Da qualche anno a questa parte il cinema cinese, e quello di Hong Kong in particolare, ha mostrato un profondo interesse per la figura di Ip Man, esponente tra i più importanti del Wing Chun, tra i più conosciuti stili di kung fu. Per lo più introdotto ad un pubblico occidentale come il maestro di Bruce Lee, Ip Man si è rivelato, nelle componenti biografiche dei film a lui dedicati, una importante figura storica e sociale negli anni che videro la Cina divisa da una guerra civile e poi segnata dall'invasione Giapponese. Ip Man e Ip Man 2, diretti da un Wilson Yip al suo primo grande progetto commerciale, sono dei grandissimi film di arti marziali che si concedono più di qualche licenza nel raccontare gli episodi dalla vita del Maestro, ma soprattutto si dimostrano particolarmente parziali nel rappresentare lo scontro culturale Cina-Giappone, Cina-Inghilterra. The Legend is Born - Ip Man e Ip Man The Final Fight sono invece i due lungometraggi diretti da Herman Yau che, nel primo racconta le origini del personaggio mentre nel secondo, biograficamente il più preciso dei quattro, si concentra sugli anni trascorsi ad Hong Kong fino alla sua morte. Dopo una produzione lunga e forse non priva di intoppi, anche il grande Wong Kar-Wai mette il suo talento a favore di questa fondamentale figura mostrandosi però poco propenso a rimanere ingabbiato in un genere preciso: vertiginose ellissi relegano il biopic a frammenti tra le pieghe della Storia ma soprattutto a quelle singole storie dei personaggi, Ip Man (dopo Donnie Yen e Antony Wong, questa volta interpretato da Tony Leung) e Gong Er (una splendida Zhang Ziyi), le cui vite si toccano come in una danza la cui precisione e quasi sinonimo delle discipline marziali di cui entrambi sono depositari: The Grandmaster, nella sua potente componente melodrammatica, racconta in sostanza di un amore negato, destinato a rimanere soffocato da tradizioni, vendette e gli orrori della guerra. Se da un punto di vista della regia Kar-Wai sale semplicemente in cattedra e ci delizia con alcune meravigliose sequenze che sarebbe troppo riduttivo definire unicamente come di "combattimento", rimangono alcune sostenute riserve su di una sceneggiatura che pare quasi sfoltita di alcune sue appendici, tanto da introdurre alcune figure importanti per poi lasciarle relegate a strettissimi ruoli marginali. Ma è grosso modo una generalizzata ed eccessiva frammentazione del corpo narrativo a non convincere davvero del tutto. Siamo dalle parti di un cinema importante che vorremo vedere sempre più spesso ma lontani dal migliore Wong Kar-Wai.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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