Esordio con il botto quello di Nicolas Winding Refn, trovatosi a dirigere il suo primo film con un bagaglio d' esperienza "sul campo" pari a zero e con un cospicuo budget da gestire. Il risultato finale è un gangster movie sullo sfondo di una Copenaghen periferica, grigia di cemento ed illuminata dai neon dei locali notturni. Un vivaio perfetto per puttane e spacciatori che diventa però sempre più soffocante e pericoloso per Frank dopo che una vendita di eroina finisce male e si ritrova indebitato con il pericoloso Milo ed i suoi scagnozzi. Le disavventure del nostro e dell' amico Tonny si svolgono nell' arco di una settimana, da Lunedì a Domenica, e mano a mano che le didascalie sottolineano il passare dei giorni, i tentativi di recuperare i soldi diventano sempre più delle mosse disperate di chi si agita inutilmente per non sprofondare nelle sabbie mobili e soffocare. Oltre al controllo misurato del procedere della narrazione, Refn sembra averne altrettanto per la messa in scena sia quando si tratta di sequenze in luoghi aperti (il lungo inseguimento con al polizia) che in spazi chiusi, quelli dove la violenza esplode ma sempre adeguatamente coperta o "tagliata" dalla composizione del quadro. L' utilizzo esclusivo di camera a mano poi, unito ad una fotografia "sporca" e granulosa, da al film l' idea di un prodotto ancora grezzo, carbone in attesa di diventar diamante, e considerata l' inesperienza del regista danese non c'è poi tanto da stupirsi o da recriminare. Per essere un' opera prima, con tutti i difetti che si possono trovare, siamo ben sopra la sufficienza.
Da esordio col botto ad ancora di salvezza. E' questo che ha rappresentato per Refn, in primo luogo, girare il seguito del fortunato Pusher dopo che un paio di progetti non proprio soddisfacenti economicamente lo avevano lasciato in bolletta. Un passo indietro, lo si potrebbe definire, ma che si rivela una scommessa vincente per il giovane regista danese che riesce, in un colpo solo, a rilanciare la sua carriera. Il teatro è il medesimo, una Copenaghen di un grigiore soffocante, cambia il protagonista però, non più Frank del quale non sappiamo che fine abbia fatto, e seguiamo le gesta del suo ex-amico Tonny appena uscito di prigione qualche anno dopo gli eventi del primo Pusher. A onor del vero il film ha poco a che vedere il mondo degli spacciatori (benché recuperi un personaggio fondamentale del primo film) ma preferisce concentrarsi sulla figura di un perdente, di un debole che cerca di sopravvivere in un mondo in cui ogni leggerezza ogni piccolo errore si paga caro, anche provare a tutti i costi a recuperare un rapporto padre-figlio o a costruirne uno nuovo e inaspettato. Oltre al successo commerciale, dovuto anche al classico effetto trainante dei sequel, Pusher 2 mostra i progressi fatti da Refn sia in sede di regia che di sceneggiatura ed il coraggio di prendere ritmi e percorsi narrativi diversi rispetto al primo capitolo che si adattano all' apatia patologica del protagonista, una miccia innescata pronta a deflagrare con sorprendente violenza.
A distanza di un anno da Pusher 2, Refn chiude la sua trilogia sugli spacciatori di Copenaghen con un film che è anche una conferma di quanto già visto nel precedente capitolo, una maturazione generale del regista danese (anche qui, oltre alla regia, firma la sceneggiatura) alla quale però non è seguita una snaturazione dei suoi film che continuano ad essere "sporchi e cattivi", con la camera a mano che sta sempre addosso ai personaggi e l' immancabile grana delle immagini che rende ruvido, ogni luogo ed ogni volto. Questa volta, a finire sotto l' occhio di Refn è quello di Milo, il piccolo boss dai modi gentili ed inquietanti, appassionato di cucina, del quale abbiamo fatto la conoscenza fin dal primo film. Lo ritroviamo qui imbolsito, stanco, deciso a smetterla con le droghe e a regalare alla figlia una bellissima festa per i suoi venticinque anni sempre che un gruppo di spacciatori albanesi glielo permetta. Progressione narrativa molto simile al precedente ma inesorabile la svolta violenta (decisamente il massimo raggiunto dalla trilogia) che segue l' accurata opera di accumulo attentamente orchestrata in fase di scrittura. Refn definisce in maniera definitiva le dinamiche del sottobosco criminale che anima i suoi film, dove domina la legge del più forte e i deboli finiscono schiacciati inesorabilmente. Non c' è spazio per ripensamenti ne redenzioni, anche se quello di Milo è più che altro un tentativo di conciliare i suoi doveri di padre con la sua attività criminale cosa che si rivela essere sfortunatamente impraticabile.
4 comments:
bella trilogia!
mi riprometto di guardarla ;-)
@Puottina: bene! E' uscita in homevideo poco prima di Natale ^^
Prima o poi dovrò recuperare la trilogia di Refn. Grazie per questa esaustiva e invitante analisi. Per ora ho visto solo Bronson e Drive. Il primo m'è piaciuto ma forse è un po' troppo ossessivo ripetitivo (grande hardy comunque). Drive, invece, per me è il miglior film del 2011
@Noodles: ma grazie a te ^^ Il cofanetto con tutta la trilogia uscito prima di natale è un' ottima occasione per recuperare questi tre film ^__*
Su Drive siamo d'accordo!!!
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