Thursday, January 07, 2010

Nothing gives you speed like the whip

Iniziata la sua carriera sin da bambina con l'indimenticabile ruolo nell' E.T. spielberghiano, Drew Barrymore ha percorso la sua strada nello shobiz con tutti gli alti e bassi che questo comporta. Riuscendo miracolosamente a non disintegrare la sua carriera come capitato ad altri giovani attori come lei, la Barrymore si è distinta in tempi anche piuttosto recenti come coraggiosa produttrice (Donnie Darko) prima del suo battesimo del fuoco dietro la macchina da presa arrivato con Whip It, tratto dal romanzo autobiografico di Shauna Cross, e diciamolo subito, considerate le scarse aspettative, non ci si vergogna di ammettere che il risultato finale è decisamente positivo. La storia si dipana in una piccola cittadina nella provincia texana dove la protagonista, Bliss, vive cercando come può di emergere in un a società molto chiusa e da una madre che cerca di modellarla a sua immagine facendola concorrere suo malgrado a numerosi concorsi di bellezza. Non che non abbia le carte per vincere ma Bliss asprira ad altro, e trova nelle gare di pattini a rotelle il modo più diretto e irruento di esprimere se stessa. Il film può contare sull' apporto di un certo numero di comprimari tra i quali è bene citare la stessa Barrymore, Zoe Bell, Juliet Lewis e la sempre ottima Marcia Gay-Harden, ma ad incarnare la sua "eroina" la regista americana sceglie una perfetta Ellen Page per la quale è difficile trovare nuovi aggettivi che descrivano la sua straordinaria capacità di adattarsi perfettamente ai ruoli che si trova ad interpretare, sia quelli più difficili (Hard Candy) che quelli più leggeri, come in questo caso. Leggeri si, ma non meno profondi nell' esprimere quel forte desiderio di liberarsi dall' opprimente realtà di una provincia americana (in particolar modo quella del sud) ancora una volta descritta come prigione per le aspirazioni personali e, in questo caso particolare, votata a forgiare le giovani donne secondo uno standard femminile antiquato e un po' bigotto. Certo, trattando una storia di rivalsa personale nello sport, con risvolti sentimentali, si cade in inevitabili luoghi comuni e stereotipi, ma la sceneggiatura sorprende quando riesce a divincolarsi da facili e scontate soluzioni narrative, facendo si che il meccanismo nel complesso funzioni bene nonostante qualche scricchiolio.

2 comments:

Tob Waylan said...

Mi hai rubato il titolo del post!

: P

La recensione la leggo dopo che non voglio farmi "influenzare".

Weltall said...

@Tob: ah ah ah dai te lo presto il titolo ^__*

Passo a leggere la tua appena pubblichi ^__^