso messaggio su tutti i siti che vogliono incorporare nel loro blogroll ("Ciao, bel blog! Ti va uno scambio link?" tanto per fare un esempio). Da quel punto di vista sono diventato più selettivo (con l' età si acquista esperienza ^__*) e cerco di linkare solo quei blog che, anche se non trattano argomenti simili ai miei, sono comunque interessanti da leggere. Scalare classifiche non ha mai avuto molto senso: meglio un lettore regolare e "silenzioso" che una riga in più nella colonna link. Meglio ancora se si instaura un rapporto di reciproco scambio di opinioni attraverso i commenti, che possono anche sembrare inutili ma servono ad interagire "quasi" direttamente con gli altri, a dare forza alle proprie opinioni o a metterle in discussione.
Anche se appare scontato, approfitto perciò dell' occasione per ringraziare i lettori di vecchia data e quelli nuovi: anche se uno dice sempre che scrive il blog per se stesso, sapere che ci siete è sempre una gran bella soddisfazione.
Non prometto nulla questa volta, niente nuove rubriche, modifiche e quant'altro. So per certo che non potrò mantenere gli impegni se non (FORSE!!!) quello di ricominciare presto con i post fotografici (si, la fotocamera è stata riparata e non è costato neanche tanto) e a mettere un po' di ordine nel template e nella colonna link ormai piena di siti che hanno chiuso i battenti già da tempo.
Allora tanti auguri a me, al blog e che la terza stagione di WELTALL'S WOR(L)D abbia inizio.
See ya ^__^
L' eco di Non è un Paese Per Vecchi non si è ancora spenta. La sua importanza, la sua profondità si lega al nome Coen diventando un' ombra minacciosa che aleggia sopra il loro nuovo progetto che arriva (almeno per quel che riguarda la distribuzione italiana) a distanza di poco più di sei mesi dal film precedente. Burn After Reading non è Non è un Paese per Vecchi. La sua sceneggiatura non esce direttamente dalle pagine di un libro di Cormac McCarthy ma segna un ritorno alla scrittura dei due fratelli di Minneapolis, un ritorno che si aspettava dai tempi dei due tentativi (non riuscitissimi) di fondere il loro cinema con quello più prettamente commerciale di Intolerable Cruelty e Ladykillers. In quel di Venezia, gli stessi Coen hanno descritto il loro film come il capitolo conclusivo della "trilogia degli idioti", una sparata adatta forse a rimbalzare nelle rubriche di cinema dei TG nostrani ma non credo corrisponda a qualcosa di concreto. Se si esamina la cinematografia dei Coen è possibile osservare una galleria di personaggi corrispondenti alla definizione più larga del termine idiota e Burn After Reading non fa certo eccezione: un' inquadratura "satellitare" precipita sulla Terra per farci conoscere il primo degli ignari burattini dello spettacolo che i Coen hanno organizzato, Osbourne Cox (un grandissimo John Malkovich), analista della CIA che viene licenziato senza tante spiegazioni. Cox è intenzionato ad utilizzare il ritrovato "tempo libero" per scrivere le sue memorie. La moglie Katie (quanto mi piace Tilda Swinton) non vede di buon occhio la cosa ma potrebbe usarla a suo vantaggio per divorziare finalmente dal marito. La donna infatti intrattiene già da tempo una relazione con Harry Pfaffer (un Clooney più "coeniano" che mai) agente federale impiegato al Ministero del Tesoro. Anche Harry è sposato ma coltiva con passione diverse relazioni extraconiugali con donne conosciute su internet. Tra queste c'è Linda (grande ritorno della McDormand), personal trainer insoddisfatta del proprio corpo ma senza i soldi che le permetterebbero di intervenire chirurgicamente sui suoi presunti difetti estetici. Insieme al collega Chad (un Brad Pitt da lacrime agli occhi - in senso positivo -) trovano in palestra un CD contenente le memorie di Cox e pensando si tratti di materiale riservato, decidono di ricattarlo per tirar su un po' di soldi. Tanti personaggi che incrociano, volontariamente o meno, le loro vite ma che i Coen riescono a gestire splendidamente grazie ad una sceneggiatura precisa e perfetta nel far quadrare tutti gli elementi messi in gioco. Burn After Reading restituisce, a noi spettatori, un ritratto di una società che ha buttato tutti valori nel cesso e che punta ad ottenere il meglio senza sacrificio. Una società egoista legata alla realizzazione personale (in questo caso la ricerca ossessiva della perfezione fisica) a discapito di tutto e di tutti, una società arida e paranoica. Intorno a tutto questo i Coen ci mostrano, con il loro sguardo tagliente, un Intelligence americana diventata la macchietta di se stessa (rappresentata da un J.K. Simmons da applausi), che tra occultamenti ed echi di Guerra Fredda agisce senza sapere cosa e perché lo fa. E come spesso accade nei loro film, la violenza esplode improvvisa, ricordandoci che le azioni portano conseguenze, strozzando la risata a chi credeva di trovarsi di fronte ad una semplice commedia. Sarebbe ingiusto dire che non si ride in questo film perché, in più di un' occasione, si ride proprio di gusto. Ma di fronte a tanto cinismo (riflesso, purtroppo, della realtà in cui viviamo) forse si ride per non piangere.
**WTF!!!**
I'm all over my heart's desire
I feel cold but I'm back in the fire
Out of control but I'm tied up tight
Come in, come out tonight
Comin' up in the early morning
I feel love in the shock of the lightning
I fall into the blinding light
Come in, come out, come in, come out tonight
Love is a time machine
Up on the silver screen
It's all in my mind
Love is a litany
A magical mystery
And all in good time
And all in good time
And all in good time
I got my feet on the street but I can't stop flyin'
My head is in the clouds but at least I'm tryin'
I'm out of control but I'm tied up tight
Come in, come out tonight
There's a hole in the ground into which I'm fallin'
So God's speed to the sound of the poundin'
I'm all into the blinding light
Come in, come out, come in, come out tonight
Love is a time machine
Up on the silver screen
It's all in my mind
Love is a litany
A magical mystery
And all in good time
And all in good time
And all in good time
It's all in my mind
Love is a time machine
Up on the silver screen
And all in good time
And all in good time
And all in good time
Gli ultimi post dedicati a questa rubrica si sono focalizzati sui telefilm del passato e anche questo mese non fa eccezione.
Questa volta vi parlo di Super Vicky (Small Wonder in originale) simpatica Sit-Com dove un genio della robotica, Ted Lawson costruiva un robot-bambina (Vicky appunto) integrandola nella sua famiglia, "spacciandola" agli altri come figlia adottiva (con tutte le situazioni paradossali che una cosa del genere porta con se).
"Girando" sul sito IMDB ho notato che, come nel caso di "Arnold", gli attori protagonisti non abbiano fatto una gran carriera soprattutto Jerry Supiran, che interpretava Jamie, il figlio "umano" di Ted, (da Wikipedia scopro che si credeva fosse in realtà Billie Corgan degli Smashing Pumpkins) che l' ha iniziata e terminata con questo telefilm. Probabilmente ora fa il sottobicchiere in qualche bar della provincia americana.
Mentre cercate di ricordare vi agevolo la sigla:
NOTE: ringrazio Rosuen per aver rispolverato questo telefilm dai miei ricordi ^__^
Henry torna a casa, la cara vecchia fattoria di famiglia, dopo quindici anni, per chiudere tutti i conti lasciati aperti con il proprio passato: la morte del padre e quel brutto scherzo tiratogli dal fratello Angus che gli ha scatenato una "ovinofobia" che lo tormenta ancora oggi. Angus ora tiene le redini dell' attività di famiglia e vuole liquidare ad Henry la sua quota di proprietà per poter gestire a suo piacimento l' allevamento di pecore che, a suo dire, è pronto ad una vera e propria evoluzione. Quello che la gente non sa è che Angus sta conducendo, con un team di scienziati, esperimenti genetici sugli ovini. Un fervente ed un tantino incauto ambientalista, ruba un campione dal laboratorio e durante la fuga lo fa cadere liberandone il contenuto: una sorta di agnellino famelico il cui morso trasforma gli umani in abomini "ovinoidi" e le pecore in assatanate bestie carnivore. E così, per mano di Jonathan King qui al suo esordio registico, le pecorelle perdono il loro innato candore, la loro aria rassicurante che concilia il sonno a contarle, e diventano veicolo di morte e contaminazione, qualcosa che nella cinematografia horror ancora non si era visto. Uscito nel 2006 ma arrivato qui da noi con "solo" due anni di ritardo, Black Sheep rientra in quel filone horror che non punta allo spavento ma più che altro sull' effettaccio splatter unito ad un umorismo che scivola spesso e volentieri sul demenziale/becero. Un cinema, quello di King, che non può che riportare alla mente quello del connazionale Peter Jackson, non solo perché è ambientato nei meravigliosi e "breathtaking" paesaggi neozelandesi o perchè il make up e le creature sono opera della Weta, ma perché Black Sheep omaggia le prime opere del regista del Signore Degli Anelli, gli ormai divenuti cult Bad Taste e Brain Dead. Certo, l' estro artigianale dei film di Jackson qui è in gran parte sostituito da effetti digitali, ma l' aria che si respira è proprio quella. Purtroppo (c'è un "purtroppo" ma non è così brutto) lo schema attraverso il quale si sviluppano gli eventi è risaputo e non sono certo le scoreggie al metanolo delle pecore a salvare il film dalla noia che monta lentamente ma progressivamente negli ultimi 15/20 minuti. Bisogna ammettere però che Black Sheep è un film onesto perché sa, trattando di pecore che mangiano le persone, che non è proprio il caso di prendersi sul serio. Una cosa che apprezzo sempre e che rende meritevole questo film di almeno una visione ma soprattutto di essere ricordato.
Tette, culi, scene lesbo e tanto gore. Si guarda un film per i motivi più disparati ma quando si decide di impiegare ottanta minuti della propria vita per vedere un film come questo "The Girls Rebel Force of Competitive Swimmers" di Koji Kawano, lo si fa per i motivi su indicati: tette, culi, scene lesbo e tanto gore. Veniamo al film: dopo un breve incipit da ghost movie, assolutamente slegato da quel che verrà dopo (probabilmente qualche sbadato ha pinzato il primo foglio di un' altra sceneggiatura allo script del film), facciamo la conoscenza di Aki, che ci vorrebbero far credere sia una normale studentessa liceale quando appare evidente che sia una gran zozzona. Il caso vuole infatti che dopo pochi minuti, a seguito di una "fortuita" caduta in piscina, la ritroviamo con le zizze di fuori intenta a confrontare curiose somiglianze di nei e voglie con una ragazza appena conosciuta...naturalmente sotto la doccia. Tornando al film, Aki è una studentessa che si è appena trasferita in una nuova scuola proprio il giorno in cui l' Autorità Sanitaria giapponese sta effettuando le vacinazioni per un virus che si sta diffondendo per tutto il Giappone. Questo virus trasforma in poco tempo insegnanti e studentesse in pericolosi zombi affamati e le uniche immuni all' infezione sembrano essere le ragazze della squadra di nuoto. Potrei anche approfondire, rivelandovi chi è vermante Aki, il suo tormentato passato, di come la squadra di nuotatrici non duri neanche cinque minuti contro gli zombi e qualche altra piccola chicca, ma si capisce che non si guarda un film così per la trama, soprattutto quando è così inconsistente, inutile, dove le cose sembrano accadere per puro caso. E nonostante un paio di sequenze azzeccate a fine film, appare evidente che il tutto è stato messo su per far da contesto alle tette della protagonista a alla scena di petting sfrenato con la sua nuova amica proprio a metà film. Non lo guarderete certo per la regia, che ha guizzi di vitalità solo quando si va alla ricerca dell' angolazione giusta per inquadrare le mutandine delle studentesse o quando c'è da fare un close-up su natiche e capezzoli. Sconsigliata la visione solitaria: nonostante le tette, il piattume generale vi porterà a darvi fuoco dopo neanche un quarto d'ora di visione. Questo è un film da guardare assolutamente in compagnia, solo così potrete godervi uno splatter usato in maniera dilettantesca, le tette, situazioni al limite dell' idiozia (il professore che usa righe e squadrette come armi), le tette, un flauto traverso che suona come una pianola e procura orgasmi, le tette ma soprattutto la perla delle perle: un cannone laser vaginale. Non mi sento di aggiungere altro, credo capirete.
NOTE A MARGINE: Caro Tora, il sottoscritto e Nick sentitamente ringraziano ^__^
Cosa sono due giorni nella vita di una coppia?
Ben poca cosa, ma possono rappresentare tutto a seconda delle circostanze e del contesto nel quale due persone si trovano.
Lui è Jack, americano che di lavoro fa il designer. Lei è Marion, fotografa francese. Dopo due anni la loro storia arriva ad un crocevia fondamentale quando, di ritorno da un viaggio a Venezia, decidono di trascorrere due giorni a Parigi. Ma l'immersione di lui nel mondo di lei, e soprattutto nei suoi passati trascorsi sentimentali, avrà delle ripercussioni del tutto inaspettate nel loro rapporto.
Julie Delphy, che qui dirige, scrive, monta, musica e recita anche nel ruolo di Marion, imbastisce su questi presupposti una commedia deliziosa con la quale non solo mette a nudo il rapporto tra Jack e Marion ma, in scala più grande, i rapporti sentimentali nel loro complesso. Jack e Marion si frequentano da due anni ma in fondo, fino alla loro sosta a Parigi, non si "conoscevano" ancora.
La particolare cornice che fa da sfondo alle vicende, spogliata completamente del suo romanticismo, non rappresenta di per se un ostacolo tra i due: le differenze culturali permettono alla Delphy di giocare con particolari situazioni (i turisti americani in pieni "Codice Da Vinci Tour" e il pranzo con i genitori di Marion) e con i classici luoghi comuni (le frecciatina alla politica estera americana o sul fatto che i francesi non si lavino). I problemi che vengono a galla, alla resa dei conti, vanno oltre il "lost in translation" perché non è nella comunicazione che io due difettano (anzi, il film è sorretto soprattutto dai dialoghi tra i due, tra l'altro veramente ben scritti) ma più che altro nella comprensione reciproca, nell' accettare il partner in tutte le sue sfumature, nella capacità di scendere a compromessi con il passato. Scoprire la vita amorosa di lei ma soprattutto il fatto che tiene ancora ottimi rapporti con i suoi ex amanti, fa si che Jack erga un muro tra i due. Le piccole ed in fondo ingenue bugie che Marion dice per proteggerlo, non fanno che rafforzare questo muro. Riuscire a guardare oltre quel muro è un primo passo per stabilire quell' equilibrio fondamentale per due persone che si trovano a dover condividere la propria vita.
Sorprendente come la regista francese riesce a fare questa riflessione sulla coppia mantenendo il film costantemente sui binari del divertimento e dell' ironia. A tal proposito credo valga la pena menzionare l'interpretazione di Adam Goldberg (la Delphy, che lo dico a fare, è splendida come sempre) che trasmette costantemente la sensazione di un uomo perduto in un universo alieno e incomprensibile.
TITOLO ORIGINALE: PRISON BREAK
TITOLO ITALIANO: PRISON BREAK
NUMERO EPISODI: 13
-TRAMA-
La lunga fuga degli evasi di Fox River finisce a Panama. Il complotto che aveva mandato Lincoln in prigione viene svelato è l'uomo scagionato da tutte le accuse. Michael, Bellick, T-Bag e Mahone vengono arrestati però dalle autorità panamensi e rinchiusi nel carcere di Sona, particolare struttura detentiva "governata" dagli stessi prigionieri. La Compagnia sembra avere un ruolo fondamentale in tutti questi eventi.
-COMMENTO-
Alla luce di questi tredici episodi (si, anche Prison Break è stata ridotta per via dello sciopero degli sceneggiatori) appare chiaro che la serie si sarebbe dovuta concludere con la seconda stagione. Il risolversi del blocco narrativo principale non lasciava molti sbocchi per nuovi sviluppi ma, considerato il successo della serie, si è pensato bene di aggrapparsi ad un filino piccolo piccolo e svilupparlo per far proseguire le avventure di Scoffield e soci.
La serie insomma continua con un pretesto un po' forzato e con un ribaltamento dei ruoli che vede Michael rinchiuso e Lincoln fuori ad aiutarlo. Adesso vi starete chiedendo "come è possibile che, uno capace solo di piantare chiodi a craniate, possa aiutare il fratello genio ad uscire di prigione?". Ed infatti il buon Lincoln ne combinerà una giusta su mille tentativi. A mettere ulteriormente i bastoni tra le ruote, la Compagnia che ha volutamente fatto rinchiudere Micheal per farlo poi evadere e ha rapito LJ e Sara per convincerlo a collaborare. Ci sono poi gli altri ospiti di Sona (T-Bag, Mahone ma anche nuove conoscenze) che con il giovane Scoffield hanno qualche conto in sospeso. Considerate poi che Michael attira antipatie come la merda attira le mosche e avrete un quadro quasi completo di questa terza stagione.
Per limare un po' l'attrito che una nuova evasione può causare agli spettatori più smaliziati ed esigenti, si è deciso di puntare tutto sulle atmosfere rendendo questa stagione molto più "wild" delle precedenti. Sona non è Fox River e ce ne rendiamo conto dai primissimi minuti: i detenuti controllano la prigione e prendono ordini da un ex signore della droga che vive in una "cella" tra mille comodità. Senza contare che a Sona i conti si regolano combattendo fino alla morte nel cortile della prigione. Bisogna ammettere che la serie mantiene per tutta la durata, un ritmo ottimo e non è certo la noia a far storcere il naso ma la sensazione che si sia andati troppo in la, che gli sceneggiatori abbiano forzato la scrittura dove era evidentemente già stata messa la parola fine.
La quarta stagione è già iniziata e dalle foto promozionali non si sa proprio cosa aspettarsi (il ritorno di un personaggio morto lascia parecchi dubbi). Speriamo solo che non buttino alle ortiche quanto di buono fatto fino ad' ora.
-DVD-
Il cofanetto inglese R2 con tutta la terza stagione lo trovate qui. Quello italiano credo non tarderà ad uscire.
One...take control of me?
Yer messing with the enemy
Said its 2..it's another trick
Messin with my mind, I wake up
Chase down an empty street
Blindly snap the broken beats
Said it's cut with a dirty trick
Its taken all these days to find ya
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... I'll tell you I want you
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... I'll tell you I need you
Friends, take control of me
Stalking cross' the gallery
All these pills got to operate
The colour quits and all invade us
There he goes again
Takin' me to the edge again
All I got is a dirty trick
I'm chasin down the wolves to save ya
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... I'll tell you I want you
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... I'll tell you I need you
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... the blood aint on my face
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... Just wanted you near me
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... I'll tell you I want you
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... I'll tell you I need you
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... The blood aint on my hands
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... Just wanted you near me
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... I'LL tell you I want you
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... I'll tell you I need you
(Uuh! Ah ah ah aha)
I... The blood aint on my face
(Uuh! Ah ah ah aha)
Just wanted you near me
Spesso e volentieri arrivo in ritardo sulle cose.
Spesso e volentieri seguo percorsi inversi sempre in virtù dei ritardi di poco sopra.
Anche Persepolis non ha fatto eccezione. Colpito al cuore dal bel film di Marjane Satrapi e Vincent Parannaud ho trovato indispensabile recuperare l'opera cartacea che ha ispirato la trasposizione cinematografica, l'autobiografia a fumetti che la stessa Satrapi ha firmato per raccontare dalla sua infanzia in un Iran in piena transazione sociale e politica, fino al suo abbandono della terra natale.
Rispetto all' opera "figlia" (che comunque risulta "ritagliata" per il cinema come meglio non si sarebbe potuto fare) l' opera "madre" è molto più approfondita, ricca di particolari, approfondimenti e aneddoti che nella pellicola vengono solo accennati, rendendo l'esperienza "Persepolis" molto più completa e coinvolgente. Le tavole della Satrapi, semplice ed essenziali, non impediscono certo a chi legge un' immersione totale nella Teheran vista attraverso gli occhi di una bambina, il succedersi di due regimi, il suo essere costretta a crescere lontana dal proprio paese tenendo sempre vivo dentro di se l'orgoglio delle proprie origini, tornare infine a casa da donna adulta solo per doverla abbandonare per sempre.
Persepolis è un'opera straordinaria nella quale la sua autrice riesce a raccontare episodi anche tragici con estrema lucidità bilanciando il dolore con l'ironia, le lacrime con i sorrisi.
La graphic novel è stata pubblicata inizialmente in Italia in quattro volumi ma ora è disponibile, sempre per la Lizard, un volume unico (brossurato di circa 325 pagine) dal prezzo decisamente alto (€. 22,50). Una spesa da ponderare ma il capolavoro della Starapi si vale ogni singolo centesimo.
Se ne parlerà come di un "film pessimo" o come "schifezza improponibile". Magari verrà definito, in maniera fantozziana, "una cagata pazzesca". Certo è che Doomsday, l'ultimissima fatica del regista Neil Marshal, ben si presta ad essere bersagliato dalle critiche più feroci. Sembra quasi che dia le spalle dicendo "sparate pure! E se finite i proiettili fatevi avanti con coltelli spuntati ed arrugginiti". E così effettivamente è stato fatto in diverse sedi, ma potete star certi che non verrà fatto qui. Qui si difenderà il film di Marshall con le unghie e con i denti perché questo è cinema che diverte, fatto con amore per il cinema stesso. Tanto per cominciare sarebbe meglio inquadrarlo per quel che è: avete presente The Descent? Bé, Doomsday non ha niente a che vedere con il precedente film di Marshall ma ha ben più punti in comune con Dog Soldiers: una trama non proprio originale ma che permette al regista/sceneggiatore di Newcastle di omaggiare (non senza un tocco molto personale) un certo tipo di cinema anni '80 e anche qualcosa di più recente. La storia inizia nei giorni nostri in Scozia, mentre un virus denominato Reaper si sta diffondendo a macchia d' olio tra la popolazione. Il Governo inglese decide di "arginare" il problema isolando completamente la Scozia con un muro alto nove metri che la circonda sia sulla terra ferma che sul mare. Gli anni passano e mentre nel resto dell' Inghilterra la situazione sociale si fa sempre più problematica, scoppiano nuovi focolai del virus. Prima di risolvere nuovamente il problema in maniera drastica, il governo decide di inviare una squadra di soldati al di la del muro dove, da alcune foto satellitari, risulta che ci siano sopravvissuti, probabilmente persone che hanno sviluppato una immunità al Reaper. A capo del gruppo viene inviata Eden Sinclair, una poliziotta con le palle quadrate. Fin qui niente di nuovo sotto il sole ma nessuno (e qui si intendono sia i protagonisti che noi spettatori) è preparato a quel che si trova al di la del muro. Pescando a piene mani da "Fuga da New York", "Mad Max" e, perché no, anche da Il Signore degli Anelli di Jackson (un paio di sequenze rimandano direttamente alle "passeggiate" della Compagnia per la Terra di Mezzo), Marshall riesce a far convivere comunità di punk cannibali con feroci guerrieri medievali, combattimenti con martelli da guerra, archi e frecce, con adrenalinici inseguimenti in auto, senza farsi mancare quel tocco splatter che lo contraddistingue dall' opera d'esordio. Aggiungete poi che c'è Rhona Mitra che è sexy quando spara, quando picchia, quando guida e anche quando si infila nell' orbita oculare il suo occhio/telecamera artificiale. Poi come ciliegina sulla torta c'è pure Club Foot dei Kasabian in chiusura di film. E mentre un' ora e cinquanta vola senza pesare, si passa sopra anche ai difetti di sceneggiatura e ci si rallegra perché ancora una volta Marshall riesce a rendere interessante un cinema che sembra sempre aver già detto tutto. Io voglio tanto bene a quest' uomo, dico sul serio.
Si è fatto un gran parlare dell' ultimo film di Ang Lee per diversi motivi. I principali sono sicuramente due: 1) il secondo Leone D'oro vinto a Venezia dopo quello di Brokeback Mountain, meritato, non meritato bla bla bla (a mio modesto parere vinto con merito solo a metà). 2) le ormai famigerate scene di sesso, dove tutti gridavano allo scandalo, scene che hanno poco di scandaloso ma che risultano invece perfettamente inserite nel contesto. C'è da dire che il buon Ang Lee ha voluto divertirsi con la cosa intitolando il film, Lust: Caution, come fosse un'avviso per gli spettatori (per la serie: "Ehi! Io vi ho avvertito! Non venite poi a lamentarvi con me!") trovata molto intelligente che purtroppo in Italia ce la siamo bruciata con il titolo Lussuria - Seduzione e Tradimento. La storia è ambientata tra Hong Kong e Shangai a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Wang è una giovane studentessa che si unisce ad un gruppo teatrale universitario. Le loro rappresentazioni di propaganda sono solo il primo passo di un progetto più ambizioso: risvegliare il popolo cinese e collaborare in maniera attiva con i rivoluzionari contro gli invasori giapponesi. Il loro primo obiettivo diventa Mr Yee, un cinese collaborazionista con i giapponesi. Per poterlo avvicinare Wang si finge moglie di un importante uomo da fari di Hong Kong ed entra nelle grazie della moglie di Yee e delle sue amiche. Il fascino di Wang non tarda a conquistare il diffidente Yee. Lust Caution è fondamentalmente un melodramma a fondo storico dove Ang Lee da dimostrazione di essere un grandissimo regista. Da un punto di vista puramente "formale" infatti, il film del regista di Taiwan è semplicemente meraviglioso: la regia (la sequenza della partita di Majong all' inizio del film) e la fotografia sono praticamente inattaccabili, per non parlare di scenografie e costumi che aiutano a raggiungere vette di perfezione per quel che riguarda la maniacale ricostruzione storica del film. Se ci dovessimo basare solo su questo per giudicarlo, la pellicola di Lee avrebbe ben pochi difetti. Invece trattandosi di un film con una durata considerevole (due ore e mezza) è un vero dispiacere notare che ben poco si riesce a trasmettere agli spettatori delle vicende narrate. Intendiamoci, nel film sono presenti alcune sequenze veramente intense, in grado di emozionare e coinvolgere (la sequenza nel locale giapponese, le su citate scene di sesso e quella in gioielleria) ma in più di 150 minuti sono come piccole isole in un gigantesco oceano. Forse proprio i tempi eccessivamente dilatati raffreddano l' interesse dello spettatore e da qui alla noia il passo è veramente troppo breve. Bisogna comunque rendere merito agli attori protagonisti, soprattutto alla straordianria esordiente Wei Tang e un Tony Leung talmente grande da potersi permettere di mostrare con orgoglio le sue palle in primo piano. A scanso di equivoci, Lussuria è un film bello, incantevole da guardare ma che non si fa "sentire" oltre le immagini, mancando così il gradino per essere qualcosa di più.
NOTE A MARGINE: se avessi recuperato in tempo questo film, nella mia classifica avrebbe vinto il
PREMIO SPECIALE "PALLE DI TONY LEUNG"
Produttore: General Video
Distributore: Medusa
Video: 1.66:1 anamorfico
Audio: Italiano, Russo Dolby Digital 5.1
Sottotitoli: Italiano
Extra: Featurette "La Casa" di Tarkovskij, biografia e filmografia del regista
Regione: 2 Italia
Confezione: amaray
Note: come per Solaris, la General Video (distribuita prima da Fox e poi da Medusa) porta in Italia un'altro capolavoro di Tarkovskij con delle caratteristiche tecniche non perfette ma accettabili. Cominciamo dal video, presentato in un curioso formato anamorfico rispetto all' originale 1.33:1 letterboxed. Questo comporta che l'immagine è già adattata ad avere due bande nere ai lati se si riproduce il dvd in un televisore 16:9. La qualità delle immagini mostra una pellicola non esente da difetti dovuti al tempo e alla quale un restauro non potrebbe che giovare. La General Video sceglie di inserire il film (della durata di quasi tre ore) in un unico supporto e questo, considerata anche la presenza seppur irrisoria di contenuti extra, non fa che togliere "spazio" sul supporto, fattore che va direttamente ad influire sulla compressione video. L' audio è presente sia nel doppiaggio italiano che nell' originale russo (sottotitolato in italiano) codificati entrambi in Dolby Digital 5.1. la cosa può far piacere ai maniaci dell' home theatre ma i puristi (come me) sentono la mancanza della traccia originale mono. Tutto sommato l' edizione da avere se non ci si vuole rivolgere al mercato d' importazione.
Produttore: Artificial Eye
Distributore: World Cinema
Video: 1.33:1
Audio: Russo Dolby Digital 5.1 e Mono
Sottotitoli: inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, italiano, olandese, svedese, ebreo, cinese, giapponese, russo
Extra: Disco 1 - Biography, A fragment from the diploma work of Andreij Tarkovskij "The Steamroller and the Violon", Tarkovskij's House, Still Gallery; Disco 2 - Filmography, Interviews with director of photography A. Knyazhinsky and production designer R. Safiullin
Regione: 0 UK
Confezione: amaray
Note: pezzo per pezzo, elemento per elemento, la Artificial Eye ha messo insieme l' edizione più completa del film di Tarkovskij che è possibile trovare in commercio. Il video, presentato nel corretto formato voluto dal regista, pur presentando problemi dovuti all' invecchiamento della pellicola, gode di un' adeguata resa dei dettagli e dei colori, restituendo al meglio le fotografie scelte dal regista russo per il film. Ottima, in questo senso, la scelta di dividere il film in due supporti. Il film non è stato spezzato in maniera casuale ma si interrompe dove nella pellicola originale era presente la pausa per l'intervallo di proiezione. Anche questa edizione non si fa mancare il remix multicanale della traccia audio ma non dimentica (anche se in fascetta non viene riportato) di inserire la traccia mono originale. I sottotitoli presenti sono tantissimi e, come potete notare, miracolosamente sono stati inseriti anche quelli in italiano che, seppur con qualche piccola imprecisione, sono ben fatti e possono fare decisamente la differenza nella scelta di un possibile acquisto. Considerate poi la presenza di qualche pregevole extra, la codifica Regione 0 (quindi leggibile da tutti i lettori) e questo bel prodotto Artificial Eye diventa un must imperdibile per tutti i cinefili. Lo potete acquistare, spese di spedizione incluse, qui. Se il prezzo dovesse risultare troppo alto (tenete conto che io l'ho pagato circa €. 12,00) aspettate che entri in qualche promozione che il sito lancia ciclicamente.
Mentre nelle sale italiane si proietta (forse già "proiettava") in queste settimane il suo ultimo lavoro, Doomsday, ho pensato fosse ora di recuperare il primo lungometraggio di Neil Marshall, interessante regista e sceneggiatore di origini inglesi che ho avuto modo di conoscere con il suo secondo film, quel piccolo gioiello horror che risponde al nome di The Descent. Ma torniamo al film di cui voglio parlare oggi, Dog Soldiers, un gustoso horror dalle vivaci tinte splatter, dove Marshall miscela sapientemente militari e lupi mannari immersi nei cupi boschi scozzesi. Dopo una breve introduzione in cui la triste sorte di una coppia di campeggiatori non lascia dubbi su che direzione prenderà il film, l' azione si sposta su di un gruppo di militari che, calatosi da un elicottero si "immergono" nei boschi per un' esercitazione con un' unità delle forze speciali. Giunti sul campo di quest' ultimi, lo trovano devastato e di loro solo brandelli sanguinolenti. L' unico sopravvissuto, gravemente ferito, li mette in guardia dalla minaccia che si nasconde nei boschi, creature fameliche apparentemente inarrestabili. Comincia così una fuga disperata che precede l'inevitabile massacro. Eh si, perché Dog Soldiers non inventa certo nulla di nuovo, non da nuova "verve" al genere ma con il suo profilo visivamente "low-budget" riesce comunque ad avere piacevoli spunti d' originalità, come mettere al centro dell' attenzione non i soliti sprovveduti che finiscono smembrati ad uno ad uno, ma un manipolo di soldati che si difendono grazie all' addestramento militare (anche se questo non gli impedirà di finire smembrati) contro un gruppo di licantropi che attaccano seguendo strategia da branco. Il gore non si spreca di certo ma viene usato con molta ironia e senza esibirlo in maniera troppo morbosa. Non pago di aver dimostrato che si può tirar fuori ancora qualcosa di buono da un genere stra-abusato, Neil Marshall impreziosisce questo piccolo film citando alcuni capisaldi del genere: l'assedio nella casa di campagna, con tanto di finestre sbarrate con assi e mobilia, rimanda direttamente a La Notte dei Morti Viventi di Romero, mentre la soggettiva dei mannari che circondano la casa (rigorosamente in bianco e nero) non può che portare alla mente La Casa di Sam Raimi (senza contare che uno dei personaggi si chiama Bruce Campbell e ho detto tutto!). In definitiva un esordio senza infamia e con qualche meritata lode che diventeranno applausi con il suo film successivo. Consigliabile recuperarlo in lingua originale perché il doppiaggio italiano oscilla tra l'osceno e l' irritante.
Someone's always coming around here trailing some new kill
Says I seen your picture on a hundred dollar bill
And what's a game of chance to you, to him is one of real skill
So glad to meet you, Angeles
Picking up the ticket shows there's money to be made
Go on and lose the gamble that's the history of the trade
You add up all the cards left to play to zero
And sign up with evil, Angeles
Don't start me trying now
'Cos I'm all over it, Angeles
I could make you satisfied in everything you do
All your 'secret wishes' could right now be coming true
And be forever with my broken arms around you
No one's gonna fool around with us
No one's gonna fool around with us
So glad to meet you, Angeles
Un post rapido, rapido per segnalare che dall' 11 (quindi da ieri) a domenica 14, si svolgerà a Carloforte la seconda edizione del Festival Crueza de Mà (in onera di Fabrizio De Andrè) che, citando le testuali parole dal sito di presentazione, "focalizza la sua attenzione sull’aspetto musicale del lavoro cinematografico, un punto di vista particolare e poco frequentato da tutti i festival cinematografici. Un “viaggio musicale” attraverso i film, anche molto diversi tra loro, per storie stile e atmosfere, vissuti dalla prospettiva della musica per il cinema."
Di seguito trovate il link con il programma del festival che darà spazio ad alcune produzione cinematografiche italiane della stagione passata, al cinema di Dino Risi e di Charlie Chaplin.
Non è Un Paese per Vecchi è uno di quei libri che si dovrebbe leggere almeno una volta nella propria vita.
Se si è visto il film omonimo dei fratelli Coen, lo si DEVE leggere per forza per capire quanto le pagine di McCarty siano di per se una perfetta sceneggiatura che Joel e Ethan si sono trovati a modificare solo in minima parte, una storia che sembra essere stata scritta per loro, per il loro cinema.
Ma bisognerebbe leggere Non è Un Paese per Vecchi a prescindere che si sia visto o meno il film, perché è un libro importante scritto in maniera semplice e diretta, un tuffo senza rete in un Paese che cambia troppo in fretta, visto attraverso lo sguardo disincantato di un vecchio che si rende conto di questi cambiamenti e si accolla la responsabilità di mettere in salvo tutto quello che può. Un impresa fallita in partenza quando quest' onda di cambiamento, di violenza, di corruzione, è incarnata nella figura di Anton Chigur, un “uomo” per il quale la vita vale quanto il lancio di una moneta.
Una perdita dell 'innocenza alla quale non si riesce a dare una spiegazione, alla quale è impossibile trovare una ragione, che non lascia altra scelta, a chi ha conosciuto un tempo in cui “gli sceriffi giravano senza pistola”, se non quella di abbandonare tutto, voltare le spalle, guardare quel che resta della propria vita e raggiungere chi ci ha preceduto:
"E poi c'è il fatto che non ho parlato molto di mio padre[...]Dopo che è morto ho fatto due sogni su di lui[...]nel secondo sogno era come se fossimo tornati tutti e due indietro nel tempo[...]E nel sogno sapevo che stava andando avanti per accendere un fuoco da qualche parte in mezzo a tutto quel buio e quel freddo, e che quando ci sarei arrivato l'avrei trovato ad aspettarmi."
Paranoid Park è quasi un mondo a se. Un posto per skater, frequentato da skater. Chiunque abbia una tavola prima o poi si ritrova li per provare la proprie abilità su quelle rampe di cemento o semplicemente per sentirsi a "casa" lontani da casa. Alex affronta Paranoid Park come affronta la sua vita, in disparte. Sta seduto sulla sua tavola e osserva gli altri nelle loro evoluzioni quasi ipnotiche, rilassanti. Ed è in quei momenti, mentre immagina di essere li in mezzo a loro, che i suoi grandi occhi guardano più lontano e la sua mente si affolla di pensieri: la scuola, gli amici, la ragazza, il divorzio dei genitori ma soprattutto quell' incidente, capitato chissà per quale beffardo scherzo del destino, seguito da un senso di colpa che lo divora e lo schiaccia sotto un peso che non è in grado di confidare a nessuno.
Gus Van Sant non ha occhi che per lui: Alex è quasi sempre in primo piano, il suo viso pulito e i suoi occhi che esprimono tutto quello che con le parole non può o non vuole comunicare. Questo blocco ha creato una frattura definitiva con il resto, soprattutto con gli adulti sempre meno capaci di avvicinarsi al mondo degli adolescenti. Van Sant sottolinea questa distanza incolmabile tenendo gli adulti (la madre di Alex, il padre o il poliziotto) ai margini dell' inquadratura, ripresi di spalle, fuori fuoco o mandandoli lentamente fuori campo con delicati movimenti di macchina. Gli stessi movimenti di macchina con cui si muove tra gli skater di Paranoid Park, con la musica che ovatta i suoni e le parole, restituendoci il mondo visto da Alex nella sua impossibile ricerca di pace. L'unico sfogo rimane un foglio di carta su cui scrivere i suoi pensieri, una lettera su cui "imprimere" il suo dolore, sulla quale confessare una colpa che brucia dentro di lui come un fuoco, e consegnarla all' unico destinatario possibile, il fuoco stesso. Film di un' intensità capace di togliere il fiato in più di un'occasione.
I delicati equilibri che reggono i rapporti tra gli individui (siano essi dello stesso sesso e di sesso differente) non sono certo vincolati da regole scritte. Ognuno è un caso a se, ogni persona si rapporta agli altri in maniera differente: c'è chi è espansivo, aperto, comunicativo. C'è chi per proteggersi rimane chiuso, evita di avvicinarsi (non solo fisicamente) agli altri. E infine c'è Lars. Fin dai primissimi minuti del film la sua condizione ci vine mostrata in maniera piuttosto esplicita. Lars vuole stare solo, non vuole "avvicinarsi" ad altre persone e non vuole che gli altri si avvicinino a lui. Vive nel garage della casa di famiglia a due passi dal fratello e dalla cognata che cercano in tutti i modi di capire quale sia il suo problema. A lavoro, a mala pena rivolge qualche parola ai suoi colleghi ed evita totalmente una giovane ragazza che sembra avere un particolare interesse per lui. La situazione sembra cambiare improvvisamente quando Lars si presenta a casa del fratello e della cognata chiedendo ospitalità per una ragazza, Bianca, conosciuta su internet. I coniugi sono ben contenti di dare alloggio ad una persona a cui Lars sembra tenere molto e proprio per questo la loro sorpresa (ma sarebbe meglio definirlo "shock") è maggiore quando scoprono che Bianca è in realtà una "real doll", una bambola dalle fattezze umane anatomicamente perfetta e del tutto simile ad una donna vera. Ci sono dei buoni motivi per recuperare il film di Craig Gillespie, gli stessi motivi che ve lo faranno apprezzare per quello che è, un' opera piccola che riesce comunque a fare un' adeguata riflessione sulle problematiche dei rapporti umani. Innanzitutto, "Lars e una Ragazza Tutta Sua", è un' opera prima e solo per questo andrebbe recuperata, ma è soprattutto la maniera in cui Gillespie e la sceneggiatrice Nancy Oliver descrivono e raccontano (rischiando anche di cadere nello stucchevole) la maniera in cui le persone che vivono vicino a Lars (familiari e non) facciano fronte comune per aiutarlo, assecondando la sua "realtà distorta", accettato Bianca nella loro piccola comunità. Ma anche il lavoro fatto sul personaggio principale (interpretato da un perfetto Ryan Goslin), sul suo crearsi la persona perfetta per imparare ad avvicinarsi agli altri, per imparare ad amare, per abbattere le barriere che gli impedivano qualsiasi contatto umano, provocandogli anche dolore quando questo contatto diventava fisico. Lars affronta, grazie a Bianca, un percorso "curativo", una relazione che si evolverà tra alti e bassi fino ad una dolorosa separazione che sarà per lui una rinascita.
He'll be your taxloss lover from Liverpool
Taxloss lover if the truth be told
Taxloss lover still lives in the War
Taxloss lover touching 74
Ah, come back to me
We want your money, taxloss
We think you are stupid
We give you money 'cos our assets are fluid yeah
We'll sell you down the river
Just remember that we said we'd deliver you
Sign on the line and we'll give you the money
And then you'll be mine and we'll fly somewhere sunny
And you'll quibble that our drivel seems unsatifactory
You're a taxloss, come back to me
We want your money, taxloss
He'll be your taxloss lover and his name is Bert
Taxloss lover and he's always a flirt
Your taxloss lover into kinky sex
Your taxloss lover wears a cracking dress
Ah, come back to me
We want your money, taxloss
We think you are stupid
We give you money 'cos our assets are fluid yeah
We'll sell you down the river
Just remember that we said we'd deliver you
Sign on the line and we'll give you the money
And then you'll be mine and we'll fly somewhere sunny
You'll quibble that our drivel seems unsatifactory
We're a taxloss, come back to me
We want your money, taxloss
We think you are stupid
We give you money 'cos our assets are fluid yeah
We'll sell you down the river
Just remember that we said we'd deliver you
Sign on the line and we'll give you the money
And then you'll be mine and we'll fly somewhere sunny
And you'll quibble that our drivel seems unsatifactory
We're a taxloss, come back to me
We want your money, taxloss
Taxloss, mod rock
Junk pop, chart hop
Mop top, swap shop
Who'd you nick your cliche off
WOMEN
1. JUNO
2. MAGGIE
3. FIONA
4. HENRIETTE
5. JELIZA
TITOLO ORIGINALE: TERMINATOR - THE SARAH CONNOR CHRONICLES
TITOLO ITALIANO: TERMINATOR - THE SARAH CONNOR CHRONICLES
NUMERO EPISODI: 9
-TRAMA-
Dopo aver fermato il temibile T-1000 grazie al sacrificio del T-800, Sarah e John Connor (futuro leader della resistenza contro le Macchine) sono ancora in fuga ricercati dall' FBI. Ma un nuovo Terminator è sulle loro tracce e la minaccia di Skynet non sembra essere stata eliminata del tutto.
-COMMENTO-
Terminator 3, più che un vero e proprio seguito, sembrava una parodia dei film precedenti. Se si esclude il terminator donna, qualche sequenza fracassona e il finale, il film non sembra prendersi molto sul serio e lo stesso Schwarzenegger, prossimo a diventare Governatore della California, risultava proprio poco credibile nei panni che James Cameron gli aveva diligentemente cucito addosso.
Mentre è in arrivo per il prossimo anno il quarto capitolo (Terminator: Salvation) con protagonista Christian Bale nel ruolo di John Connor, in America è andata in onda la prima stagione del serial che vuole raccontare gli avvenimenti successivi a Terminator 2: Terminator - The Sarah Connor Chronicle. Ritroviamo Sarah e John, che hanno iniziato una nuova vita con delle nuove identità per nascondersi all' FBI, fuggire nuovamente da una minaccia invisibile che sembra sfociare nella paranoia. Macome scopriranno molto presto un nuovo Terminator è stato inviato dal futuro per uccidere John mentre un'altro, questa volta con le fattezze di una giovane adolescente, è stato mandato per difenderlo (non è di certo una novità, me ne rendo conto...). Sullo sfondo la minaccia di Skynet, che non è stata per niente debellata, si fa sempre più ingombrante.
L' incipit dell' episodio pilota è intenso e folgorante, promette fuoco e fiamme ma alla fine la serie da solo qualche scintilla: pur essendo scritta molto bene, seguendo in maniera precisa la continuity con i film di Cameron (vengono ripresi fedelmente alcuni episodi ed alcuni personaggi) il susseguirsi degli eventi non si fa mai sufficientemente serrato come ci si aspetterebbe da una serie così dove, anche l'azione pura, che contraddistingueva i "padri" cinematografici, latita un po' troppo. C'è qualche sparatoria, qualche inseguimento, ma quando i Terminator si menano si rimane un po' perplessi perché i combattimenti si risolvono con una serie di spintoni e mura di cemento abbattute. La cosa risulta un po' ridicola se si pensa che ci troviamo di fronte a delle macchine assassine e non a dei bambini che si fanno i dispetti. Gli effetti speciali sono ben realizzati (nel limite concesso ad una serie TV naturalmente) soprattutto quelli relativi al make-up dei terminator, con la pelle lacerata che lascia intravedere il metallo dell' endoscheletro.
Insomma, la serie si merita una sufficienza stiracchiata soprattutto per lo sforzo fatto in fase di scrittura per mantenere coerenza con i film cinematografici. Se la seconda stagione però non avrà quella marcia in più che mi aspetto, non credo che sarò così generoso.
-DVD-
La serie sbarcherà nelle TV italiane a partire da novembre. Il cofanetto dvd Regione 2 è acquistabile qui.
A dispetto del solito inadatto e fuori luogo sottotitolo italiano (che recita con orgoglio "Il Talento di una Donna Inglese" urgh...), Irina Palm non è un film che parla di una donna brava a soddisfare uomini lussuriosi pronti ad infilare il loro pisello in un buco nel muro per farselo "smanacciare". O meglio, parla anche di questo ma sarebbe estremamente riduttivo parlarne in questi termini. Irina Palm è un film che parla di sacrificio e minuto dopo minuto sembra continuare a porre insistentemente sempre la stessa domanda a noi spettatori: "Cosa sareste disposti a fare o fin dove sareste disposti a spingervi per aiutare una persona che amate?". Maggie è una donna di mezza età, vedova. La sua famiglia si compone unicamente del figlio, la nuora e il piccolo nipotino Ollie. Sfortunatamente proprio quest' ultimo è affetto da una grave malattia per la quale non si riesce a trovare una cura adatta. Le spese mediche hanno costretto la famiglia ad indebitarsi, Maggie ha venduto anche la casa dove viveva, ed adesso che sembra ci possa essere una nuova speranza quello che manca sono i soldi. Una terapia sperimentale potrebbe salvare il bambino da morte certa, solo che le cure vengono effettuate in una clinica in Australia e Ollie deve essere per forza ricoverato li. Per trovare il denaro necessario per il viaggio e per l'alloggio in terra australiana, Maggie decide di trovarsi un lavoro. Per una donna della sua età la cosa appare impossibile fino a quando viene assunta come hostess in un locale chiamato Sexy World. Come avrà modo di scoprire subito una "hostess" deve fare tutt'altro che pulire e mettere in ordine, ma Maggie si dimostrerà talmente brava e dotata nell' "intrattenere" i clienti del locale, da guadagnarsi il nome d'arte di Irina Palm. Sam Garbaski porte in scena una storia difficile ma anche uno dei personaggi femminili più belli della passata stagione (interpretato da una sorprendente Marianne Faithfull), una donna all' apparenza mite ma che dimostra una forza d'animo straordinaria quando la situazione lo richiede, nonché la capacità di andare oltre le distinzioni "giusto" o "sbalgiato" quando in gioco c' è la vita di suo nipote. Giudicarla per le sue scelte può apparire semplice ed infatti le reazioni delle persone che la conoscono sono scontate e prevedibili ma non per questo meno vere: Maggie si trova immersa in un mondo solo all'apparenza diverso da quello dove ha vissuto fino a quel momento, dove "sfruttamento" e "soldi" vanno a braccetto ma dove incredibilmente trova conforto (e anche qualcosa di più) proprio tra le persone che le hanno dato e insegnato quel lavoro. Altrettanto non accade con il figlio o con le sue "amiche" per bene e benestanti, che la guardano dall' alto in basso e se ne fregano dei suoi problemi. Giudicare è facile ma "chi è senza peccato scagli la prima pietra" vale sempre, soprattutto in questo caso.
HEROES
1. MARJANE SATRAPI
2. TONY STARK
3. BRUCE WAYNE
4. RED
5. BRUCE BANNER