Film come La Mia Vita è uno Zoo ti mettono di fronte alla scomoda verità che pellicole di questo tipo sono necessarie. Il cinefilo più intollerante o anche semplicemente lo spettatore dotato di semplice (buon) gusto, potrebbero certamente dissentire ma è inequivocabile che è questo che, diciamocelo, la maggior parte del pubblico cerca, il voler essere presi per mano ed accompagnati in storie costruite sul dramma ma il cui lieto fine è li ad aspettarli. Favole moderne che coincidono con la forma più basilare del sogno americano, la realizzazione dei propri desideri spinti sopratutto dalla propria determinazione e volontà. Questa è in fondo la storia di Benjamin Mee, giornalista/scrittore che si ritrova vedovo con una bambina ancora piccola e con un rapporto difficile con il figlio adolescente. L' opportunità di ricominciare da zero arriva quando trova una casa fuori città nella cui proprietà è incluso anche uno zoo e le persone che ne curano gli animali e la manutenzione. Convinto che sia la cosa migliore per lui e per i figli, Benjamin decide di riaprire la struttura. Se da un lato non si può negare l' importanza di raccontare favole "positive", anche e sopratutto attraverso il cinema, dall' altro è difficile accettare questo atteggiamento consolatorio da "tanto alla fine va tutto bene" che non stimola in nessun modo il pubblico ma lo spinge unicamente verso l' accettare per buono unicamente ciò che è prevedibile (tanto nei risvolti della narrazione che nelle emozioni suscitate). Cameron Crowe, che da anni raschia sul fondo ciò che è rimasto del successo di Jerry McGuire, non ci mette nulla di suo, si limita a fare lo stretto necessario per portare a casa la pagnotta e così pure i grandi nomi protagonisti (Matt Damon e Scarlett Johansson) che non possono quasi competere contro i giovani attori come Elle Fanning, un raggio di sole in un film altrimenti desolato e desolante.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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