Thursday, May 14, 2009

Far East Film Festival 11 - Day 5

MY DEAR ENEMY
Regia di Lee Yoon-ki

Hee-soo vuole recuperare un vecchio credito dall' ex-fidanzato Byung-woon, perciò lo raggiunge nel luogo dove abitualmente va a scommettere scoprendo però che è completamente al verde. Non fidandosi della sua promessa di accreditargli la somma dovuta direttamente sul suo conto, lo segue e lo accompagna per tutto il giorno mentre lui racimola i soldi da alcune sue conoscenze (tra le quali molte donne). Interessante il film di Yoon-ki, road movie intimista che, a dispetto del piano sequenza iniziale, si concentra unicamente sui dialoghi e sulla splendide interpretazioni degli attori. Il film, abilmente sceneggiato, ci da subito un' immagine ben definita dei personaggi (lui paraculo, lei ferita e abbandonata) per poi rivelare anche, indirettamente, tanti piccoli dettagli (ma mai così tanti da rivelarsi troppo esplicativi) che definiscono e ribaltano le due figure principali senza però mai arrivare ad averne un quadro completo e definito (non sapremo mai ad esempio perché Hee-so ha tutta questa necessità di recuperare i suoi soldi). Considerati i ritmi con i quali si muove, My Dear Enemy potrebbe scoraggiare e stancare chi non è disposto ad entrare lentamente nella storia e nei personaggi. Tutti gli altri potrebbero invece avere una bella sorpresa proprio come l'ho avuta io.

THE WAY WE ARE
Regia di Ann Hui

Dopo averle dedicato una retrospettiva incentrata sui suoi primi e quasi introvabili lavori televisivi, il FEFF presenta l'ultimo lavoro cinematografico della regista di Hong Kong. Girato in digitale ad alta definizione, The Way We Are è quasi un documentario attraverso il quale la Hui racconta la vita in un quartiere ai margini di Hong Kong, muovendosi tra altissimi palazzoni per raccontare la piccola gente e le realtà che esistono alla loro ombra. La sua macchina da presa segue, senza mai essere invadente, madri provenienti da un passato di stenti che lavorano senza sosta per dare un' istruzione ai figli. Anziane, rimaste senza più nessuno, abbandonate a se stesse. Non c'è una vera e propria storia da raccontare ma semplicemente l'intenzione di rappresentare uno spaccato di quotidianità, lucido e spesso toccante, anche attraverso l'uso di foto di repertorio che creano un ponte tra presente e passato, la vita com'era e com'è oggi: i tempi cambiano, la gente è la stessa.

DEPARTURES
Regia di Takita Yojiro

Kobayashi Daigo è costretto a ripartire da zero quando l'orchestra dove suonava viene sciolta. Si trasferisce allora con la moglie nella sua città natale e incomincia a lavorare in un' agenzia funebre. Grandi aspettative per il film vincitore del premio Oscar come miglior pellicola straniera. Aspettative non tradite ma neanche soddisfatte in pieno, a mio parere, perché Departures, per quanto bello, non è certo esente da difetti. Nel film di Takita Yojiro la morte non rappresenta necessariamente la fine ma l'inizio, non l' arrivo ma la partenza. Assolutamente splendido il rituale di preparazione dei cadaveri per il loro ultimo “viaggio”, un' approfondimento sentito e spesso commovente su di una cultura così diversa dalla nostra e dalla quale si impara sempre qualcosa. Si pecca forse quando si calca la mano in eccessi drammatici dove si cerca la lacrima facile, amplificati da un uso (ad arte) della colonna sonora, aspetti che trovo parecchio irritanti, disonesti e purtroppo ricorrenti nel cinema mainstream giapponese. Potenzialmente uno dei più bei film del festival, irrimediabilmente imperfetto.

ROUGH CUT
Regia di Jang Hun

Primo dei due esordienti coreani di questo FEFF, Jang Hun è stato uno dei tanti aiuto regista di Kim Ki-duk che qui produce e appare anche tra gli sceneggiatori. La storia vede un gangster, appassionato di cinema e con il pallino per la recitazione, ed un attore, che invece interpreta solo ruoli da gangster, finire per una serie di coincidenze a lavorare insieme nello stesso film. La cosa più interessante di questa pellicola è vedere i protagonisti provenienti da background così diversi, assomigliarsi comunque molto tra di loro, prigionieri dei loro ruoli nella vita aggrapparsi alla finzione cinematografica come via di fuga dalla realtà anche se il confine che le separa, così come quello tra ruolo e interprete, si fa sempre più labile. Un film non completamente riuscito (forse un po' troppo romanzate le vicende private dei personaggi) che però si distingue per una pregevole confezione, qualche sequenza veramente degna di nota, nonché una citazione di Bad Guy dello stesso Ki-duk.

4 comments:

nicolacassa said...

The Way We Are, interessantissimo e originale, Departures, beh le parole non bastano, anche se c'è sempre quell'aria da storia strappalacrime a tutti i costi, con colonna sonora ripetitiva...ma bellissimo, uno dei migliori degli ultimi anni, e finalmente un film commovente che non parla d'amore!

Weltall said...

@Nick: vero, però anche commuovere forzatamente con la morte non mi pare una mossa molto onesta. Il film funziona meglio quando l' argomento "morte" viene trattato in maniera comica e grottesca ^__^

nicolacassa said...

>Cuggino> Hai ragione, comunque però anche in tutti i Jun-ai, il commovente viene quasi sempre dalla morte di qualcuno. Anche qui si muore! Ma la scena del video esplicativo, con lui che fa il figurante, indimenticabile ^^

Weltall said...

@Nick: i Jun-ai però sono fatti apposta per quello e te lo aspetti. Qui è usato in maniera più subdola e forse per quello mi ha dato un po' di fastidio. COmunque, come ho detto prima, tutta la maniera grottesca con la quale si affronta lo morte in questo film è meravigliosa ^__^
Fosse stato tutto così sarei stato il primo ad urlare al capolavoro ^__^