Anche ad una visione poco attenta e superficiale, non è difficile identificare quegli elementi che "frenano" A Dangerous Method di David Croneneberg, in primis la sua origine teatrale che arriva direttamente dal testo "A Talking Cure" di Christopher Hampton, autore anche dell' adattamento per lo schermo. Se da un lato si può notare una maniacale cura nella ricostruzione storica o nella ricerca del minimo dettaglio ambientale o scenografico, dall' altro abbiamo un Cronemberg quasi imprigionato nella forma, che non va molto oltre la rappresentazione verbale (e verbosa) del rapporto tra i due massimi padri della psicanalisi (o psicoanalisi), Jung e Freud, concedendosi qualche libertà extra testuale in solo in precisi momenti, circoscritti ma comunque notevoli. In secondo luogo poi, c'è il discorso recitazione. Per interpretare Jung e Freud, il regista canadese si affida rispettivamente ad un perfetto Michael Fassbender e ad un contenuto Viggo Mortensen ma per il ruolo di Sabina Spielrein compie forse la scelta più rischiosa con Kiera Knightley che, lasciata a briglia sciolta, si abbandona ad un' interpretazione (specie nei primi venti minuti) quantomeno forzata e fastidiosa, forse volutamente sgradevole ma sulla quale di sarebbe potuto mettere più di un paletto. Messi questi necessari puntini sulle "i", non si può negare l' importanza di questo film nell' ottica della cinematografia di Cronenberg nel suo complesso, in quanto le riflessioni al suo interno rappresentano chiave di lettura totale delle sue ossessioni, ben esplicitate fin dai primi lavori. A Dangerous Method risulta quindi essere un film potente, profondo da un punto di vista teorico, impreziosito da una messa in scena precisa, calcolata, che accentua comunque una sensazione di "freddezza" dalla quale non riesce a smuoversi, forse proprio per un mancato ed incisivo intervento personale dello stesso Cronenberg. Discutibile finché si vuole ma coerente.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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