I lupi di Wall Street di Scorsese usano i telefoni come artigli e le parole sono zanne che si stringono al collo delle loro prede, piccoli o grandi investitori nel mercato azionario. Il loro capo branco è Jordan Belfort, giovane broker che ha costruito la sua fama e la sua fortuna sulle macerie del lunedì nero dell' ottobre 1987. Tratto dalla biografia dello stesso Belfort, sceneggiata da Terence Winter, The Wolf of Wall Street racconta il degrado e la depravazione di una società nella quale ciò che più conta è arricchirsi, non importa come, non importa sulle spalle di chi. Una lucida visione del mondo dell' alta finanza nella quale si specchia la stessa crisi economica dei nostri tempi, della quale i "lupi" non sono la causa ma la diretta conseguenza. Scorsese sceglie un approccio perlopiù distaccato, non giudica ne giustifica, ma usa il registro della commedia per tracciare la parabola personale di Belfort (Di Caprio in gran forma) che, iniziato alla professione dal broker Mark Hanna (Matthew McConaughey, cinque minuti in scena e per poco non si divora tutto il film), fonda poi la sua società insieme all' amico Donnie Azoff (la sorpresa Jonah Hill) e ad un gruppo di falliti e piccoli criminali, in un susseguirsi di eccessi, trasgressioni, sesso e abuso di droghe, fino all' arresto da parte dell FBI. Anche a costo di sembrare ridondante ed eccessivamente ripetitivo, il regista americano non cambia rotta per quasi tutte e tre le ore di durata del film ma, quella che sembra la mera celebrazione di una vita di eccessi costruita nella piena illegalità e alla luce del sole, diventa il ritratto di una deriva morale che rende affascinanti i personaggi come Belfort, dimostrazione vivente che i soldi risolvono tutto. Non fanno la felicità ma, in una società divorata dal consumismo come la nostra, ti permettono di comprarne degli adeguati surrogati.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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