Diviso, tagliato ed adattato anche senza la piena approvazione del regista, Nymphomaniac giunge alla sua naturale conclusione con un secondo volume che, perlomeno nelle speranze degli spettatori, avrebbe dovuto condurci alla fine del racconto della protagonista e di conseguenza anche a comprendere meglio le intenzioni di Von Trier. Se nel primo volume il desiderio sessuale annichiliva il bisogno di amare, in questa seconda parte seguiamo Joe nell' accettazione della sua natura e nella disperata ricerca di un piacere fisico ormai perduto. In Nymphomaniac il sesso non è certo un taboo ma un modo di esprimere la propria persona, la propria natura. Natura che non si può negare, pena una lenta e dolorosa autodistruzione. Un concetto non di certo nuovo e per il quale si fa fatica a capire la necessità di spalmarlo su quattro ore di chiacchiere (s)bilanciate dalle, forse volontarie, comiche razionalizzazioni dell' asessuato interlocutore Seligman. Anche qui si salvano alcuni momenti, capitoli e personaggi (quello di Jamie Bell su tutti) e qualche volta si riesce a scorgere il graffiante tocco del regista danese ma, sfortunatamente, la provocazione ed il contenuto esplicito delle scene di sesso, che tanto hanno giovato alla promozione del film, paiono in questo contesto assolutamente fini a se stesse. Difficile pertanto spostare l' asticella del gradimento molto lontana rispetto a dove si era fermata per la prima metà di questo progetto che vede un Von Trier ben lontano dai suoi ben più importanti film e molto più interessato a dar spettacolo nei principali festival cinematografici, come un bambino dispettoso che non accetta di essere stato rimproverato.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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