Friday, June 29, 2012
CINE20 - 61^ PUNTATA
Puntata avarissima di recensioni ed infatti non ne trovate neanche una. In sala però arriva, un po' a sorpresa, Take Shelter di Jeff Nichols, un film per il quale c' era gente pronta a scommetterci la casa che nessuno avrebbe mai distribuito qui da noi. Per quel che riguarda l' home video, è tempo di horror thai con Coming Soon.
Online qui, cari lettori.
Thursday, June 28, 2012
Un DITTATORE cattivo ma irresistibile
Sasha Baron Cohen non dovrebbe avere bisogno di approfondite presentazioni. Comico e attore, tra le altre cose, ha fatto del trasformismo il suo cavallo di battaglia costruendo sulla sua persona dei formidabili alter-ego: tutto è cominciato con Ali-G, parodia dei rapper di colore americani, ma è con Borat e Bruno che Baron Cohen ha lasciato davvero il segno, utilizzando la sua comicità scomoda, spesso pesante e politicamente scorretta, per colpire dall' interno tutte le contraddizioni della società americana. Giunto alla terza collaborazione con il regista Larry Charles, si abbandona la strada del mockumentary che aveva contraddistinto i precedenti film e si punta ad un film di pura fiction con protagonista il generale Aladeen, dittatore dell' immaginario stato africano di Wadiya. Costretto a relazionare davanti ai delegati dell' ONU sulla possibile presenza di armi di distruzione di massa nel suo Paese, Aladeen viene sostituito da un sosia perfetto attraverso il quale, il suo fidato braccio destro, intende trasformare la dittatura in una democrazia fittizia e stringere accordi con le società petrolifere per lo sfruttamento delle risorse di Wadiya. Sasha Baron Cohen non risparmia niente e nessuno, fin dalla dedica prima degli opening credits fino alle sequenze dei titoli di coda: tutto finisce nel tritacarne della sua comicità, dai dittatori defunti o presunti tali fino a qualsiasi tipo di minoranza, dall' inquietante eccentricità dei capi di Stato africani fino al modo ambiguo che ha la comunità internazionale di trattare con loro. Ma le stoccate più forti e più pesanti arrivano direttamente alla cosi detta "più grande democrazia del mondo" paragonata ad una dittatura, in maniera indiretta e forse proprio per questo maggiormente efficace, proprio dal protagonista. Il film vanta la partecipazione di volti noti, alcuni interpretano proprio se stessi, e anche se interamente di finzione per evidenti motivi logistici (non credo sarebbe stato possibile girare all' ONU e rovesciare urina sul delegato israeliano) funziona come, e forse in alcuni casi meglio, dei precedenti. Certo, la comicità spesso e volentieri si fa di grana grossa ma un attento e non troppo puntiglioso senso dell' umorismo aiuta di certo ad apprezzare un personaggio che ormai abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare. Perciò si tratta di prendere o lasciare, niente di più.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Tuesday, June 26, 2012
"You are here because you some Justin Beaver, Molly Cyrus lookin' motherfuckers."
Non so cosa faccia più spavento, se l' ennesimo film tratto da una vecchia serie tv o Jonah Hill magro. Entrambe le cose sono però parti inseparabili del patrimonio genetico di 21 Jump Street, film della coppia Phil Lord / Chris Miller (Piovono Polpette), scritto, tra gli altri, dallo stesso Jonah Hill che interpreta anche uno dei protagonisti insieme a Channing Tatum. Quasi sconosciuta da noi e andata in onda in America dal '87 al '91, la serie a sfondo poliziesco prodotta da Stephen J. Cannell raccontava di una squadra di agenti sotto copertura impegnati in crimini giovanili con protagonisti un esordiente Johnnie Depp e Peter DeLuise che compaiono nel film di Lord e Miller in un breve ma immancabile cameo. Come già accaduto per Stursky & Hutch, le tematiche seriali lasciano il posto, nella versione cinematografica, alla più classica commedia. Trattandosi comunque di una storia a sfondo poliziesco non mancano, seppur limitate, sparatorie ed inseguimenti che sembrano più che altro l' ennesimo tentativo di resuscitare quella buddy comedy morta e sepolta dai tempi di Beverly Hill Cop e Arma Letale. Quella di 21 Jump Street appare insomma l' ennesima operazione che parte, fin dagli intenti, con il piede sbagliato ma che a conti fatti, e con gran sorpresa, si rivela una commedia davvero divertente. Se la coppia Hill / Tatum funziona egregiamente, lo stesso si può dire dell' approccio comico basato sugli opposti: se ai tempi del liceo uno è un nerd e l' altro uno dei ragazzi più popolari della scuola, sette anni più tardi, infiltrati come studenti proprio in una scuola superiore, la situazione sarà completamente ribaltata. C'è poi un modo pianamente consapevole di scherzare con i classici cliché del genere e si mette alla berlina in maniera molto divertita la cronica mancanza di idee che sta alla base di progetti come questo. Non si può certo evitare l' effetto parodia ma nel complesso si apprezza l' onestà d' intenti e si ride, per fortuna, anche parecchio.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Monday, June 25, 2012
No way out
Una ragazza scomparsa, l' ennesima di una lunga lista che sembra essersi volatilizzata nel nulla, inghiottita dalla "killing fields" texane. Ma nelle ombre di quella terra di morte sembra muoversi indisturbato un serial killer che un poliziotto, aiutato seppur con riluttanza dal suo partner, vorrebbe assicurare alla giustizia. Ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti, Le Paludi della Morte (al solito, semplificazione fuori luogo dall' originale Texas Killing Fields) è il secondo lungometraggio di Ami Canaan Mann, che ripercorre strade e tematiche già intraprese dal cinema noir / poliziesco e non solo. Il film, confezionato come meglio non si poteva aspettare dalla figlia di Michael Mann, regista che non ha certo bisogno di presentazioni e che qui produce, forse non brillerà in particolar modo per originalità ma è capace ugualmente di farci sprofondare in atmosfere angoscianti, dove lo sguardo della macchina da presa spesso finisce per (con)fondersi con quello dei predatori verso le loro vittime designate, dove tra vittime e carnefici si frappongono una manciata di buoni ma disillusi poliziotti, mentre tutto intorno le killing fields richiedono il loro tributo di sangue quasi fossero vive e pensanti. Ma quello che emerge sopratutto è l' ennesimo ritratto di un profondo sud spaventoso, che vive secondo le proprie regole, dove anche la legge si piega e si nasconde dietro un muro di omertà, dove i più sfortunati diventano corpi dimenticati a marcire al sole e di loro non resta che qualche foto appesa ad un muro.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Sunday, June 24, 2012
Lyric of the Week + Video / NOEL GALLAGHER'S HIGH FLYING BIRDS - EVERYBODY'S ON THE RUN
You can't find the feeling
All is the same in the pouring rain, y'know, y'know
Coming out of the ceiling
Falling from above, growing in and out of love
A broken heart is still beating
In and out of time, hold your body next to mine, y'know, y'know
But you can't stop the bleeding
Sing to yourself and hold on
'Cos everybody's on the run, everybody's on the run
Hang in there love, you gotta hold on
Hang in there love, you gotta hold on
'Cos everybody's on the run, everbody's on the run
Everybody's on the run, everybody's on the run
You've been drifting and stealing
Trying to walk in my shoes, but they don't belong to you, no they don't
But you can't find the meaning
Sing to yourself and hold on
'Cos everybody's on the run, everybody's on the run
Hang in there love, you gotta hold on
Hang in there love, you gotta hold on
'Cos everybody's on the run
Hang in there love, you gotta hold on
Hang in there love, you gotta hold on
'Cos everybody's on the run, everbody's on the run
Everybody's on the run, everybody's on the run
Hang in there love, you gotta hold on
You gotta be strong enough for love, y'know, y'know
Hang in there love, you gotta hold on
You gotta be strong enough for love, y'know, y'know
Hang in there love, you gotta hold on
You gotta be strong enough for love, y'know, y'know
Hang in there love, you gotta hold on
'Cos everybody's on the run, everbody's on the run
Everybody's on the run, everybody's on the run"
Friday, June 22, 2012
CINE20 - 60^ PUNTATA
In una settimana in cui la cosa più ci interessa andare a vedere è la versione restaurata di The Blues Brothers, vi proponiamo ben quattro recensioni tra le quali il ritorno di Sasha Baron Cohen con Il Dittatore. Esce anche Millennium - Uomini che Odiano le Donne in una edizione Bluray imperdibile. Tutto questo nella puntata n° 60, online qui.
Thursday, June 21, 2012
BREAKING BAD - SEASON 04 -
TITOLO ORIGINALE: BREAKING BAD
TITOLI ITALIANO: BREAKING BAD
NUMERO EPISODI: 13
TITOLI ITALIANO: BREAKING BAD
NUMERO EPISODI: 13
-TRAMA-
L' ennesima presa di posizione di Walter fa precipitare definitivamente i già complicati rapporti con Gus che decide di eliminare alla radice il suo problema. L' unica speranza per Walter è che Jesse trovi il coraggio di uccidere l' unica persona che può garantirgli la sopravvivenza.-COMMENTO-
Scrivere di Breaking Bad è diventato, stagione dopo stagione, sempre più difficile. Voglio dire, se ci trovassimo di fronte ad una pessima serie, le parole verrebbero fuori come una cascata; trattandosi invece di una serie grandiosa, qui si rischia davvero di ripetersi ogni volta: la storia è sempre più bella e avvincente. I personaggi sempre più definiti e tutti hanno il loro ruolo e quando dico tutti, intendo proprio tutti. Cioè, Breaking Bad non è come quelle serie che dopo un paio di stagioni riempono i tempi morti con le inutili side-stories dei personaggi secondari. No, in Breaking Bad ogni personaggio è un frammento dell' insieme. E allora, giunti alla quarta stagione senza mai inciampare, cosa possiamo dire? Possiamo ad esempio analizzare come siamo partiti e dove siamo arrivati: abbiamo un professore di chimica che scopre di avere il cancro e decide di utilizzare le sue conoscenze per produrre metanfetamina e guadagnare quanto basta per mettere al sicuro la sua famiglia. E già da allora ci aveva fatto capire cosa era realmente successo "si è svegliato". O meglio si è svegliata quella parte di lui (Heisenberg) che dormiva da tempo, una carica esplosiva devastante che aspettava solo qualcosa che accendesse la miccia. Ora abbiamo sempre un marito ed un padre di famiglia ma abbiamo sopratutto un uomo che si è spinto talmente oltre da fare qualsiasi (QUALSIASI) cosa per sopravvivere e che se messo alle strette diventa davvero pericoloso. E non possiamo che attendere con il cuore in gola la quinta e conclusiva serie per vedere come tutti i conti verranno pareggiati.-DVD/BLURAY-
Ancora nada qui da noi ma l' edizione inglese esce dopo l'estate ed è già pre ordinabile qui.
Wednesday, June 20, 2012
Muta nostalgia
Curioso caso cinematografico quello di The Artist di Michel Hazanavicius, sempre in bilico tra operazione nostalgica e gioco cinefilo, un film che si scardina volontariamente da qualsiasi contesto o linguaggio moderno per trasportarci nella Hollywood di fine anni '20 dove l' epoca del cinema muto si avviava verso un rapido tramonto a favore del cinema sonoro. Protagonisti di questo momento di passaggio sono due attori, George Valentine, star del muto, e la stella nascente Peppi Miller che si incontrano / scontrano casulmente, si piacciono ma che il destino terrà separati sia sentimentalmente che artisticamente. Valentine infatti, non è soltanto un uomo non tanto felicemente sposato, ma anche attore guidato da un forte orgoglio che gli impedisce di accettare un cambiamento così radicale nel mestiere che tanta fortuna gli ha portato fino a quel momento. Non è difficile comprendere come e perchè l' Academy abbia perso completamente la testa per un film che rievoca atmosfere hollywoodiane di un' era che sembra così lontana, ma quel che risulta davvero difficile è stabilire fin dove possa arrivare la portata di un progetto certamente unico ma che appare però troppo fine a se stesso. Tanto la recitazione, che toglie le parole in favore della sola espressività (straordinari in questo senso Jean Dujardin e Berenice Bejo), quanto l' utilizzo degli intertitoli, la regia, la fotografia, sembrano tutti mirati ad una riproduzioni fedele della sintassi del cinema muto e solo in pochi e incisivi momenti (la sequenza onirica dove i rumori invadono il silenzio, e quella finale) il film si scuote da questa "ricostruzione storica" che piace, diverte, sfiora il cuore (la bella scena nel camerino con la manica della giacca) senza, ahime, trafiggerlo mai.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Tuesday, June 19, 2012
SHERLOCK - SEASON 02 -
TITOLO ORIGINALE: SHERLOCK
TITOLO ITALIANO: SHERLOCK
NUMERO EPISODI: 3
TITOLO ITALIANO: SHERLOCK
NUMERO EPISODI: 3
-TRAMA-
Continuano le avventure investigative dei "moderni" Sherlock Holmes e Watson.-COMMENTO-
Parlando di una serie come Sherlock, la seconda stagione non soltanto era doverosa ma quantomeno obbligatoria visto il modo in cui ci ha lasciato in sospeso la prima, con la conclusione del primo tanto atteso confronto diretto tra l' "eroe" e la sua naturale nemesi. Ma è solo l' incipit di quello che ci aspetta nei tre episodi che compongono anche questa serie, una full immersion nell' universo dello Sherlock televisivo che reinterpreta o reinventa quello classico dei romanzi di Doyle: ecco quindi una Irene Adler in versione dominatrix / bisex fare breccia nella freddezza del nostro e tenere in scacco niente meno che la famiglia reale. Poi andiamo fino a Baskerville dove è stata avvistata una creatura mostruosa e infine un emozionante finale con la tesissima resa dei conti tra Holmes e Moriarty. Non c'è da aggiungere molto altro che non andrebbe a ripetere quanto già affermato per la prima serie. Sherlock è un prodotto di qualità, ottima tecnicamente e con un cast davvero notevole che non si limita ai soli Benedict Cumberbatch e Martin Freeman. Ma questi sono standard ai quali le serie britanniche ci hanno ormai abituato. Per la terza c'è da attendere un po' e noi pazientemente lo facciamo.-DVD/BLURAY-
Ancora nulla per il mercato italiano ma se ci si deve aspettare un' edizione scadente come quella della prima stagione, tanto vale andare dritti alle edizioni inglesi che trovate qui e qui.
Monday, June 18, 2012
Lo zoo in casa
Film come La Mia Vita è uno Zoo ti mettono di fronte alla scomoda verità che pellicole di questo tipo sono necessarie. Il cinefilo più intollerante o anche semplicemente lo spettatore dotato di semplice (buon) gusto, potrebbero certamente dissentire ma è inequivocabile che è questo che, diciamocelo, la maggior parte del pubblico cerca, il voler essere presi per mano ed accompagnati in storie costruite sul dramma ma il cui lieto fine è li ad aspettarli. Favole moderne che coincidono con la forma più basilare del sogno americano, la realizzazione dei propri desideri spinti sopratutto dalla propria determinazione e volontà. Questa è in fondo la storia di Benjamin Mee, giornalista/scrittore che si ritrova vedovo con una bambina ancora piccola e con un rapporto difficile con il figlio adolescente. L' opportunità di ricominciare da zero arriva quando trova una casa fuori città nella cui proprietà è incluso anche uno zoo e le persone che ne curano gli animali e la manutenzione. Convinto che sia la cosa migliore per lui e per i figli, Benjamin decide di riaprire la struttura. Se da un lato non si può negare l' importanza di raccontare favole "positive", anche e sopratutto attraverso il cinema, dall' altro è difficile accettare questo atteggiamento consolatorio da "tanto alla fine va tutto bene" che non stimola in nessun modo il pubblico ma lo spinge unicamente verso l' accettare per buono unicamente ciò che è prevedibile (tanto nei risvolti della narrazione che nelle emozioni suscitate). Cameron Crowe, che da anni raschia sul fondo ciò che è rimasto del successo di Jerry McGuire, non ci mette nulla di suo, si limita a fare lo stretto necessario per portare a casa la pagnotta e così pure i grandi nomi protagonisti (Matt Damon e Scarlett Johansson) che non possono quasi competere contro i giovani attori come Elle Fanning, un raggio di sole in un film altrimenti desolato e desolante.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Sunday, June 17, 2012
Lyric of the Week + Video / WOODKIN - RUN BOY RUN
Run Boy Run! This world is not made for you
Run Boy Run! They’re trying to catch you
Run Boy Run! Running is a victory
Run Boy Run! Beauty lays behind the hills
Run Boy Run! The sun will be guiding you
Run Boy Run! They’re dying to stop you
Run Boy Run! This race is a prophecy
Run Boy Run! Break out from society
Tomorrow is another day
And you won’t have to hide away
You’ll be a Man, Boy!
But for now it’s time to Run, it’s time to Run!
Run Boy Run! This ride is a journey to
Run Boy Run! The secret inside of you
Run Boy Run! This race is a prophecy
Run Boy Run! And disappear in the trees
Tomorrow is another day
And you won’t have to hide away
You’ll be a Man, Boy!
But for now it’s time to run, it’s time to run!
Tomorrow is another day
And when he night fades away
You’ll be a Man, Boy!
But for now it’s time to Run, it’s time to Run!
Friday, June 15, 2012
CINE20 - 59^ PUNTATA
Si sente, è nell' aria! Sta arrivando a grandi passi quel periodo dell' anno dove le uscite interessanti si fanno sempre più rare e perciò non rimane che accontentarsi di ciò che passa il convento: abbiamo recensito/subito per voi La Mia Vita è uno Zoo e Ong Bak 3. In sala escono il film della figlia di Michael Mann, Le Paludi della Morte, il nuovo film con Sasha Baron Cohen mascherato, Il Dittatore, ed il film con Jonah Hill magro, 21 Jump Street. Inesistenti le proposte home video.
Online qui.
Thursday, June 14, 2012
"My religion, what I believe in is called the Constitution of United States of America."
Da gigione impenitente a ruoli impegnati, George Clooney non ha più tanto da dimostrare in fatto di capacità attoriali e, anche se non particolarmente prolifico, anche come regista ha saputo ritagliarsi il suo spazio. Giunto al suo quarto film, seppur meno brillante o stratificato di Confessioni di una Mente Pericolosa e Good Night and Good Luck, Le Idi di Marzo è forse quello più diretto nelle intenzioni e nei messaggi ma non per questo meritevole di meno attenzioni rispetto agli altri. La storia, ambientata durante il momento più caldo delle primarie per eleggere il candidato presidenziale dei Democratici, ha come protagonista Stephen Meyer, un giovane consulente impegnato nella campagna a sostegno del governatore dato per favorito. Profondamente idealista, Stephen scoprirà presto, anche a causa della sua ingenuità, il vero volto della politica. Attraverso un protagonista così naive Clooney sembra voler sottolineare l' importanza di dare, sopratutto alle nuove generazioni, una politica in cui credere, ma di come sia molto più facile tradire (il titolo del film è un riferimento piuttosto evidente) gli ideali piuttosto che coltivarli. Considerato il suo ben noto inclinamento politico, è encomiabile l' impegno di portare all' attenzione del pubblico certe tematiche, anche se si gioca facile con una storia non particolarmente innovativa o incisiva che evita il "conflitto d' interessi" portando gli scandali, i doppi giochi e i ricatti in casa dei Democratici. A parte questo, ottimo il contributo degli attori, dal giovane Ryan Gosling fino ai "veterani" esperti caratteristi Paul Giamatti e Phllip Seymour-Hoffman.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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Wednesday, June 13, 2012
"I'm done with killing"
Quello di Killer Elite è un caso un po' particolare. L' interesse che si potrebbe nutrire verso il film nasce dalla presenza di Jason Statham. Non di Robert De Niro, che il suo tempo è già passato da un pezzo. Non di Clive Owen, che il suo tempo non è mai arrivato. E neanche di Dominic Purcell, che se non fugge di prigione non se lo fila nessuno. No, Killer Elite ha un unico biglietto da visita che è anche l' unica figura rappresentativa del cinema action di oggi, Jason Statham appunto. E' un film che promette delle cose insomma, partendo proprio dal suo attore principale che il suo mestiere lo sa fare anche quando è costretto in un film con dei confini precisi. Killer Elite infatti è "basato su di una storia vera", dove per storia vera si intende un libro scritto da un ex S.A.S. nel quale racconta le cose sporche fatte dalle forze speciali britanniche durante la guerra nei paesi arabi a cavallo tra gli anni '70 e '80. Quindi in realtà il film di Gary McKendry è basato su di un libro che si prefigge di raccontare la verità, romanzandola, dietro un gruppo scelto di assassini che presero di mira alcuni soldati delle S.A.S. per conto di uno sceicco desideroso di vendicarsi per la morte dei suoi figli. Per farlo cerca di coniugare il contesto storico / politico con le necessità del film di genere, due aspetti che si dimostrano però incompatibili sopratutto quando la scrittura non riesce ad andare oltre il clichè e la retorica sia nelle svolte narrative che nella definizione del protagonista. Aspetti che in un comune film d' azione non pesano più di tanto ma che, spalmati su due ore di visione, diventano fin troppo evidenti. C'è del buono comunque, non ultima la scelta di lasciare la violenza fuori dall' inquadratura (come nel primo omicidio), ed è tutto riconducibile alle sequenze dove Statham è protagonista che sembrano quasi piazzate ad arte per aumentare il livello di coinvolgimento prima che lo si perda irrimediabilmente.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Tuesday, June 12, 2012
Far East Film Festival 14 - Day 9
FLAME
Regia di Yu Hyun-mok (Retrospettiva "The Darkest Decade")
Ferito ed in fuga, un uomo si nasconde in una grotta dove rievoca nella sua mente episodi fondamentali della sua vita. Con una struttura narrativa non elaboratissima ma con un uso dei flashback estremamente funzionale inseriti con un interessante uso del montaggio, Yu Hyun-mok riesce a raccontare, non soltanto la vita del protagonista ed i suoi dilemmi esistenziali / politici, ma anche un momento storico per la Corea del ventesimo secolo, l' invasione dei giapponesi e il proliferare del comunismo. Flame è forse uno dei film più significativi della retrospettiva sul decennio oscuro del cinema coreano proprio per il modo in cui il regista riesce a raccontare il passato del proprio Paese per capirne le vicissitudini del presente.
SIX DEGREES OF SEPARATION FROM LILIA CUNTAPAY
Regia di Antoinette H. Jadaone
Lilia Cuntapay si è guadagnata negli anni il titolo di regina dell' horror del cinema filippino e quindi a noi nome sconosciuto. Eppure la regista Antoinette Jadaone prova a fare breccia nell' ignoranza (in senso assolutamente positivo) anche del pubblico internazionale con un mockumentari che racconta una donna il cui nome può anche non essere conosciuto ma la cui figura, i suoi ruoli, l' hanno resa una piccola e indimenticata icona del cinema di genere. Non ci è dato sapere cosa sia vero e cosa no di tutto quel che vediamo su schermo, ma quel che ne emerge è certamente una donna dalla grande vitalità e personalità il cui sentito ritratto fa sorridere e commuovere. Six Degrees of Separation from Lilia Cuntapay forse risente del fatto che fosse stato concepito inizialmente come lungometraggio e, solo in seguito dopo aver visto la quantità e la qualità di materiale raccolto, sia stato riadattato per diventare un lungometraggio, tra l' altro quello d' esordio per la giovane regista.
THE VIRAL FACTOR
Regia di Dante Lam
Ormai non c'è FEFF senza Dante Lam. Dall' edizione 11 in avanti, il regista hongkonghese è sempre stato presente con le sue pellicole per deliziare (non tutti, intendiamoci) con i suoi action / polizieschi, tutti inseguimenti, sparatorie, esplosioni e vetri infranti. E non ci poteva essere titolo migliore di The Viral Factor per concludere questa piccola grande festa del cinema con il botto. Gli elementi chiave del suo cinema ci sono tutti ed un considerevole budget permette a Lam di esagerare (un paio di ralenty fanno pensare addirittura a Zack Snyder) con una lunga sequenza d' apertura ambientata in Giordania che è una gioia per gli occhi e per le orecchie. Ma siamo solo all' inizio e le altre frecce al suo arco possono tranquillamente farci definire The Viral Factor come uno dei suoi film più ispirati da un punto di vista registico. Storie e sceneggiatura invece sono nella media del cinema di Lam, intrecci forzati, coincidenze improbabili ed il classico poliziotto che mette in discussione i suoi doveri, in questo caso per aiutare il fratello criminale. Se ci si aspettava qualcosa di diverso non si doveva nemmeno mettere i piedi in sala.
Regia di Yu Hyun-mok (Retrospettiva "The Darkest Decade")
Ferito ed in fuga, un uomo si nasconde in una grotta dove rievoca nella sua mente episodi fondamentali della sua vita. Con una struttura narrativa non elaboratissima ma con un uso dei flashback estremamente funzionale inseriti con un interessante uso del montaggio, Yu Hyun-mok riesce a raccontare, non soltanto la vita del protagonista ed i suoi dilemmi esistenziali / politici, ma anche un momento storico per la Corea del ventesimo secolo, l' invasione dei giapponesi e il proliferare del comunismo. Flame è forse uno dei film più significativi della retrospettiva sul decennio oscuro del cinema coreano proprio per il modo in cui il regista riesce a raccontare il passato del proprio Paese per capirne le vicissitudini del presente.
SIX DEGREES OF SEPARATION FROM LILIA CUNTAPAY
Regia di Antoinette H. Jadaone
Lilia Cuntapay si è guadagnata negli anni il titolo di regina dell' horror del cinema filippino e quindi a noi nome sconosciuto. Eppure la regista Antoinette Jadaone prova a fare breccia nell' ignoranza (in senso assolutamente positivo) anche del pubblico internazionale con un mockumentari che racconta una donna il cui nome può anche non essere conosciuto ma la cui figura, i suoi ruoli, l' hanno resa una piccola e indimenticata icona del cinema di genere. Non ci è dato sapere cosa sia vero e cosa no di tutto quel che vediamo su schermo, ma quel che ne emerge è certamente una donna dalla grande vitalità e personalità il cui sentito ritratto fa sorridere e commuovere. Six Degrees of Separation from Lilia Cuntapay forse risente del fatto che fosse stato concepito inizialmente come lungometraggio e, solo in seguito dopo aver visto la quantità e la qualità di materiale raccolto, sia stato riadattato per diventare un lungometraggio, tra l' altro quello d' esordio per la giovane regista.
THE VIRAL FACTOR
Regia di Dante Lam
Ormai non c'è FEFF senza Dante Lam. Dall' edizione 11 in avanti, il regista hongkonghese è sempre stato presente con le sue pellicole per deliziare (non tutti, intendiamoci) con i suoi action / polizieschi, tutti inseguimenti, sparatorie, esplosioni e vetri infranti. E non ci poteva essere titolo migliore di The Viral Factor per concludere questa piccola grande festa del cinema con il botto. Gli elementi chiave del suo cinema ci sono tutti ed un considerevole budget permette a Lam di esagerare (un paio di ralenty fanno pensare addirittura a Zack Snyder) con una lunga sequenza d' apertura ambientata in Giordania che è una gioia per gli occhi e per le orecchie. Ma siamo solo all' inizio e le altre frecce al suo arco possono tranquillamente farci definire The Viral Factor come uno dei suoi film più ispirati da un punto di vista registico. Storie e sceneggiatura invece sono nella media del cinema di Lam, intrecci forzati, coincidenze improbabili ed il classico poliziotto che mette in discussione i suoi doveri, in questo caso per aiutare il fratello criminale. Se ci si aspettava qualcosa di diverso non si doveva nemmeno mettere i piedi in sala.
Monday, June 11, 2012
Far East Film Festival 14 - Day 8
THE COCKFIGHTERS
Regia di Jin Rui
Piccolo film indipendente cinese, opera d' esordio del regista Jin Rui e una delle sorprese del festival. La storia prende piede in un piccolo villaggio cinese dove un allevatore di galli da combattimento guadagna quel che serve per la sua famiglia con le scommesse sugli incontri, fino al giorno in cui sfida e sconfigge un ricco e prepotente adolescente. In poche e decisive scene Jin Rui delinea una società dove le disparità economiche fanno una differenza gigantesca, dove giusto e sbagliato non hanno alcun significato, dove un uomo non può avere giustizia contro il più forte. Girato in maniera davvero convincente e con un gran uso di colonna sonora e montaggio, The Cockfighters è ben lontano dai classici tempi narrativi o sull' uso di una violenza (piuttosto esplicita soprattutto sugli animali) del cinema cinese continentale e forse proprio per questo colpisce con più forza quando ci si rende conto che il più debole è sempre costretto al sacrificio più grande.
AFRO TANAKA
Regia di Matsui Daigo
Un ragazzo con la pettinatura afro è il protagonista assoluto dell' esordiente Matsui Daigo, nonché il personaggio cult del Festival. Vince a mani basse, non c'è storia. Ma non è solo la sua pettinatura. E' anche il fatto che si tratta di un perdente, uno sfigato a livello genetico che non riesce a trovarsi una ragazza. Ma una promessa fatta con gli amici del liceo lo costringe ad accelerare i tempi di ricerca di una compagna. Afro Tanaka è tratto da un manga ed uno dei maggiori pregi del film e del giovane regista è di essere riuscito a trasportare su schermo la comicità della carta stampata che va oltre le singole gag e si appoggia tantissimo sull' attore Shota Matsuda e la sua mimica irresistibile. Film sugli immortali valori dell' amicizia e sui complicatissimi meccanismi dell' amore che il povero Tanaka fa davvero fatica a comprendere. Finale per nulla scontato e da lacrime e mal di pancia dal ridere.
THE BOUNTY
Regia di Fung Chih-chiang
Terzo film d' esordio della giornata e anteprima mondiale. Così si presenta al pubblico di Udine Fung Chih-chiang conosciuto l' anno scorso per lo script del thriller Punished targato Milkyway. Il protagonista è un cacciatore di taglie che accetta di dare la caccia ad un ricercato rifugiatosi in una isoletta che è quasi un mondo a parte visto i curiosi personaggi che la abitano. Omaggio al cinema e alla comicità di quel genio intramontabile di Michel Hui, The Bounty, spiace dirlo, delude un po': se Chapman To è una presenza comica irresistibile anche quando è serio, la vena comica del film non sembra mai decollare veramente, strappa qualche sorriso ma appare stanca e stancante. Lo stesso dicasi per gli altri registri del film (action e drammatico) davvero poveri e forse evitabili. E' un opera d'esordio e forse un occhio (o anche due) si può chiudere ma, confrontarsi con il maestro non è stata una grande idea.
VULGARIA
Regia di Pang Ho-cheung
La quattordicesima edizione del FEFF è targata Pang Ho-cheung, c'è poco da fare. Vulgaria è il suo terzo film in programma, il secondo ufficialmente in concorso insieme a Love in the Buff, ed è l' esempio perfetto del talento eclettico di Pang, autore che non si sofferma mai su di un genere ma adora esplorarli tutti contaminandoli con la sua ormai riconosciuta anarchica creatività. Vulgaria è in definitiva una commedia “volgare” nelle tematiche e nei contenuti, che esplora l' universo produttivo di un cinema non propriamente mainstream attraverso la figura di un produttore (ancora un grandissimo Chapman To) che parla a degli studenti universitari. Quel che vien fuori dalle sue parole è un mondo popolato dai più svariati individui, dal criminale zoofilo all' attricetta emergente esperta di fellatio “frizzanti”. Ma Vulgaria è anche e sopratutto una divertente satira sui meccanismi che si muovono dietro la realizzazione di un lungometraggio, compromessi e sacrifici compresi. Omaggio al Far East nella ormai onnipresente sequenza dopo i titoli di coda.
Regia di Jin Rui
Piccolo film indipendente cinese, opera d' esordio del regista Jin Rui e una delle sorprese del festival. La storia prende piede in un piccolo villaggio cinese dove un allevatore di galli da combattimento guadagna quel che serve per la sua famiglia con le scommesse sugli incontri, fino al giorno in cui sfida e sconfigge un ricco e prepotente adolescente. In poche e decisive scene Jin Rui delinea una società dove le disparità economiche fanno una differenza gigantesca, dove giusto e sbagliato non hanno alcun significato, dove un uomo non può avere giustizia contro il più forte. Girato in maniera davvero convincente e con un gran uso di colonna sonora e montaggio, The Cockfighters è ben lontano dai classici tempi narrativi o sull' uso di una violenza (piuttosto esplicita soprattutto sugli animali) del cinema cinese continentale e forse proprio per questo colpisce con più forza quando ci si rende conto che il più debole è sempre costretto al sacrificio più grande.
AFRO TANAKA
Regia di Matsui Daigo
Un ragazzo con la pettinatura afro è il protagonista assoluto dell' esordiente Matsui Daigo, nonché il personaggio cult del Festival. Vince a mani basse, non c'è storia. Ma non è solo la sua pettinatura. E' anche il fatto che si tratta di un perdente, uno sfigato a livello genetico che non riesce a trovarsi una ragazza. Ma una promessa fatta con gli amici del liceo lo costringe ad accelerare i tempi di ricerca di una compagna. Afro Tanaka è tratto da un manga ed uno dei maggiori pregi del film e del giovane regista è di essere riuscito a trasportare su schermo la comicità della carta stampata che va oltre le singole gag e si appoggia tantissimo sull' attore Shota Matsuda e la sua mimica irresistibile. Film sugli immortali valori dell' amicizia e sui complicatissimi meccanismi dell' amore che il povero Tanaka fa davvero fatica a comprendere. Finale per nulla scontato e da lacrime e mal di pancia dal ridere.
THE BOUNTY
Regia di Fung Chih-chiang
Terzo film d' esordio della giornata e anteprima mondiale. Così si presenta al pubblico di Udine Fung Chih-chiang conosciuto l' anno scorso per lo script del thriller Punished targato Milkyway. Il protagonista è un cacciatore di taglie che accetta di dare la caccia ad un ricercato rifugiatosi in una isoletta che è quasi un mondo a parte visto i curiosi personaggi che la abitano. Omaggio al cinema e alla comicità di quel genio intramontabile di Michel Hui, The Bounty, spiace dirlo, delude un po': se Chapman To è una presenza comica irresistibile anche quando è serio, la vena comica del film non sembra mai decollare veramente, strappa qualche sorriso ma appare stanca e stancante. Lo stesso dicasi per gli altri registri del film (action e drammatico) davvero poveri e forse evitabili. E' un opera d'esordio e forse un occhio (o anche due) si può chiudere ma, confrontarsi con il maestro non è stata una grande idea.
VULGARIA
Regia di Pang Ho-cheung
La quattordicesima edizione del FEFF è targata Pang Ho-cheung, c'è poco da fare. Vulgaria è il suo terzo film in programma, il secondo ufficialmente in concorso insieme a Love in the Buff, ed è l' esempio perfetto del talento eclettico di Pang, autore che non si sofferma mai su di un genere ma adora esplorarli tutti contaminandoli con la sua ormai riconosciuta anarchica creatività. Vulgaria è in definitiva una commedia “volgare” nelle tematiche e nei contenuti, che esplora l' universo produttivo di un cinema non propriamente mainstream attraverso la figura di un produttore (ancora un grandissimo Chapman To) che parla a degli studenti universitari. Quel che vien fuori dalle sue parole è un mondo popolato dai più svariati individui, dal criminale zoofilo all' attricetta emergente esperta di fellatio “frizzanti”. Ma Vulgaria è anche e sopratutto una divertente satira sui meccanismi che si muovono dietro la realizzazione di un lungometraggio, compromessi e sacrifici compresi. Omaggio al Far East nella ormai onnipresente sequenza dopo i titoli di coda.
Sunday, June 10, 2012
Lyric of the Week + Video / IL TEATRO DEGLI ORRORI - NON VEDO L' ORA
Porto via con me
La fame e la miseria
Di un paese che non gode ormai
Di fortuna alcuna
Nessuna
Porto via con me me
La mia guerra civile
Anche se a pensarci bene
La cedo volentieri a qualcun'altro
Io porterò via con me
Porto via con me
Ricordi che non passano mai
Prendo le mie tribolazioni
In un sacchetto di nylon
E me le porto via
Dimenticare
Non sarebbe male
Porto via con me
I miei risentimenti
Lo so bene che la storia
Non fiisce qui
Inizia sempre altrove
Porto via con me
L'amore che ho nel cuore
E non vedo l'ora
Non vedo l'ora di
Abbracciarti ancora
fio a farti mancare il respiro
Io non vedo l'ora
Non vedo l'ora di
Respirare l'aria di Londra
E quell'odore di under-ground
E toccarti di nascosto
Ti ha sempre fatto ridere
E quando ridi
Io non vedo l'ora
Porto via con me
Il sorriso di mia madre
Anche se a dire il vero
Ho visto nei suoi occhi
Solo una gran paura
Porto via con me
Ricordi che non passano mai
Dimenticare
Non sarebbe male
Porto via con me me
Così tanti desideri
Così tante speranze
E non vedo l'ora
Non vedo l'ora di
Abbracciarti ancora
fio a farti mancare il respiro
Io non vedo l'ora
Non vedo l'ora di
Respirare l'aria di Londra
E quell'odore di under-ground
E toccarti di nascosto
Ti ha sempre fatto ridere
E quando ridi
Io non vedo l'ora
Friday, June 08, 2012
CINE20 - 58^ PUNTATA
In una settimana segnata da uscite un po' fiacche, a meno che non vogliate rivedere La Carica dei 101 (e non sarebbe cosa poi così sbagliata) o il nuovo film di Madonna, Attack the Block è davvero una ventata di aria fresca quindi siete pregati di recuperarlo se ancora non l' avete fatto. Molto ricca la sezione home video nella quale si segnalano, tra gli altri, John Carte, Paradiso Amaro e Shame.
Online qui.
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Thursday, June 07, 2012
Molto forte, incredibilmente disonesto
Oskar è un ragazzino di undici anni particolarmente intelligente, curioso ma "limitato" da tante piccole e grandi fobie. Frugando tra le cose del padre, morto durante l' attentato dell' 11 settembre 2001 al World Trade Center, trova una chiave la cui unica indicazione è un nome scritto nella busta che la conteneva. Partendo solo da questo piccolo indizio, Oskar intraprende un viaggio per i quattro angoli di New York per trovare la serratura o il lucchetto adatto per la sua chiave. Non è la prima volta che la particolare narrativa di Jonathan Safran Foer arriva al cinema: già il suo primo romanzo, Ogni Cosa è Illuminata, era stato da lui stesso adattato e diretto per il grande schermo riuscendo nell' impresa di semplificare, senza togliere peso o importanza, una storia che si sviluppava su tre piani narrativi differenti. Per questo Molto Forte Incredibilmente Vicino invece, prende tutto in mano Stephen Daldry, coaudivato dallo sceneggiatore Eric Roth, che con il suo The Hours aveva ben dimostrato di saper adattare materie letterarie non proprio facilissime. Spiace dire però che in questo caso fallisce completamente nel compito dimostrandosi incapace di gestire una materia delicatissima come l' attentato dell' 11/09. Quello che poteva (e forse doveva) essere uno sfondo all' impossibile ricerca intrapresa da Oskar, diventa nelle mani di Daldry un arma di ricatto puntata costantemente verso gli spettatori ai quali si vuole per forza far scendere qualche lacrima. Così, con quelle immagini terribili che sono scolpite a fuoco nella memoria di tutti utilizzate con reiterata furbizia, le vicende di Oskar perdono di forza e spessore nonostante la sua ricerca sia tutt' altro che banale e non finalizzata unicamente a tenere un legame con il padre che non c'è più. Quello che cerca sono risposte che permettano di razionalizzare quel che non può essere razionalizzato, dare un senso alla violenza, alla morte, alla perdita. Quesiti esistenziali che, tanto dalla mente di un bambino tanto da quella di un adulto, non possono essere risolti. Peccato che anche in questo ci si perda dietro troppi ritratti umani poco convincenti ad eccezione forse del vecchio muto interpretato dal grande Max Von Sidow. Ma non pensate che basti un attore veterano ed uno giovane ed esordiente dai grandi occhi blu a salvare una nave che imbarca acqua già pochi minuti dopo essere salpata.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Wednesday, June 06, 2012
"I am a teacher and a leader."
Dopo aver trascorso due anni in una comunità, la giovane Martha decide di fuggire dalla sua famiglia-setta e di rifugiarsi in casa della sorella. Ma non sarà per nulla facile lasciarsi alle spalle i ricordi e l' indottrinamento subito. Al solito, l' adattamento del titolo in Italiano dell' opera d' esodio di Sean Durkin, La Fuga di Martha, sminuisce l' importanza di quello originale, Martha Marcy May Marlene, tre nomi propri un' unica persona che cerca disperatamente il suo posto nel mondo finendo per perdere completamente se stessa. Il fulcro stesso della narrazione pare proprio essere la ricerca di una propria identità, una cosa che la protagonista Martha (la splendida e bellissima esordiente Elizabeth Olsen) fatica a mettere a fuoco divisa fra il lavaggio del cervello subito nella comunità, che la priva perfino del proprio nome, ed il "sei ciò che possiedi" che emerge dal benessere tutto borghese sul quale hanno costruito la propria famiglia la sorella con il marito. Attraverso un continuo balzare avanti e indietro tra presente e ricordi, utilizzando in maniera quasi chirurgica dei flashback che aprono dei brevi ma significativi spaccati di vita in comunità, Durkin ci porta sempre più in profondità nel tumulto di emozioni che scuotono l' esistenza della giovane Martha, dolore, paura, senso di colpa fino ad una incontrollabile e pericolosa paranoia. Il dramma personale di una ragazza smarrita diventa così un efficace thriller d' atmosfera solo all' apparenza irrisolto, ma che trova la sua compiutezza in un finale che sembra uscire direttamente dal cinema di Haneke.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Tuesday, June 05, 2012
Far East Film Festival 14 - Day 7
YOUNGJA'S HEYDAY
Regia di Kim Ho-sun (Retrospettiva "The Darkest Decade")
Le note informative sul film, che accompagnano tutti i titoli di questa interessante retrospettiva sul cinema sul decennio oscuro del cinema coreano, inquadrano la pellicola di Kim Ho-sun in quel periodo in cui lo sviluppo urbano e industriale portava un gran numero di giovani a migrare verso le grandi città in cerca di fortuna. Anche i due protagonisti del film sono tra questi, lui lavora in fabbrica mentre lei fa la cameriera per una famiglia benestante. I due si innamorano ma la guerra in Vietnam li divide e guando lui torna in patria lei ha perso il lavoro ed è diventata una prostituta. Yungja's heyday racconta così gli alti e i tanti bassi nella vita di due figli della corea di quegli anni, concentrandosi sopratutto sulla protagonista femminile che da anche il titolo al film. Nonostante quello che accede nel film, il messaggio di fondo appare quanto meno positivo e ottimista: quando la vita ti rema contro l' amore è la cosa che ci può salvare? A quanto pare si.
THE FUTURE OF CHILDREN IN FUKUSHIMA
Regia di Hiroki Ryuichi
Un corto di appena tre minuti, essenziale quanto necessario nel mostrare, attraverso volti e disegni, le paure e le speranze delle future generazioni di un Giappone ferito dal recente terremoto, dallo tsunami e dall' incubo di Fukushima. Le colpe dei padri ricadono sui figli, si dice così, no?
RIVER
Regia di Hiroki Ryuichi
Una ragazza vaga per le strade di Akihabara cercando di catturare frammenti della vita del suo ragazzo, morto tragicamente a causa del gesto di un folle. Ispirato ad un tragico fatto di cronaca avvenuto proprio nel quartiere di Akihabara a Tokyo nel 2008, il film si apre con una lunga scena, girata in pianosequenza, nella quale il regista segue la giovane protagonista nel suo peregrinare senza meta precisa. Ed è solo la prima di queste lunghe passeggiate nelle quali ogni volta avviene un incontro nuovo che permette a lei di fare un passo avanti verso una dolorosa quanto necessaria elaborazione del lutto. Il film è stato riscritto a seguito dei tragici eventi di marzo 2011 e forse per assecondare l' urgenza di parlarne, mostra la devastazione dello tsunami in una sequenza che purtroppo appare messa li in maniera fin troppo forzata.
LOVE IN A PUFF
Regia di Pang Ho-cheung
Datato 2010 e già visto in tempi non sospetti, Love in a Puff è un film che si rivede con piacere soprattutto se il Far East ti da l' occasione di farlo nello splendido Teatro Nuovo. Uscito lo stesso anno di Dream Home, Love in the Puff è la storia di un amore che nasce negli angoli più nascosti della città di Hong Kong dove i fumatori sono costretti a nascondersi dopo il severo giro di vite imposto dalla legge. Ed è tra una sigaretta e l' altra che Jimmy e Cherie si conoscono ed iniziano a frequentarsi. Narrato cronologicamente in poco meno di una settimana, la pellicola è infusa di una comicità irresistibile e di quei piccoli o grandi dettagli che contraddistinguono l' estro di Pang, l' incipit “horror” ad esempio e le interviste fatte ai vari personaggi del film che da semplici opinioni sulle nuove leggi per i fumatori, diventano pian piano un piccolo compendio sulle dinamiche della vita di coppia.
LOVE IN THE BUFF
Regia di Pang Ho-cheung
Seguito inaspettato ma non per questo meno gradito, Love in the Buff inizia non tanto tempo dopo gli eventi del primo film e ritroviamo Jimmy e Cherie insieme come una coppia felice. Ma qualcosa comincia a non andare come dovrebbe e piccole incomprensioni diventano ostacoli giganteschi in una relazione. Così, un' importante occasione di lavoro per lui a Pechino, li separa. Il destino però è pronto a farli incontrare di nuovo proprio nella stessa città. Molto più asciutto e semplice del precedente, Love in the Buff abbraccia quasi apertamente la commedia romantica più classica nel raccontare, con la vena umoristica inalterata di Love in the Puff, il tira e molla tra due persone innamorate / confuse e la difficoltà nel scendere a compromessi con le proprie abitudini ed egoismi per diventare complementari con il proprio compagno o compagna. Film minore ma irresistibile.
Regia di Kim Ho-sun (Retrospettiva "The Darkest Decade")
Le note informative sul film, che accompagnano tutti i titoli di questa interessante retrospettiva sul cinema sul decennio oscuro del cinema coreano, inquadrano la pellicola di Kim Ho-sun in quel periodo in cui lo sviluppo urbano e industriale portava un gran numero di giovani a migrare verso le grandi città in cerca di fortuna. Anche i due protagonisti del film sono tra questi, lui lavora in fabbrica mentre lei fa la cameriera per una famiglia benestante. I due si innamorano ma la guerra in Vietnam li divide e guando lui torna in patria lei ha perso il lavoro ed è diventata una prostituta. Yungja's heyday racconta così gli alti e i tanti bassi nella vita di due figli della corea di quegli anni, concentrandosi sopratutto sulla protagonista femminile che da anche il titolo al film. Nonostante quello che accede nel film, il messaggio di fondo appare quanto meno positivo e ottimista: quando la vita ti rema contro l' amore è la cosa che ci può salvare? A quanto pare si.
THE FUTURE OF CHILDREN IN FUKUSHIMA
Regia di Hiroki Ryuichi
Un corto di appena tre minuti, essenziale quanto necessario nel mostrare, attraverso volti e disegni, le paure e le speranze delle future generazioni di un Giappone ferito dal recente terremoto, dallo tsunami e dall' incubo di Fukushima. Le colpe dei padri ricadono sui figli, si dice così, no?
RIVER
Regia di Hiroki Ryuichi
Una ragazza vaga per le strade di Akihabara cercando di catturare frammenti della vita del suo ragazzo, morto tragicamente a causa del gesto di un folle. Ispirato ad un tragico fatto di cronaca avvenuto proprio nel quartiere di Akihabara a Tokyo nel 2008, il film si apre con una lunga scena, girata in pianosequenza, nella quale il regista segue la giovane protagonista nel suo peregrinare senza meta precisa. Ed è solo la prima di queste lunghe passeggiate nelle quali ogni volta avviene un incontro nuovo che permette a lei di fare un passo avanti verso una dolorosa quanto necessaria elaborazione del lutto. Il film è stato riscritto a seguito dei tragici eventi di marzo 2011 e forse per assecondare l' urgenza di parlarne, mostra la devastazione dello tsunami in una sequenza che purtroppo appare messa li in maniera fin troppo forzata.
LOVE IN A PUFF
Regia di Pang Ho-cheung
Datato 2010 e già visto in tempi non sospetti, Love in a Puff è un film che si rivede con piacere soprattutto se il Far East ti da l' occasione di farlo nello splendido Teatro Nuovo. Uscito lo stesso anno di Dream Home, Love in the Puff è la storia di un amore che nasce negli angoli più nascosti della città di Hong Kong dove i fumatori sono costretti a nascondersi dopo il severo giro di vite imposto dalla legge. Ed è tra una sigaretta e l' altra che Jimmy e Cherie si conoscono ed iniziano a frequentarsi. Narrato cronologicamente in poco meno di una settimana, la pellicola è infusa di una comicità irresistibile e di quei piccoli o grandi dettagli che contraddistinguono l' estro di Pang, l' incipit “horror” ad esempio e le interviste fatte ai vari personaggi del film che da semplici opinioni sulle nuove leggi per i fumatori, diventano pian piano un piccolo compendio sulle dinamiche della vita di coppia.
LOVE IN THE BUFF
Regia di Pang Ho-cheung
Seguito inaspettato ma non per questo meno gradito, Love in the Buff inizia non tanto tempo dopo gli eventi del primo film e ritroviamo Jimmy e Cherie insieme come una coppia felice. Ma qualcosa comincia a non andare come dovrebbe e piccole incomprensioni diventano ostacoli giganteschi in una relazione. Così, un' importante occasione di lavoro per lui a Pechino, li separa. Il destino però è pronto a farli incontrare di nuovo proprio nella stessa città. Molto più asciutto e semplice del precedente, Love in the Buff abbraccia quasi apertamente la commedia romantica più classica nel raccontare, con la vena umoristica inalterata di Love in the Puff, il tira e molla tra due persone innamorate / confuse e la difficoltà nel scendere a compromessi con le proprie abitudini ed egoismi per diventare complementari con il proprio compagno o compagna. Film minore ma irresistibile.
Monday, June 04, 2012
"Il topo diventò l' unità monetaria"
Eric Packer, ventottenne multimiliardario, decide di attraversare da parte a parte una New York paralizzata dalla visita del Presidente degli Stati Uniti per andare dal vecchio barbiere di famiglia a farsi aggiustare il taglio. All' interno della sua Limousine ultra tecnologica, blindata ed insonorizzata, il giovane affronterà una personale Odissea mentre dai finestrini scorrono le immagini della fine del mondo capitalista. Sembra che, con Cosmopolis di DeLillo, Cronenberg abbia trovato nuovamente materia malleabile dalla quale far riemergere le sue ossessioni, a partire da un protagonista che pare un ibrido partorito dalle pulsioni sessuali carne/metallo di Crash, che di umano ha solo un corpo che svolge tutto le sue funzioni, partendo proprio da quelle basilari fisiologiche, all' interno di una autovettura/incubatrice che lo isola dall' esterno ma che non può impedire che dall' interno avvenga la trasformazione che lo preparerà al confronto con il suo destino. Eric è l' incarnazione stessa del capitalismo e tutto nella sua esistenza ruota intorno alla monetizzazione ed all' ossessione per il controllo: dal tempo, ridotto e sfruttato in particelle infinitesimali, al matrimonio, dall' arte fino al proprio corpo. Tutto si regge però sulla gigantesca illusione di poter ricondurre ogni cosa a schemi prevedibili, economici e non solo, ma incapaci di elaborare nei loro processi l' anomalia, l' imprevedibile (la crescita dello Yuen, la morte di un rapper per cause naturali, la prostata asimmetrica). Un' illusione tanto simile a quella di cui furono vittima i mercati finanziari a i tempi della così detta "New Economy" e assimilabile anche alla grande crisi economica cominciata nel 2008. Da qui il grande peso profetico del libro di DeLillo che Cronenberg porta sullo schermo mantenendo per i dialoghi, che Eric intrattiene con le persone che incontra nel suo percorso, una precisione quasi sillabica, riversando sullo spettatore un fiume di parole che pare incontrollato, senza senso e logica eppure il suo esatto contrario allo stesso tempo. Coraggiosa e parzialmente ricompensata, la scelta di Robert Pattinson nel ruolo del protagonista anche se è impossibile non notare l' abisso che lo separa dai suoi colleghi, come emerge dal confronto finale con un perfetto Paul Giamatti.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Recensione già pubblicata su CINE20.
Sunday, June 03, 2012
Lyric of the Week + Video / LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA - PER COMBATTERE L' ACNE
La notte atomica che ci ha rimboccato le palpebre,
Guardare il cielo malconcio di Chernobyl da qui,
Esprimere desideri quando vedi scoppiare navicelle spaziali,
O moduli lunari russi o giapponesi o americani,
Arrampicarsi sulle impalcature per prendere il sole e rivenderlo a qualche spacciatore.
Lavarsi i denti con le antenne della televisione durante la pubblicità.
Ho abbassato le saracinesche dei negozi sui miei occhi,
Con le nostre discussioni serie si arricchiscono solo le compagnie telefoniche.
Siamo l'esercito del SERT.
Siamo l'esercito del SERT.
Siamo l'esercito del SERT.
Siamo l'esercito del SERT.
A Parigi dici che non volano mosche.
Benedirci in chiese chiuse e in farmacie compiacenti,
Sposarci con i cerotti usati, in passeggiate su spiagge deturpate,
Le piazze sono vuote, le piazze sono mute,
Per combattere l'acne.
Sono tutti in ferie, maratone sulle tue arterie,
Sulle diramazioni autostradali, sui lavori in corso solo per farti venire
E invidiare le ciminiere perché hanno sempre da fumare.
Le notti inutili e le madri che parlano con i ventilatori,
Negli inceneritori le schede elettorali,
E i tuoi capelli che sono fili scoperti,
Costruiremo delle molotov coi vostri avanzi.
Faremo dei rave sull'Enterprise,
Farò rifare l'asfalto per quando tornerai.
Siamo l'esercito del SERT.
Siamo l'esercito del SERT.
Siamo l'esercito del SERT.
Siamo l'esercito del SERT.
E i tuoi capelli, che sono fili scoperti,
Che sono nastro isolante,
Che sono fili scoperti.
Friday, June 01, 2012
CINE20 - 57^ PUNTATA
Cosmopolis. BOOM. Done. Andate a leggere.
Di cos' altro volete che vi parliamo, scusate? Eh va bene, ok. Abbiamo visto per voi anche il bell' esordio La Fuga di Martha ed il deludente Molto Forte Incredibilmente vicino.
In sala c'è ancora Cosmopolis ma, se volete divertivi, fidatevi di Joe Carnish e del suo Attack The Block.
Online qui, precisi e puntuali.
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