Nato libero in un America ancora oppressa dalla schiavitù, Solomon Northup, talentuoso violinista, marito e padre di famiglia, viene rapito e venduto come schiavo nelle piantagioni nel sud degli Stati Uniti. Qui comincia la sua Odissea, lunga dodici anni, nella quale vivrà sulla propria pelle uno degli orrori più grandi di cui si è reso colpevole l' uomo. Steve McQueen, giunto alla sua terza regia dopo gli ottimi Hunger e Shame, si dimostra ancora una volta straordinario narratore di storie intrise di una profonda umanità, storie spesso dolorose ma raccontate senza ricorrere a meccanismi ricattatori che facciano leva sui punti deboli dello spettatore. 12 Anni Schiavo rischiava già sulla carta, considerato il background storico sul quale si sviluppa la storia del protagonista, di poter inciampare su questo tipo diostacolo che il regista americano evita invece con grande agilità. Ciò non significa che la schiavitù non venga rappresentata in tutta la sua disumana brutalità, anzi, si preferisce però concentrarsi sul punto di vista di un uomo che scopre con i suoi occhi un incubo dal quale era stato fino ad allora graziato per una fortuita appartenenza geografica. Quella di Solomon Northup non è certo la storia di un eroe ma quella di un uomo comune tenuto in vita da un innato istinto di sopravvivenza che lo porta a chinare il capo, subire, guardare dall' altra parte diventando testimone e complice di quel male di cui lui stesso è vittima. Per raccontare le vicende autobiografiche di 12 Anni Schiavo, McQueen si avvale di un parco attori di tutto rispetto, cominciando dal protagonista Chiwetel Ejiofor, fino alla giovane e sorprendente Lupita Nyong'o, la cui interpretazione della schiava Patsey rimane incollata in maniera graffiante. In ruoli secondari ma non certo marginali, altri nomi importanti come Paul Dano, Paul Giamatti, Benedict Cumberbatch e Michael Fassbender, giunto alla terza e ancora convincente collaborazione con il regista.
Recensione già pubblicata su CINE20.
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