Wednesday, February 29, 2012

"Paradise? Paradise can go fuck itself."

La morte rappresenta il momento esatto in cui si smette di cambiare. La vita, almeno fino alla spesso improcrastinabile sua battuta d' arresto, è essa stessa sinonimo di cambiamento, il quale può avere la forza impetuosa di un fiume in piena che ci costringe ad imparare a nuotare o finire per essere trascinati via dalla corrente. Questa è la fondamentale lezione che si trova ad imparare sulla propria pelle Matt King, avvocato, padre e marito distante, quando la moglie finisce in coma dopo un incidente in barca. Da un momento all' altro si trova costretto a riconsiderare i suoi ruoli, a riallacciare (o forse a ricostruire) il rapporto con le figlie e a prendere un' importante decisione circa la vendita di un pezzo incontaminato di territorio hawaiano di cui la sua famiglia è custode da generazioni. Paradiso Amaro di Alexander Payne è un film che sfiora la tragedia senza che questa metta radici diventando un ricattatorio espediente per lacrime facili, preferendo che funga invece da perno intorno al quale far ruotare le vicende dei vari personaggi, una molla che attiva la trasformazione. Il vero punto di forza risiede però nel modo in cui si gioca con i contrasti, partendo dalla location paradisiaca che fa da sfondo alle vicende tutt' altro che felici della famiglia King, fino al protagonista, un George Clooney che smette momentaneamente i panni del divo e comprime la sua gigioneria sotto camicia floreale e infradito, restituendo un personaggio quanto mai umano, sopraffatto e disorientato dagli eventi e dalle responsabilità verso chi è venuto prima di lui e per chi verrà.

Recensione già pubblicata su CINE20.

Tuesday, February 28, 2012

WASTE OF TIME

Certo, non tutti possono essere Terrence Malick, ma esistono tanti registi/sceneggiatori che, con pochi progetti all' attivo, vantano una carriera più che dignitosa. Andrew Niccol poteva anche rientrare tra questi se non fosse che le buone premesse hanno finito per tradire pian piano le aspettative. Niccol si era fatto notare con la sceneggiatura di The Truman Show di Peter Weir per poi esordire dietro la macchina da presa con il bello e sorprendente Gattaca. La sua carriera è continuata poi con il sottovalutato S1m0ne e con l' invece fin troppo sopravvalutato The Lord of War. Da li in avanti il nulla fino a questo In Time progetto che, se non fosse scritto, diretto e prodotto dallo stesso Niccol, verrebbe da pensare ad un lavoro commissionato per raccattare un po' di soldi facili. Considerazione questa che emerge spontanea di fronte all' incredibile mediocrità nel quale il film è immerso fin dai primissimi secondi dove la voce narrante del protagonista ci spiega con grande enfasi come funziona il mondo in cui è ambientata la storia: in un non meglio precisato futuro l' uomo avrà sconfitto la morte e nessuno, raggiunti i venticinque anni, invecchierà più. Il restante tempo da passare sulla Terra dovrà però essere acquistato e solo i ricchi potranno permettersi l' immortalità con la nuova moneta di scambio, il Tempo. Quasi come in Gattaca, dove era la superiorità genetica a creare disparità sociali, ma senza la medesima intelligenza e sobrietà, Niccol spreca una preziosa occasione ed un soggetto dalle grandi potenzialità partorendo un ibrido tra sci-fi impegnata con virate action. Ma se da una parte è impossibile percepire il mimimo peso metaforico o un messaggio che vada oltre il p(i)attume didascalico che siamo costretti a subire, dall' altra le cose vanno pure peggio e nello scimmiottare cose già viste e già fatte da altri, il regista azzecca, ad esser buoni, giusto un paio di sequenze. Anche l' apporto superficiale e spaesato dato della coppia Timberlake/Seyfried (peccato per il sacrificato villain Cillian Murphy) trasmettono l' idea generale di un progetto fallimentare, debole e a tratti ridicolo, si spera, in maniera involuta. Da Niccol era lecito aspettarsi ben altro.

Recensione già pubblicata su CINE20.

Sunday, February 26, 2012

Lyric of the Week + Video / TRENT REZNOR - IMMIGRANT SONG (feat. KAREN O)



A-ah-ahh-ah, ah-ah-ahh-ah
We come from the land of the ice and snow
from the midnight sun where the hot springs blow

The hammer of the gods will drive our ships to new lands
To fight the horde and sing and cry, Valhalla, I am coming

On we sweep with, with threshing oar
Our only goal will be the western shore

Ah-ah-ahh-ah, ah-ah-ahh-ah
We come from the land of the ice and snow
from the midnight sun where the hot springs FLOW
How soft your fields, so green
can whisper tales of gore, of how we calmed the tides of war
We are your overlords

On we sweep with, with threshing oar
Our only goal will be the western shore

S-so now you better stop and rebuild all your ruins
for peace and trust can win the day despite of all you're losin'
Ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh
Ahh, ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh
Ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh, ooh-ooh

Friday, February 24, 2012

CINE20 - 45^ PUNTATA


Ok, Andrew Niccol delude con il suo In Time, ma Alexander Payne si riconferma con Paradiso Amaro spingendo Clooney mai così vicino all' Oscar come Migliore Attore protagonista. Se le uscite in sala non si presentano particolarmente brillanti, discorso totalmente opposto si può fare per quelle home video con una serie di titoli enormi: Drive, Melancholia, Ip Man 2, Restless e Faust. Può bastare? No? Allora venite a leggerci, online qui.

Thursday, February 23, 2012

CINEQUIZ - ST.03 - EP.19 "Happy childs, hand in hand"


Ecco il secondo frame!


Soluzione: IL MUCCHIO SELVAGGIO
Vincitore: Jived

Classifica:
Jived - pt. 17
Tob - pt. 7
Beld - pt. 3
Falketta - pt. 3
Nick - pt. 3
Para - pt. 3
Chimy - pt. 2
frenzmag - pt. 2
Hawke - pt. 2

Terzo frame:

Wednesday, February 22, 2012

"We have so little time to say the things we mean."

Enoch è un adolescente che passa il suo tempo intrufolandosi ai funerali di perfetti sconosciuti o conversando, tra una partita a battaglia navale e l'altra, con il fantasma di un kamikaze giapponese morto durante la Seconda Guerra Mondiale. Annabelle è una coetanea di Enoch ma, a differenza del ragazzo, il suo carattere solare la porta ad amare la vita nonostante un cancro in fase terminale le abbia drasticamente accorciato le aspettative per il futuro. Dopo la bella parentesi Milk, Gus Van Sant fa un passo indietro e torna ad esplorare dall' esterno, ma sempre con sguardo attento, la complessità dell' universo adolescenziale questa volta alle prese con la morte, unica vera costante presenza che aleggia su tutto il film. Il resto, dal curioso rapporto con il fantasma giapponese alla delicata storia d'amore con Annabelle, è un percorso salvifico che Enoch deve affrontare per uscire da un coma nel quale la sua vita è precipitata dopo tragici eventi luttuosi, un' elaborazione del lutto rivolta al passato ma anche al futuro, per accettare la morte in tutta la sua tragica ineluttabilità. Il superficiale (sotto)titolo italiano, L' Amore Che Resta (Restless), e le tematiche trattate, possono giustamente far pensare ad un film che rischia di rivelarsi ricattatorio nei confronti del pubblico e dei sentimenti che la triste storia dei due protagonisti può suscitare. Ma nonostante qualche semplificazione eccessiva ed un voler apparire "indie" in maniera forse anche forzata, la pellicola di Van Sant riesce a tenersi distante dalla banalità, e anche se la commozione arriva comunque, inevitabile, ci colpisce in maniera sincera con la semplicità di un sorriso piuttosto che con le lacrime.

Tuesday, February 21, 2012

Uomini che odiano i remake...a parte questo

Fermo restando l' assoluta convinzione che i remake "immediati" sono sintomo di una letale mancanza di idee e creatività ormai entrata in fase terminale, c'è sicuramente da spendere qualche buona parola per questo Millennium - Uomini che Odiano le Donne, firmato David Fincher. Ma mettiamo per un attimo le mani avanti: non ho letto i romanzi di Stieg Larsson, dai quali il film originale e questo sono tratti e non ho intenzione di farlo a breve. Considero la pellicola di Niels Arden Oplev un thriller onesto ma abbastanza anonimo e la sua protagonista, la tanto decantata Lisbeth Salander, un personaggio interessante ma troppo costruito ad arte, estremizzato a tal punto da risultare addirittura artificiale. In completa controtendenza con quello che generalmente comporta un' opera di remake, Fincher sceglie di non allontanarsi dall' originale mantenendo inalterate, sia la struttura narrativa che la location svedese, calcando invece la mano su quegli aspetti che già nel film di Oplev erano abbastanza forti (la violenza subita da Lisbeth e la sua vendetta). Una scelta azzardata ma che inquadrata in un' ottica d' insieme appare come il riuscito tentativo di un autore di non snaturare l' opera originale ma neanche sparire dietro di essa. E se la parte thriller/investigativa può continuare ad apparire, ad un pubblico smaliziato, non particolarmente brillante, il tocco di Fincher "autore" si avverte, nella regia, nell' approccio visivo cupo, negli elementi da produzione di un certo livello (i bellissimi titoli di testa o nella colonna sonora di Trent Reznor) o in una Lisbeth che, senza nulla togliere a Noomi Rapace, trova in Rooney Mara un interprete perfetta. Non poco davvero per un remake, "su commissione" per giunta.

Recensione già pubblicata su CINE20.

Sunday, February 19, 2012

Lyric of the Week + Video / NOEL GALLAGHER' S HIGH FLYING BIRDS - DREAM ON



Oh me, oh my, I'm running out of batteries
I'm hanging from the ladder
The tears you cried are only meant to flatter me
That shit don't matter at all, taking the shots as I fall
Watching the wheels that go round and round
Serene in the air 'cause I love you lady

I dream on, ohhh, 'cause that songbird singing
Shout it out for me, shout it out for me, so come on now

One day at a time, I'm hiding from the razor blade
That's hanging in the kitchen
The kids are tired, they drunk up all their lemonade
The bitch keeps bitching and all, taking the shots as I fall
Wait for the wheels to come round and round
Serene in the air 'cause I love you lady

I dream on, ohhh, 'cause that songbird singing
Shout it for me, shout it for me, ohhh
Dream on, ohhh, 'cause it's got no meaning
Shout it for me, shout it for me
She go, la-la-la-la-la-la, la-la-la-la-la
La-la-la-la-la-la, la-la-la-la-la-la-la

I dream on, ohhh, 'cause that songbird singing
Shout it for me, shout it for me, ohhh
Dream on, ohhh, 'cause it's got no meaning
Shout it for me, shout it for me (come on)
Shout it for me (come on), shout it for me (come on)
Shout it for me (come on), shout it for me (come on)
Shout it for me (come on), shout it for me (come on)
Shout it for me (come on), shout it for me (come on)
Shout it for me (come on), shout it for me

Friday, February 17, 2012

CINE20 - 44^ PUNTATA


Fincher ci stupisce con il remake lampo di Uomini che Odiano le Donne che riesce anche a superare l' originale. In sala arrivano altri due contendenti agli Oscar, Paradiso Amaro di Payne e War Horse d Spielberg, seguiti a ruota da ...E Ora Parliamo di Kevin e In Time. Anche per la sezione homevideo è tempo di remake con l' uscita di Blood Story in DVD e Bluray. On line qui, a portata di click.

Thursday, February 16, 2012

CINEQUIZ - ST.03 - EP.18 "Let me out of here!"


Smuoviamo le acque: secondo frame!


Soluzione: AMORES PERROS
Vincitore: Jived

Classifica:
Jived - pt. 15
Tob - pt. 7
Beld - pt. 3
Falketta - pt. 3
Nick - pt. 3
Para - pt. 3
Chimy - pt. 2
frenzmag - pt. 2
Hawke - pt. 2

Terzo frame:

Wednesday, February 15, 2012

BREAKING BAD - SEASON 03 -

TITOLO ORIGINALE: BREAKING BAD
TITOLO ITALIANO: BREAKING BAD
NUMERO EPISODI: 13

-TRAMA-
Una serie imprevedibile di coincidenze ed un disastro aereo sopra la testa di Walt, proprio mentre la famiglia che ha cercato in tutti i modi di mettere al sicuro finisce in frantumi sotto il peso delle sue azioni ormai ingiustificabili.

-COMMENTO-
Non sono tante le serie che, giunte alla terza stagione, continuano a chiudere in attivo, ma sono certamente ancora meno quelle che si dimostrano in crescita costante. Breaking Bad cresce? Non solo cresce ma raggiunge livelli mai toccati fino a questo momento tanto da configurare questa terza stagione come la migliore. Un risultato raggiunto non adagiandosi sui successi precedenti ne rimanendo imbrigliati in schemi formali e contenutistici sempre uguali ma, fermo restando una confezione (regia, montaggio, fotografia) sempre ottima, puntando al rialzo e giocando sull' evoluzione, sul ribaltamento dei personaggi. Se Walt e Jessie sono quelli sui quali fino ad ora ci si è concentrati maggiormente, questi tredici episodi lavorano a 360° sul microcosmo di Breaking Bad, ne si intacca definitivamente la superficie e si mettono a nudo debolezze e ipocrisie. Cambiamenti che arrivano, e questa è forse il particolare narrativamente più efficace, a seguito delle azioni di Walt: ogni sua scelta, grande o piccola che sia, ha un effetto valanga su tutti quelli che, volontariamente o involontariamente, ne vengono coinvolti. E quando si tratta di scegliere poi, è sempre più facile fare un passo verso la perdizione piuttosto che verso la salvezza anche se la strada imboccata è a senso unico e senza possibilità di tornare indietro. Emblematici a questo proposito i due episodi finali che ci lasciano in attesa della quarta stagione con un cliffhanger che toglie il fiato.

-DVD/BLURAY-
Al momento la terza stagione è disponibile solo nell' edizione americana ordinabile qui. Si attende quella inglese più facilmente reperibile.

Tuesday, February 14, 2012

"You lost your wife. And you lost your mom. I lost my nut."

Padre e figlio, travolti da un gravissimo lutto, si ritrovano incapaci di rimettere le loro vite in carreggiata quanto basta per ricompattare un nucleo familiare sbriciolatosi sotto il peso del dolore per la perdita. In aggiunta ad una situazione già di per se al limite, arriva Hesher, uno sbandato vagabondo metallaro che si instaura nel loro garage diventando, anche dietro minaccia, loro ospite poco gradito. Quasi come nel "miikiano" Visitor Q, la salvezza arriva dal fattore X inaspettato, l' elemento esterno che, anche con metodi poco ortodossi, mette ordine nel caos. L' elaborazione del lutto, in questo caso, passa attraverso l' anarchica follia di Hesher che spinge padre e figlio oltre quel limite dove, o ci si rialza o si sprofonda definitivamente. Le somiglianze, seppur superficiali, con il film di Miike non tardano però a farsi sempre più impalpabili lasciando la sensazione che il regista Spencer Susser, qui al suo esordio nel lungometraggio (2010), non sia riuscito a portare a compimento quanto di buono lasciato intuire sin dai primi minuti del film. Le potenzialità del personaggio di Hesher ad esempio (interpretato da un Joseph-Gordon Lewitt cappellone trasandato e malamente tatuato) si perdono strada facendo forse per una mancanza di coraggio nel tenere un approccio politicamente scorretto (perfettamente incarnato dal protagonista) anche di fronte al dramma. Susser preferisce la strada più facile, rifugiandosi appena possibile dietro la facciata da commedia agro-dolce tipica di un certo modo di fare cinema "indie" negli Stati Uniti, perdendo la preziosa occasione di lasciare il segno con un film che si dimostra, certo piacevole, ma nulla più.

Recensione già pubblicata su CINE20.

Monday, February 13, 2012

This is where the dreams are made

Nella stazione ferroviaria di Parigi vive il giovane orfano Hugo Cabret impegnato a verificare il corretto funzionamento degli orologi del complesso e a raccattare, anche con piccoli furti, qualche ingranaggio per riparare un automa, unico lascito del defunto padre. Oggetto misterioso, forse magico, veicolo di ricordi e ponte tra generazioni, capace di catturare e "scolpire" frammenti di tempo, come i fotogrammi su di una pellicola. L' automa è il Cinema o perlomeno ciò che il Cinema rappresenta per i protagonisti della storia, Hugo, suo padre e il cineasta George Melies, un "meccanismo" che funziona grazie alla complessità dei suoi ingranaggi, nascosto dietro all' illusione, alla magia di un' instancabile fabbrica di sogni. Scorsese ci promette un' avventura, all' apparenza banale, risaputa, forse infantile, e ci regala invece un omaggio alla Settima Arte nella sua totalità, un viaggio alle origini che sfiora i Lumiere e arriva dritto a Melies, mago ed illusionista, artigiano di un cinema che fu e che rivive oggi grazie ad un 3D quanto mai importante nella sua funzione di giuntura fondamentale tra presente e passato. Tutto il film ruota intorno a questo legame imprescindibile tra ieri e oggi, sull' importanza della memoria non solo come inestimabile eredità ma come catalizzatore di quelle emozioni che stanno alla base dell' amore per il cinema. Un viaggio non facile, all' apparenza non per tutti, ma per il quale Scorsese mette a disposizione un treno capiente. E se per caso vi riconoscete in Hugo e Isabelle e nelle espressioni estasiate e divertite dei loro volti illuminati dallo schermo cinematografico, allora state pur certi che siete nelle carrozza giusta.

Recensione già pubblicata su CINE20.

Sunday, February 12, 2012

Lyric of the Week + Video / OK GO - NEEDING / GETTING



I've been waiting for months
Waiting for years
Waiting for you to change
Aw, but there ain't much that's dumber
There ain't much that's dumber
Than pinning your hopes on a change in another

And I, yeah, I still need you, but what good's that gonna do?
Needing is one thing and getting, getting is another

So I been sitting around
Wasting my time
Wondering what you been doing
Aw, and it ain't real forgiving
It ain't real forgiving
Sitting here picturing someone else living

And I, yeah, I still need you, but what good's that gonna do?
Needing is one thing and getting, getting is another

I've been hoping for months
Hoping for years
Hoping I might forget
Aw, but it don't get much dumber
It don't get much dumber
Than trying to forget a girl when you love her

And I, yeah, I still need you, but what good's that gonna do?
Oh, needing is one thing and getting, getting is another

Friday, February 10, 2012

CINE20 - 43^ PUNTATA


Latitano le uscite home video ma per compensare parliamo della sorpresa Hugo Cabret e del modesto Hesher è Stato Qui. Al cinema continua lo sfoggio di grandi interpretazioni trasformiste di grandi attrici con Glen Close nei panni maschili di Albert Nobbs. Esce anche Star Wars Episodio I in 3D ed è già noia. Online qui. Leggeteci!

Thursday, February 09, 2012

CINEQUIZ - ST.03 - EP.17 "Smart(ies) girl"


Soluzione: CHOCOLATE
Vincitore: Nick

Classifica:
Jived - pt. 13
Tob - pt. 7
Beld - pt. 3
Falketta - pt. 3
Nick - pt. 3
Para - pt. 3
Chimy - pt. 2
frenzmag - pt. 2
Hawke - pt. 2

Ecco gli altri due frame:


Wednesday, February 08, 2012

Questioni di PROTOCOLLO

Il problema più grande che si può riscontrare nelle tre incarnazioni cinematografiche di Mission : Impossible è la totale mancanza di continuità sia nel trattare il personaggio principale che nell' approccio indeciso con il quale si è portato al pubblico uno spy-movie potenzialmente vincente ma mai all' altezza di James Bond o dei vari Bourne. A parte Ethan Hunt e qualche personaggio di contorno a fare da collegamento, i tre film sono incompatibili e solo nel terzo Abrams è riuscito a dare al franchise un' impronta solida e coerente virata all' action, non perfetta, tutt' altro, ma comunque gradevole. Sono dovuti passare sei anni prima che qualcuno rimettesse mano su di una serie creduta morta e sepolta ma, per fortuna, il tempo passato non ha fatto smarrire la giusta strada presa nel 2006 tanto da poter considerare Protocollo Fantasma il miglior Mission Impossible fino ad oggi. La Bad Robot rimane alla produzione ma il creatore di Lost si fa da parte cedendo la regia a Brad Bird. Curiosità cinefila vuole che sia proprio lui uno dei motivi per i quali ci si avvicina al film, sopratutto per vedere come se la cava un rinomato regista Pixar (suoi Gli Incredibili e Ratatouille) con un blockbuster live-action. Basterebbe l' arrampicata sul grattacielo di Dubai per promuoverlo a pieni voti, ma Bird si dimostra capace di gestire un action a tutto tondo dall' inizio alla fine, con un ritmo sostenuto che segue di pari passo una narrazione che concede pochissimi momenti per riprendere fiato, magari aprendo delle parentesi da commedia (Simon Pegg non è inserito nel cast per puro caso) mai eccessive. Un sequel finalmente all' insegna dell' equilibrio insomma che, a distanza di sedici anni dal capitolo d'esordio sul grande schermo, ha perlomeno l' onestà e l' intelligenza di non prendersi troppo sul serio trasformando l' "impossibile" in puro e semplice cinema d' intrattenimento.

Recensione già pubblicata su CINE20.

Tuesday, February 07, 2012

"There are rich teams and there are poor teams, then there's fifty-feet of crap, and then there's us."

Un film sul baseball? In Italia, o meglio, il Paese calcio-dipendente per eccellenza? Una cosa che decisamente non si spiega e rende ancora più misteriosi ed inesplicabili i meccanismi distributivi nostrani. Che il motivo risieda nella presenza di Brad Pitt nel ruolo principale e la sua candidatura all' Oscar? Possibile, ma facciamo finta per un momento che il motivo sia un' altro. L' Arte di Vincere (Moneyball) di Bennett Miller racconta la vera storia degli Athletics di Oakland e del loro General Manager Billy Beane che nel 2001, dopo una stagione positiva, si trovò a ricostruire da zero la squadra con un budget irrisorio, affidandosi ad un sistema statistico ideato da un giovane laureato in Economia a Yale. E' quasi come la storia di Davide e Golia applicata ad un universo sportivo (quello del baseball nello specifico ma in generale facilmente riconoscibile anche in altri sport) dove sono i budget ultra milionari a comandare e se qualche società non riesce a stare al passo, quelle più grandi se la divorano. Una critica che non possiamo che sentire molto vicina anche qua da noi, quella rivolta senza mezzi termini ad un sistema che ha voltato le spalle ai valori dello sport e ha trasformato gli atleti in mera merce di scambio e le cui quotazioni salgono e scendono come fossero azioni in borsa. E' bene specificare che di sport giocato qui ce n'è ben poco. Il film di Miller preferisce concentrasi sulla storia di un perdente i cui errori e i rimpianti continuano a tormentarlo e per i quali prova a fare ammenda cercando di rivoluzionare dal basso un mondo dove i soldi fanno la differenza. Ed è una storia dal retrogusto amaro, priva di facile retorica, dove Davide questa volta fa a Golia solo un graffio perchè i veri giganti son difficili da buttare giù.

Recensione già pubblicata su CINE20.

Monday, February 06, 2012

Le prime tre Missioni Impossibili

Era il 1996 quando qualche produttore di Hollywood si svegliò con l' idea fissa che forse era arrivato il tempo di portare una classica serie TV come Mission Impossible al cinema e magari farci qualche soldino. Per operazioni di questo tipo servono nomi di un certo peso ed ecco spuntare Brian De Palma alla regia, score originale risuonato dall' accoppiata U2 "Clayton/Mullen Jr." e protagonisti del calibro di Tom Cruise e John Voight. Mission Impossible è un film che a guardarlo oggi fa un po' sorridere forse perchè sembra più vecchio di quello che in realtà è. Curiosamente è proprio il comparto tecnologico a dare questa particolare impressione quando, ad avveniristici occhiali telecamera (a dir la verità neppure tanto) si affiancano portatili spessi quanto un volume della Treccani, monitor a tubo catodico e floppy disk per salvare i dati. Per il resto quello di DePalma è un film di spionaggio con tutte le carte in regola, forse non originalissimo, ma coinvolgente nel trascinare lo spettatore in una vicenda che, tra intrighi internazionali, doppi/tripli giochi e colpi di scena, di sicuro non annoia mai. Si punta poi a dare al film una certa sobrietà anche nelle scene madri (inclusa quella nel ristorante/acquario anche se potrebbe sembrare il contrario) sopratutto in quella che è poi diventata simbolo del franchise, l' irruzione nella stanza più protetta del quartier generale CIA con il nostro Tom/Ethan Hunt sospeso a mezz'aria con un cavo. Una sequenza bella tesa, quasi totalmente priva di colonna sonora, che fa un po' a pugni in faccia con la svolta fracassona di fine film dove, il confronto finale con il villain di turno, avviene appesi su di un treno ad alta velocità, in galleria, con tanto di elicottero in inseguimento. Una scelta poco coerente con il resto del film ma che alla fine possiamo lasciarci alle spalle facendo spallucce.


Per il seguito di Mission Impossible si è visto necessario prendere strade diverse. La sobrietà del film di DePalma non poteva più andare bene e bisognava assolutamente puntare all' azione, ma sopratutto dare una controparte femminile al nostro eroe (per renderlo un po' più figo, mica per altro) e magari, perchè no, fargliela conquistare e trombare nei primi quindici minuti di film. Messo in pari il sex-appeal del personaggio con quello del più noto James Bond, si può pure passare ad altro. Per dare al film quella spinta adrenalica e un po' fracassona ricercata, si mette dietro la macchina da presa John Woo uno che le sue belle (bellissime) cose le ha fatte...prima di cedere alle lusinghe di Hollywood. Mi piace pensare infatti che proprio questo secondo capitolo di Mission Impossible, sia uno dei motivi che l' hanno convinto a fare i bagagli per tornare a fare grandi (grandissime) cose in patria. Il problema principale del film è proprio lo scarto, troppo marcato, con il precedente. A parte l' incipit, Mission Impossible 2 ci mette troppo tempo a portarci nel vivo della storia che comunque non sembra mai decollare veramente e tutto quello che rimane allo spettatore è un "gioco di maschere" condito con inseguimenti e sparatorie. Ethan Hunt poi appare proprio un personaggio completamente diverso, pronto a sparare alla prima occasione (anche con due pistole) e a menare con un' agilità improbabile. Naturalmente questo tipo di azione porta la firma, sbiadita, di John Woo ma non basta certo qualche ralenty o le colombe in volo a convincerci sulla bontà di questo progetto che sembra molto sbilanciato ma sopratutto inferiore rispetto al precedente.


Una volta intrapresa la svolta action non si può più tornare indietro a meno che non si voglia portare il franchise Mission Impossible ad un suicidio quanto meno probabile. Quello che si necessitava però era dare al terzo capitolo un pochino più di solidità cosa che, al film di John Woo, mancava proprio. Terzo film, terzo cambio di regia e questa volta si coinvolge uno che al cinema vuole farsi le ossa dopo aver cambiato radicalmente il modo di fare serie TV oggi: J.J.Abrams. Per questo suo esordio il (neo)regista si porta dietro il suo team creativo vincente (Orci, Kurtzman, per essere chiari) e punta a rendere il film narrativamente avvincente con un incipit davvero drammatico e tesissimo che si rivela essere un flashforward interrotto improvvisamente da un colpo di pistola, schermo nero e titoli di testa (qualcuno ha detto Lost?). Come nei precedenti due capitoli anche qui qualcuno cerca di rubare qualcosa di molto importante e pericoloso ma, a parte il nome in codice "zampa di coniglio", non ci verrà mai rivelato di che si tratta. Quello su cui puntano Abrams e soci non è tanto il "cosa" ma il il "come" e soprattutto il "chi". La sequenza sul ponte o quella sui tetti dei grattacieli di Shangai non sono soltanto una prova del fatto che Abrams ci sappia fare ma anche un paio di cose che, nel curriculum di un esordiente, sono oro puro. Troviamo poi un Ethan Hunt più maturo, deciso a lasciarsi il passato alle spalle ma trattenuto dalla responsabilità verso gli agenti che lui stesso ha addestrato e che lo porta a scontrarsi con quello che è probabilmente il miglior villain dei tre film, interpretato da un crudelissimo Phillip Seymour Hoffman. Non che sia tutto perfetto intendiamoci: risulta molto debole infatti rendere la moglie di Ethan parte integrante dell' azione nel finale del film, così come la sua reazione quando scopre il passato del marito. Per non parlare poi della sequenza girata in Italia che sfocia nel ridicolo involontario quando gli attori cominciano a recitare in italiano. Ma a parte questo, la serie Mission Impossible sembra aver imboccato con questo terzo capitolo i binari giusti, sperando che non la facciano deragliare nuovamente.

Sunday, February 05, 2012

Lyric of the Week + Video / CAREY MULLIGAN - NEW YORK, NEW YORK



Start spreading the news,
I'm leaving today.
I want to be a part of it, New York, New York.

I want to wake up in the city that doesn’t sleeps,
To find I'm king of the hill, top of the heap.

These vagabond shoes,
Are longing to stray,
And make a brand new start of it
New York, New York

If I can make it there,
I'll make it anywhere,
It's up to you, New York, New York.

Friday, February 03, 2012

CINE20 - 42^ PUNTATA


Il quarto Mission Impossible è anche il migliore della serie?
Ha senso distribuire un film sul baseball in Italia?
A queste domande trovate risposta nella nuova puntata di CINE20 insieme alle uscite cinematografiche che vedono una settimana segnata dal ritorno di Scorsese e Fincher con i rispettivi nuovi progetti. Online qui, as always.

Thursday, February 02, 2012

CINEQUIZ - ST.03 - EP.16 "The rude welcome"


Che succede?
La pausa vi ha reso timidi?
Vediamo che vi dice il secondo frame:


Soluzione: CUORE SELVAGGIO
Vincitore: Chimy

Classifica:
Jived - pt. 13
Tob - pt. 7
Beld - pt. 3
Falketta - pt. 3
Para - pt. 3
Chimy - pt. 2

frenzmag - pt. 2
Hawke - pt. 2

Terzo frame:

Wednesday, February 01, 2012

Paura e contagio

Ciò che da all' ultimo film di Steven Soderberg una decisa spinta in avanti è certamente il fatto di rifarsi, in maniera più esplicita che implicita, ai recenti casi, più mediatici che altro, di Sars e H1N1. Il regista americano immagina che a poca distanza da queste contenute emergenze sanitarie, si diffonda per tutto il globo, con una rapidità preoccupante, una nuova pandemia molto più aggressiva delle precedenti, il tutto raccontato da molteplici punti di vista, dal comune cittadino, ai membri delle organizzazioni sanitarie, ai media. Pur se frammentato dalla sua struttura corale, Contagion è un thriller teso e solidissimo dove molta dell' attenzione viene posta sull' estrema difficoltà che hanno le strutture sanitarie, da quelle più piccole fino a quelle mondiali, di gestire crisi a livello globale prima che panico e paura si diffondano con effetti più devastanti dei virus che si cercano di combattere. Ma non ci si risparmia neanche sulla necessità di un' informazione, non soltanto coerente, ma che sia capace di capire il peso delle proprio ruolo e di riflesso la responsabilità che questo comporta, tanto quella dei media tradizionali che quella libera (splendido a tal proposito il blogger interpretato da Jude Law). Contagion ha anche il pregio di essere un film tecnicamente sobrio, montato in maniera intelligente e musicato da uno score azzeccatissimo. Impressionante il numero di grandi attori coinvolti (Matt Damon, Marion Cotillard, Lawrence Fishburne o Josie Ho) che si prestano anche a parti davvero piccole ma tutte piuttosto essenziali nel complesso.

Recensione già pubblicata su CINE20.