Big Bang Love Juvenile A, datato 2006 e presentato al Festival di Berlino dello stesso anno, è una delle ultime fatiche del prolifico regista giapponese Takashi Miike. Della sua sterminata filmografia solo pochi titoli sono arrivati in Italia e quasi tutti grazie alla sempre attiva Dolmen Home Video. Dopo Visitor Q, la casa distributrice italiana pubblica con mio grande piacere anche questo Big Bang Love. La storia racconta di due ragazzi Jun e Shiro che il destino vuole vengano incarcerati il medesimo giorno. Jun lavorava come cameriere in un bar gay, finché uccide con inaudita violenza un cliente che l'aveva molestato sessualmente. Anche Shiro è dentro per un omicidio legato ad un regolamento di conti della yakuza. Entrambi trovano sgradevole il contatto umano ma tra loro sembra instaurasi fin da subito un rapporto particolare, come se riuscissero a capire le sofferenze l'uno dell'altra senza però abbattere quella barriera invisibile che non gli permette di avvicinarsi abbastanza da lenire vicendevolmente le rispettive ferite accumulate in una vita piena solo di sofferenze. Nessuno si azzarda ad importunare Jun per non scatenare le ire di Shiro che sfoga su carcerati e guardie tutta la sua rabbia. Resta perciò inconcepibile credere che Jun possa aver ucciso Shiro. Fermato dalle guardie mentre, sopra il corpo di Shiro, gli stringeva forte le mani intorno al collo, Jun confessa la sua colpa. I due poliziotti incaricati delle indagini notano da subito troppe incongruenze e decidono di vederci chiaro. Nella sterminata filmografia di Miike questa è sicuramente una delle sue pellicole più criptiche, ricca com'è di simboli, e metafore. Perfino identificare il tempo è lo spazio risulta difficile: se si escludono le sequenze degli omicidi che hanno portato Jun e Shiro in carcere e qualche flashback, il film è ambientato interamente nel carcere, vero e proprio "non luogo". Il suo interno è costituito da strane geometrie, da spazi delimitati da cornici o da semplici segni sul pavimento (un po' come in Dogville), da profondità evidenziate con un uso meraviglioso delle luci. All' esterno uno spazio delimitato da un recinto elettrificato. Oltre il recinto sono presenti le uniche vie di fuga da quella sorta di limbo dove sono imprigionati: una piramide dalla cui cima si accede al paradiso e un razzo con il quale raggiungere lo spazio. Jun e Shiro sono due classici personaggi miikiani: la loro natura, il loro background, li rende dei reietti, degli esclusi. La loro stessa reticenza nell' avvicinare gli altri (il caso di Jun), l'impossibilità di rapportarsi con il prossimo senza usare la violenza (il caso di Shiro), li isola, li rende unici e soli in un luogo come il carcere dove si è forzatamente tutti uguali. Miike non è nuovo a rappresentare con una sensibilità spiazzante, legami affettivi fondati sul sangue e sulla violenza. Non esiste il coronamento romantico di questi sentimenti perché, nel cinema di Miike, "amore" molto spesso coincide con "morte". Un film bellissimo, visivamente affascinante che chi ama Miike non può lasciarsi scappare. Per tutti gli altri non posso che consigliare di scoprire questo regista che insieme a Kitano e Tsukamoto, rappresenta il meglio del cinema giapponese moderno.Pubblicata anche su



































