I figli d' arte non sempre sono una garanzia. Eppure Brandon Cronenberg, figlio dell' immenso David, arriva al suo esordio registico con un film, da lui stesso scritto, che pare evidenziare il fatto che i due non siano legati solo a livello genetico. Antiviral infatti sembra che nasca dal pungiglione fallico di Rabid o dalle escrescenze psicosomatiche di Brood - La Covata Malefica, tanto è evidente il filo conduttore che lega il film di Brandon con quella filmografia del padre che rappresentava, attraverso le mutazioni del corpo, le ansie, le incognite e le paure su ciò che il progresso (in campo, tecnologico, mediatico, farmaceutico) avrebbe portato in futuro. Ed è proprio in un futuro (decisamente) prossimo che è ambientato Antiviral, un futuro dove il desiderio di entrare sempre più intimamente in contatto (a livello anche cannibalico) con i propri idoli dello star system, cinematografico, musicale o mediatico, porta i fan a farsi inoculare, in particolari cliniche, virus e malattie contratti dai loro beniamini. Una riflessione sulla brutta china presa da una società nella quale la ricerca di una propria identità passa attraverso effimeri modelli di riferimento ai quali si cerca in ogni modo di assomigliare. Un film forse non completamente riuscito ma se questo è solo un esordio allora vuol dire che buon sangue non mente. E neanche la (nuova) carne.
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