A volte basta anche un solo un piccolo particolare fuori posto per far emergere tutta la fragilità della superficie sulla quale i vari elementi del film cercano di stare in equilibrio. E quel singolo dettaglio rischia di innescare una reazione a catena difficile da contenere. Hanna di Joe Wright è un film che impatta sullo spettatore con la forza di una valanga: si inizia con un incipit perfetto dove nel giro di una manciata di minuti si delinea il personaggio principale (Saoirse Ronan), un' adolescente cresciuta ed addestrata come un killer perfetto, da un padre che vuole proteggerla da chi cercherà di ucciderla appena scoprirà della sua esistenza, un algida Cate Blanchet nel ruolo di una spietatissima agente governativo. Joe Wright, che non ha mai nascosto il suo talento neanche in film di tutt'altro tenore come Orgoglio & Pregiudizio o Espiazione, fa un lavoro di regia davvero notevole (il lungo piano sequenza alla stazione della metropolitana) che, unito alla colonna sonora dei Chemical Brothers, si trasforma in un impianto audio/visivo solidissimo in cui immagini e suoni diventano un tutt'uno. Ma come accade fin troppo spesso, i problemi cominciano quando la scrittura viene messa pian piano in secondo piano ritrovandosi a dover tirare le fila di una storia, e dei personaggi che ci ruotano intorno (che tra principali e secondari qui sono forse troppi), in maniera fin troppo frettolosa, ricorrendo a soluzioni narrative anche prive di qualsiasi coerenza. Una leggerezza ingiustificabile che, per un film capace di abbracciare azione adrenalinica e momenti intimi e introspettivi, significa scavarsi la fossa da solo. Per fortuna non di caderci dentro.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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