Dopo aver raccontato in Somewhere la vuota esistenza di un attore hollywoodiano che si trascina in una vita di plastica fatta solo di apparenze, Sophia Coppola si ferma ad osservare nel suo ultimo film un gruppo di teenager che hanno come obiettivo ottenere proprio quel tipo di vita. Ispirato ad un articolo di Vanity Fair incentrato su alcuni furti compiuti da un gruppo di ragazzi ai danni di alcune più o meno importanti figure dello spettacolo, Bling Ring traccia un quadro desolante di una generazione abbagliata dalle luci riflesse di uno star system che offre come modelli di riferimento figure vuote e patinate. I giovani raccontati dalla Coppola aspirano ad assomigliare ai loro idoli ed, in qualche modo, vivere la loro vita o almeno un surrogato di essa, festeggiando nelle loro case o possedendo un loro capo firmato. Anche la punizione, inevitabile, diventa per i protagonisti, non un' occasione per interrogarsi sulla moralità delle proprie azioni ma uno step fondamentale nel percorso per ottenere una notorietà poco più che fittizia, spesso coadiuvati e sostenuti da adulti che falliscono nel loro ruolo di genitori o comunque di primari punti di riferimento. Bling Ring è un film che affrontando un argomento attuale come la deriva della MTV e Facebook generation (ed in questo senso fa il paio con Spring Breakers di Korine) arriva dritto al punto e come un cerchio perfetto chiude le proprie riflessioni in maniera precisa e puntuale. Impossibile però non fare qualche doveroso appunto sul corpo centrale del film che sorregge l' inizio e la fine: sembra infatti che, tra l' introduzione del tema portante e del suo naturale esaurimento, il film tenda a girare eccessivamente su se stesso e di conseguenza le azioni stesse dei personaggi risultano unicamente ripetitive senza che apportino davvero qualcosa di significativo alla narrazione. Ne risulta quindi un film tematicamente solido ma strutturalmente riuscito solo a metà.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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