Tuesday, March 01, 2011
"Is it true that you didn't tell anyone where you were going?"
Caduta ed ascesa (letterale e figurata) di un giovane alpinista americano che, nel 2003, durante una delle sue escursioni solitarie finisce in un crepaccio con il braccio bloccato tra una parete rocciosa ed una masso. Dopo cinque giorni, rimasto senza ne acqua ne viveri, prende con lucidità la decisione di amputarsi il braccio e riesce così a mettersi miracolosamente in salvo. La vera storia di Aron Ralston, raccontata nel suo libro "Between a rock and an hard place", deve aver catturato particolarmente l' attenzione del regista britannico Danny Boyle, tanto da spingerlo a dirigerne un film che ne racconta le drammatiche 127 ore in cui rimase intrappolato. Un film che segue di pochi anni quel Into The Wild di Sean Penn e con il cui protagonista Chris McCandless, Aron Ralston ha qualcosa in comune, quel desiderio, forse egoistico o forse solo dettato dalla necessità, di isolarsi dagli affetti e di rimanere soli sperando di trovare nella natura, nei paesaggi (quasi) incontaminati, l'unica compagnia di cui hanno bisogno. Faccia a faccia con la morte, entrambi si rendono conto che la solitudine non è la soluzione ma, mentre Chris non ha modo di rimediare, Aron lascia il vecchio se stesso sul fondo di quel crepaccio insieme al suo avambraccio destro. Amputazione in primis, 127 Ore è un film che attribuisce a gran parte dei suoi elementi, sopratutto quelli ambientali che circondano e costringono il protagonista, ma anche sonori (l' urlo muto che si trasforma in una sorta di primo vagito) un forte significato simbolico per sottolineare il suo percorso di redenzione attraverso la "morte" e la "rinascita". James Franco si cala in questo personaggio con maestria e pur essendo immobile per gran parte del film riesce ad emozionare sinceramente con la sua interpretazione. Discorso diverso per quel che riguarda la regia: Danny Boyle sceglie al solito un approccio molto particolare, puntando su di un impatto visivo quasi da videoclip nella parte iniziale e finale, con virate oniriche nella parte centrale fino al lucidissimo e quasi insostenibile momento dell' amputazione. Una scelta, quella di Boyle, che da al film un ritmo mai calante (e non è poco considerato che per il 90% si svolge in un crepaccio) ma lo stridore, ricercato con una certa insistenza, con il quale si incontrano i vari registri visivi (specie quello iniziale, forse eccessivo e superfluo nel giocare con split screen e "sovrapposizioni" di media diversi) solleva non pochi dubbi sulla bontà e l' onestà dell' operato del regista britannico.
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6 comments:
Anzi, ne solleva davvero moltissimi di dubbi sul suo operato ;)
Un film fin troppo viscerale e "realistico", non proprio il mio genere anche se tutto sommato l'ho apprezzato.
@Chimy: tu pensa che l' ho visto due volte per cercare di scioglierli questi dubbi e ho sempre più la sensazione che Boyle abbia voluto fare il furbetto in maniera ben più subdola che in The Millionaire ^^"
@Eva: è piaciuto a tanti a dir la verità. Invece a me, a parte James Franco, ha lasciato un po' freddino nel post visione.
Boh, sarà che ci sono cascata a piene mani, ma io l'ho trovato molto meno "furbo" di "The millionaire".
Ale55andra
una vicenda terribile nella realtà e non so se valga la pena di riviverla nel grande schermo. è un film troppo forte!!! faccia a faccia con la morte si potrebbe fare di tutto pur di vivere...
@Ale55andra: quando parlo di dubbi mi riferisco al fatto che no riesco ad interpretare chiaramente alcune scelte di Boyle. Considerata la storia che si vuole raccontare, che nella parte centrale affonda nella sfera più intima del protagonista, non riesco ancora a capire e digerire una parte iniziale così "videoclippare". Ha una sua funzionalità o è solo un gratuito ammiccamento? ci sarebbero anche altre cose ma è soprattutto questo a frenare molto il mio giudizio.
@Pupottina: davvero di tutto! Ed effettivamente c'è un momento molto forte nel film, quasi insostenibile dove sono soprattutto i suoni a far venire la pelle d'oca!
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