Wednesday, May 22, 2013

Far East Film Festival 15 - Day 5

DESIGN OF DEATH
Regia di Guan Hu


Un dottore (il veterano del cinema di Hong Kong, Simon Yam) si trova ad investigare sulla misteriosa morte di un uomo, abitante del remoto Villaggio della Longevità. Man mano che le sue indagini procedono si fa sempre più evidente la possibilità che gli abitanti del villaggio possano essere i primi responsabili. Una storia ricca di mistero e commedia quella di Design of Death, strutturata in flashback che, pian piano, costruiscono gli episodi chiave della vita del protagonista (interpretato dal comico Huang Bo, già visto in Lost In Thailand) svelandone anche i motivi della morte. Il principale problema del film sta proprio  nell' eccessiva sovrapposizione dei flashback che rendono lo “svelamento” finale poco naturale e troppo costruito. D' altro canto però, il regista Guan Hu propone una sentita e commovente riflessione sull' impermeabilità delle vecchie tradizioni, quelle più radicate nella cultura popolare, che rifuggono qualsiasi idea di pensiero innovativo o rivoluzionario, lo tengono lontano, lo isolano fino ad eliminarlo.

THE GUILLOTINES
Regia di Andrew Lau


I millenni di storia cinese sono fonte inesauribile d' ispirazione, cosa che sa bene  chi segue il cinema asiatico. Altrettanto bene si sa che è davvero difficile riuscire a sbagliare questo genere di film, affascinanti anche solo per la ricostruzione storica, soprattutto quando sono virati verso l' action. Eppure c'è anche chi riesce a sbagliarli in maniera clamorosa come Andrew Lau con il suo The Guillotines. Durante la dinastia Quin, l' imperatore si serviva di una personale squadra di assassini noti come le “ghigliottine”, nome derivato dalla particolare arma di cui erano maestri. Durante una missione per catturare un pericoloso fuorilegge, finiscono invischiati in macchinazioni di corte atte ad eliminarli in vista di un importante rinnovamento dell' impero. Nonostante l' inizio puramente action, dove però ralenty e computer grafica coprono una evidente incapacità a girare certe scene, la speranza che il film prosegua su quella strada, e magari vedere ancora in azione le ghigliottine, lascia tristemente con l' amaro in bocca. The Guillotines è un film che, al racconto epico promesso, preferisce la pedanteria di intrighi di palazzo e personaggi dalla lacrima facile capaci solo di morire in maniera ridicola. Un totale spreco di costumi e scenografie.

IP MAN – THE FINAL FIGHT
Regia di Herman Yau


La stagione cinematografica di Ip Man sembra ben lontana dal concludersi. Dopo i due film diretti da Wilson Ip (un terzo è già in cantiere) e The Grandmaster di Wong Kar Wai, la vita del Maestro Ip (interpretato questa volta dal grande  Anthony Wong) arriva nelle mani esperte di Herman Yau, già regista di Ip Man – The Legend is Born. Ambientato nel periodo che va dal suo trasferimento ad Hong Kong fino alla sua morte nei primi anni '70, Ip Man – the Final Fight vede il Gran Maestro, testimone delle difficoltà sociali dell' epoca, accogliere i suoi primi allievi, confrontarsi con altre scuole rivali e con le triadi della “città murata” di Kowloon. Rispetto ai film di Wilson Ip, maggiormente votati all' azione, alle arti marziali ma limitati nella rappresentazione macchiettistica delle controparti giapponesi e inglesi, il film di Herman Yau si concentra sull' aspetto biografico utilizzando la voce fuori campo del figlio per introdurre i vari episodi della sua vita. Questo non significa però che si rinuncia a mostrare il Wing Chun in tutta la sua splendida e precisa eleganza: se tanto è stato fatto per la ricostruzione storica dell' epoca, altrettanto impegno è stato messo nelle sequenze di combattimento, coreografie che si possono contare sulle dita di una mano ma valgono sempre l' attesa, come il lungo duello finale. Insomma, anche Herman Yau è riuscito a celebrare con successo una delle figure più importanti del kung fu e della storia cinese recente.

THE COMPLEX
Regia di Hideo Nakata


The Complex non segna solo il ritorno in patria di Hideo Nakata ma anche la definitiva conferma che ci siamo giocati uno dei maestri dell' horror nipponico degli anni novanta. Nakata infatti, insieme a Takashi Shimitzu e pochi altri, aveva scritto una delle pagine fondamentali del genere grazie a pellicole come The Ring (e relativo seguito) e Dark Water. Le tentazioni americane (il remake di Ring 2 e l' insulso Chatroom) e progetti di dubbia utilità (L Change The World) erano già dei brutti presagi che forse ci eravamo sforzati di ignorare. The Complex ci porta però alla cruda realtà dove un genere in agonia sta trascinando a fondo un regista che meriterebbe ben altra fine. Eppure la pochezza della sua ultima “fatica”, dove una ragazza va a vivere in un condominio infestato da spiriti pieni di rancore verso i vivi, non lascia spazio ad appelli di qualsiasi tipo soprattutto quando ad una trama dai risvolti telefonati si uniscono attori dalla dubbia espressività e gli immancabili scivoloni nel ridicolo. Del vecchio Nakata rimane solo l' associazione acqua – regno dei morti, mentre il resto è il nulla quasi assoluto.

Resoconto già pubblicato su I-FILMSonline.


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