Wednesday, June 30, 2010

L' uomo sul filo

Philippe Petit. Un nome "piccolo" che non rende giustizia alla grandezza dei sogni di quest'uomo, sogni coltivati fin da bambino, divenuti un obiettivo da raggiungere quando all' età di diciassette anni, vedendone un' articolo in una rivista, decise che avrebbe camminato tra le Torri gemelle del World Trade Center di New York, impresa che divenne realtà la mattina del 7 agosto del 1974. Quello che lo stesso Petit definì "il colpo" viene raccontato nel documentario di James Marsh attraverso le interviste ai protagonisti, immagini di repertorio delle precedenti "passeggiate" di Petit e la ricostruzione dell' elaborato piano che portò il funambolo francese ed i suoi amici sulla cima delle super sorvegliate Torri Gemelle con tutta l'attrezzatura necessaria. Un piano messo insieme lentamente, un mosaico complesso di sopralluoghi, prove, esperimenti che nulla ha da invidiare a qualche complessa sceneggiatura hollywoodiana e che Marsh decide di rappresentare con un deciso taglio cinematografico per rendere giustizia e restituire la giusta tensione per un atto (folle? Illegale? Necessario?) che non ha precedenti e che non avrà seguiti come la triste storia recente è sempre li a ricordarci, dettaglio su cui il regista decide giustamente di glissare. Tutta l'attenzione è naturalmente focalizzata sulla figura di Philippe, nel tentativo di darci un quadro quanto mai preciso di quest'uomo che a distanza di trent'anni dimostra ancora una passione travolgente per quello che fa e quello che ha fatto, sensazione che si percepisce nel modo sincero in cui lo racconta e attraverso il quale racconta se stesso. Una passione che si trasforma in una forza magnetica capace di trascinare a se un manipolo di persone che non poterono fare a meno di condividere il suo stesso sogno e fare il possibile (anche andare in prigione) per realizzarlo. La carica emozionale di quello spettacolo che misero in piedi una mattina d'agosto per un America ferita da scandali politici, ci arriva con grande intensità attraverso le lacrime di uno degli amici/complici che, dopo tre decadi, probabilmente sente ancora cucita addosso la tensione, la paura e, perché no, anche la gioia. E Petit? Purtroppo non esistono documenti filmati della sua impresa ma solo alcune foto scattate dalla cime delle torri, che lo ritraggono con un sorriso contagioso, mentre gioca con la sua vita letteralmente appesa ad un filo, una vita destinata a guardare il mondo da una prospettiva più alta rispetto a quella di tutti gli altri.

Tuesday, June 29, 2010

TOY STORY: l' avventura Pixar comincia da qui

Viene da chiedersi se nel 1995, John Lassenter, Andrew Stanton e Brad Bird, già si immaginavano le rivoluzione che il loro primo lungometraggio (e primo in assoluto) animato completamente in computer grafica avrebbe portato al cinema, non solo di genere, e l'importanza che avrebbe avuto negli anni a venire essere riusciti a superare questa sfida tecnologica. Toy Story può essere considerato a tutti gli effetti una pietra miliare, un film che ha aperto la strada a nuove frontiere che sarebbero state esplorate anche da altri che si trovarono sempre e comunque un passo indietro rispetto alla Pixar. Il film di Lasseter e Co. possedeva infatti quelle caratteristiche che sarebbero diventate poi un marchio di fabbrica dello Studio perchè, se da un punto di vista puramente tecnologico i risultati sono sempre stati sbalorditivi (e anche se tecnicamente datato, Toy Story è una meraviglia visiva) si è sempre curata con precisa attenzione la storia e le tematiche dietro il oro film. Da questo punto di vista Toy Story è un vero e proprio tributo alla fantasia, quella genuina alla quale da bambini davamo sfogo per creare mondi e avventure dove i nostri giocattoli erano gli assoluti protagonisti. Il primo grande gioiello Pixar comincia dove questa fantasia finisce, infatti, lontano dallo sguardo del proprio "proprietario", i giocattoli prendono magicamente vita. Tra questi c'è il cowboy Woody, il leader ideale anche perchè giocattolo preferito, la cui posizione viene messa in ombra dall' arrivo del più moderno Buzz Lightyear. Rivalità, gelosia, amicizia, sono gli argomenti intorno ai quali la pellicola si sviluppa, ma anche e soprattutto il nuovo che incombe sul vecchio per prenderne il posto, tematica che fa nascere un naturale parallelo con quanto accaduto, perlomeno nel mercato americano, tra l' animazione "classica", di cui la Disney si è fatta portabandiera per anni, e quella in computer grafica. La seconda ha infatti fatto sparire quasi totalmente la prima, principalmente per motivi economici (costi di produzione e incassi al botteghino) piuttosto che per ragioni artistiche. Altre cinematografie, prima su tutte quella giapponese, ha dimostrato come le due "scuole", chiamiamole così, possono essere anche complementari. Nuovo e vecchio o classico e moderno, che dir si voglia, non devono necessariamente andare in contrasto l' uno con l'altro insomma. Woody e Buzz insegnano.

Monday, June 28, 2010

Far East Film Festival 12 - In Pictures - Parte 2

Secondo ed ultimo post fotografico sul FEFF che chiude anche l' argomento festivaliero almeno (si spera!) per quest' anno. Godetevi un po' di facce da FEFF adesso e... alla prossima!!!






Il mio editor verifica i miei mini articoli sui film appena visti ^__*

La nostra vicinanza comincia ad avere effetti nefasti su Tob ^__*



Rosuen se la ride sul trono ^__^

Il grandissimo e simpaticissimo Chapman To!!!

Accrediti mica da ridere ^__*

La foto di gruppo (ormai divenuta rito immancabile) dei blogger! Da sinistra Tob, Chimy, il sottoscritto e Para...troppo belli per un solo festival ^__^ (manca Rob purtroppo ma vedremo di recuperare il prossimo anno!)

L' ultima foto di gruppo...manca davvero solo il pallone e qualcuno che regga il gagliardetto ^__*

NOTE A MARGINE: salvo diversa indicazione, tutte le foto sono mie esclusa la prima scattata dal gentilissimo Giando.

Sunday, June 27, 2010

Lyric of the Week + Video / BAND OF HORSES - IS THERE A GHOST

**Fringe ep. 21 finale...e non dico altro!**


I could sleep
I could sleep
I could sleep
I could sleep
When I lived alone
Is There A Ghost in my house?

I could sleep
I could sleep
I could sleep
I could sleep
When I lived alone
Is there a ghost in my house?
When I lived alone
Is there a ghost in my house?
My house...

I could sleep
I could sleep
I could sleep
I could sleep
When I lived alone
Is there a ghost in my house?
When I lived alone
Is there a ghost in my house?
My house...

I could sleep
I could sleep
I could sleep
I could sleep
When I lived alone
Is there a ghost in my house?
When I lived alone
Is there a ghost in my house?
My house...

Thursday, June 24, 2010

"Ladies and gentlemen, welcome to The Tournament."

Ogni sette anni, in una località scelta casualmente, si svolge un tornea particolarissimo che vede trenta tra i migliori killer sfidarsi in una gara al massacro dove solo uno di loro ne uscirà vivo. Patrocinato da una organizzazione tanto potente da poter mascherare agli occhi del mondo la morte e la distruzione che coinvolge spesso e volentieri soprattutto civili innocenti, il gioco permette a multimiliardari in vena di sperperare i loro soldi, di scommettere su quale assassino riuscirà a portare a casa la pelle ed il premio in denaro messo in palio. Ci si sono messi in tre per scrivere la sceneggiatura di The Tournament che dice quel che aveva da dire nei primi quindici minuti lasciando il resto del film alla "gara" tra assassini permettendosi, in questo percorso lineare, qualche cambio di percorso per piazzare un paio di colpi di scena piuttosto telefonati. Così il regista Scott Mann si trova a lavorare con un plot striminzito e con un gruppo di attori che di recitare non ne hanno proprio voglia, tra i quali uno "stitico" Ving Rhames (vedere la sua performance per capire), la bella Kelly Hu e Ian Somerhalder (il Boone di Lost) che dovrebbe interpretare il killer più cazzuto di tutti. C'è anche Robert Carlyle, che qui interpreta un prete ubriacone e sboccato in piena crisi di Fede che finisce per diventare un concorrente del torneo per pura sfiga, che solleva un po' la media. Insomma, il buon Scott si ritrova con una brutta mano ma sorprendentemente se la gioca bene con un "bluff" che salva la partita. Se infatti, come si è detto prima, il plot esaurisce subito le sue potenzialità e i personaggi sono semplice carne da cannone senza alcuna profondità, il resto è un concentrato di esplosioni, inseguimenti, sparatorie, combattimenti ed uccisioni dalle più classiche alle più truculente. Un concentrato di pura azione che non da tregua, chiede allo spettatore il minimo indispensabile d'attenzione e restituisce intrattenimento senza sconti. Magari il giorno dopo già ve lo siete dimenticato ma perlomeno non ci si annoia mai.

Wednesday, June 23, 2010

FRINGE - SEASON 02 -

TITOLO ORIGINALE: FRINGE
TITOLO ITALIANO: FRINGE
NUMERO EPISODI: 23

-TRAMA-
Peter e Walter indagano sul misterioso incidente nel quale rimane coivolta Olivia di ritorno dopo aver fatto "visita" a William Bell, mentre una nuova minaccia sembra provenire dall' universo parallelo.

-COMMENTO-
Sin dalla prima puntata di Fringe era nato in maniera del tutto naturale un parallelo con X-Files. Le indagini su eventi misteriosi operate da una sezione speciale dell' FBI, intrighi e losche trame che si diramano dietro le quinte, avevano fatto pensare che Abrams e Co. volessero ricalcare quel sentiero che fece della serie di Chris Carter uno degli eventi televisivi simbolo degli anni' 90. Ma Fringe ha dimostrato di saper camminare con le sue gambe con passo spedito, scrollandosi di dosso il peso di dover in qualche modo colmare quel vuoto lasciato da X-Files ma senza presunzione, saldando un evidente debito di riconoscenza con una esplicito omaggio in apertura del primo episodio di questa seconda stagione.
Ma Fringe non ha fatto solo questo. Con questi nuovi ventitre episodi, almeno per chi scrive, l' ultima creatura di J.J. Abrams va sicuramente a riempire quel vuoto lasciato da Lost e 24. Ci riesce tra l'altro con naturale disinvoltura puntando sulle carte vincenti della prima stagione, lavorando su episodi autoconclusivi senza dimenticare di seminare indizi e regalare rivelazioni sulla sottotrama principale che, tra universi paralleli, flashback e viaggi nel tempo (che permettono agli sceneggiatori di "giocare" con le sigle degli episodi), lascia lo spettatore vittima (in senso buono naturalmente) di infinite congetture rendendo tutto molto intrigante. Grande spazio è lasciato allo sviluppo dei personaggi, di Peter ma soprattutto Walter, protagonisti di alcuni dei migliori episodi della serie tra i quali spicca sicuramente quello che omaggia un po' Cronenberg e un po' Tsukamoto con protagonista Peter Weller.
Tra l'altro il finale di stagione ci preannuncia una terza da urlo...e siamo tutti pronti ad urlare!!!

-DVD-
Mentre in Italia aspettiamo quello della prima stagione, non è dato sapere data di pubblicazione internazionale per il cofanetto della seconda.

Tuesday, June 22, 2010

Non vado matto per i film mal riusciti

L' instancabile macchina del tempo hollywoodiana continua nel suo interminabile lavoro di recupero delle vecchie glorie del passato, intervenendo nel processo attraverso opere di restyling e ammodernamento che in qualche modo dovrebbero rendere appetibili opere evidentemente datate per il pubblico di oggi. Ed ecco che dopo un bel balzo indietro nel 1983 e necessario "lifting", arrivare nelle sale il film dell' A - Team. Come da manuale il film di Joe Carnahan (ma che è successo a quest' uomo? Qui fa il suo dovere, per carità, ma con Narc sembrava promettere grandi cose...) si inserisce tra i più classici film d'azione americani di oggi, esagerato, riempito di esplosioni, sparatorie, computer grafica ed un parco personaggi smargiassi con la battuta sempre pronta. Tutte cose che nel giusto contesto sono proprio l'ultimo a disprezzare, ma che con la serie scritta e prodotta da Stephen J. Cannel e Frank Lupo non hanno proprio nulla a che fare o meglio, potrebbero anche non disturbare se non fossero state usate per dare un calcio nelle palle a chi ci è cresciuto con le storie di Hannibal Smith e del suo team. Quando ancora non eravamo così smaliziati da usare termini come "serial" o "serie TV", prodotti televisivi come l' A-Team erano i "telefilm americani" e a quelli ci siamo affezionati. Il fattore nostalgia non dovrebbe influire nel giudizio di un prodotto del 2010, ma è impossibile restare indifferenti quando questo "aggiornamento" nasce da necessità unicamente commerciali finendo per snaturare ciò che si è costruito in cinque lunghe stagioni: posso capire la necessità di narrare le origini del gruppo (tra l'altro piacevoli), l'inizio della loro attività di fuorilegge spostata dal Vietnam all' Iraq, e di sviluppare il film intorno al tentativo di scagionarsi dai giochi di potere nei quali sono rimasti invischiati, ma questa non è l' A-Team che ricordo io e quello che ne rimane sono brandelli utilizzati ad arte che, più che strizzatine d' occhio, sono un perfetto specchietto per le allodole (le battute storiche o il furgone di P.E.). L' A-Team che ricordo io faceva saltare i cofani delle macchine e in qualsiasi posto venissero intrappolati riuscivano a costruire qualcosa per scappare o per ribaltare una situazione sfavorevole. Una struttura che si ripeteva quasi episodio dopo episodio ma che funzionava anche grazie al grande carisma degli attori e alla particolarità dei personaggi. Eppure il tempo è implacabile anche con loro e l' Hannibal Smith di Liam Neeson (quasi un' ombra rispetto a quello del compianto George Peppard) viene messo pian pianino in secondo piano rispetto al palestratissimo Bradley Cooper nel ruolo di Sberla che, oltre a mettere in mostra il fisico perfetto ad ogni buona occasione, ruba il posto al Colonnello organizzando il piano finale e recitando la sua storica battuta. E mentre qualcuno del cast originale si presta a simpatici cameo dopo i titoli di coda, non è difficile capire chi invece si è tirato indietro preferendo non prendere parte ad un progetto che ha pregi e difetti di tanti film di genere ma che in questo caso (mi si perdoni il fatto di non riuscire ad essere proprio obiettivo) appare quanto mai sbagliato.

Monday, June 21, 2010

Far East Film Festival 12 - In Pictures - Parte 1

Inizia qui il primo dei due resoconti (o riassunti) fotografici della trasferta udinese per la 12^ edizione del FEFF, post che chiuderanno l'argomento lasciando bei ricordi e tanta nostalgia. Ricordandovi che il set completo di foto verrà pubblicato sul mio profilo di Facebook, andiamo a cominciare:

SI PARTE!



IN VIAGGIO...



A UDINE



Guendalona!!!

Il maestro Johnnie To durante l' incontro con i giornalisti prima della presentazione del suo ultimo film "Vendicami"

TRACCE DI FEFF PER LE VIE DI UDINE






IL TEATRO


Il mio bel posticino ^__^

Si comincia!!!

Sunday, June 20, 2010

Lyric of the Week + Video / BAUSTELLE - LE RANE

**E' uscito già da un po' ma merita anche se in ritardo**


Mentre scoprivamo il sesso
Ignari di ciò che sarebbe poi successo
Dopo la maturità
Eccoci che attraversiamo i girasoli
Bucanieri nati
Andiamo via dalla realtà
Dalle case popolari

Che fine hai fatto
Ti sei sistemato
Che prezzo hai pagato
Che effetto ti fa
Vivi ancora in provincia
Ci pensi ogni tanto alle rane?
L'ultima volta ti ho visto cambiato
Bevevi un amaro al bancone del bar
Perchè il tempo ci sfugge
Ma il segno del tempo rimane

Nelle notti estive e nere
Solo lucciole a guidarci nell'oscurità
Un'era fa
La crudele pesca delle rane
In uno stagno usato per l'irrigazione
Io e te
Fratello mio
Con gli ami e con la torcia

Che fine hai fatto
Ti sei sistemato
Che prezzo hai pagato
Che effetto ti fa
Vivi ancora in provincia
Ci pensi ogni tanto alle rane?
L'ultima volta ti ho visto cambiato
Bevevi un amaro al bancone del bar
Perchè il tempo ci sfugge
Ma il segno del tempo rimane

Ma voglio immortalarti e ricordarti così
Coi sandali e il coraggio di Yanez
E porterò morendo quella gioia corsara con me

Io nel frattempo me ne sono andato
Se vuoi ti ho tradito
Che effetto mi fa
La piscina di un agriturismo
Ha coperto le rane
L'ultima volta che ti ho salutato
Poi sono scappato nel cesso del bar
Ed ho pianto sul tempo che fugge
E su ciò che rimane

Thursday, June 17, 2010

Recuperi post FEFF 12 : CASTAWAY ON THE MOON

Un uomo sull' orlo della bancarotta decide di togliersi la vita gettandosi da uno dei ponti che passano sopra il fiume Han a Seul. Il suo tentato suicidio fallisce però perchè il suo corpo viene trascinato dalla corrente sulle rive di una piccola isola, un lembo di terra, che emerge al centro delle acque del fiume. Incapace di nuotare e spaventato all'idea di tornare alla vecchia vita della quale si voleva disfare, decide di vivere sull' isola sopravvivendo con gli scarti della società. Su uno dei palazzoni che sorgono sulle rive dell' Han vive Kim, una di quelle persone che in giapponese vengono definite "hikikomori", che vive reclusa nella sua stanza senza avere più contatti con il mondo esterno se non attraverso internet o la lente della sua macchina fotografica. Proprio durante una delle sue "sbirciate" fuori dalla finestra si accorge del curioso "naufrago" e decide di mettersi in contatto con lui. Il regista e sceneggiatore Hae-jun Lee racconta una storia di una ricercata solitudine come cura per una totale inadeguatezza alle fin troppo rigide regole di una società che ti impone di stare al passo o ti mette in un angolo. I due protagonisti sono esuli volontari: lui, dopo aver perso tutto, decide di ripartire da zero, costruirsi una vita nuova liberandosi dai vincoli dell' uomo moderno ma rimanendone comunque tentato, sfidando lo skyline di Seul quasi a voler dimostrare alla città che può farcela nonostante tutto. Lei, oltre ad avere il terrore di farsi vedere, è vittima del "lato oscuro" della tecnologia che se da un lato ci unisce, dall' altro ci isola sempre di più. E Kim preferisce vivere una vita fittizia da dietro un monitor piuttosto che vivere la sua. Ma quando i due entrano in maniera fortuita in contatto quel desiderio di solitudine di entrambi diventa la voglia di colmare quei vuoti facendosi forza l' uno con l' altro. Castaway on the Moon in fondo (e molto ma molto semplicemente) è una storia divertente, a tratti drammatica ma profondamente romantica sulla ricerca di ciò che ci completa, sia esso la soddisfazione di preparasi da se dei tagliolini ai fagioli neri che comunicare con un "alieno" che vive come un selvaggio nell' isola in mezzo al fiume.

NOTE A MARGINE: il film ha stravinto la dodicesima edizione del FEFF e dopo la visione la cosa mi sembra, da un lato comprensibile e dell' altro inaccettabile! Carino si, ma si è visto decisamente di meglio. Troppa grazia signori, troppa grazia...

Wednesday, June 16, 2010

Far East Film Festival 12 - Day 9

QUICK, QUICK, SLOW
Regia di Ye Kai

Girato in digitale con uno stile minimalista che si divide fra fiction e documentario, il film del giovane regista cinese Ye Kai è un omaggio a tutte le persone della generazione che durante la rivoluzione culturale abbandonarono le loro case per trasferirsi nelle regioni periferiche a lavorare nei campi e via dicendo, nell' ottica di fare tutte le esperienze necessarie per una nazione come la nuova Cina. Una generazione che ha fatto la storia ma che ora sembra dimenticata. Mentre sullo schermo scorrono le interviste delle persone che abbandonarono la loro vita per l'ideale “rivoluzionario” conosciamo i personaggi del film, un gruppo di ultra cinquantenni desiderosi di lasciare un' altro segno della loro esistenza partecipando alla cerimonia d'apertura delle Olimpiadi di Pechino del 2008. Forse fin troppo asciutto nella forma con delle derive comico/demenziali un po' fuori luogo ma decisamente pieno per quanto riguarda i contenuti.

OH, MY BUDDHA
Regia di Taguchi Tomorowo

La “coming of age” comedy giapponese ha vissuto periodi migliori e Oh My Buddha non aiuta certo a risollevarne le sorti. Nelle vicende di Jun giovane che sogna la ragazza perfetta perfetta e spera di trovare il “free sex” in un ostello della gioventù in una remota isola giapponese, c'è veramente poco che non si sia già visto e detto in maniera decisamente più convincente. Eppure a dispetto di una sicura bocciatura, c'è da dire che alcuni elementi del film di Taguchi funzionano bene: insomma, l'estate magica che porta cambiamenti, la scoperta della sessualità attraverso le trasparenze nei vestiti femminili, la presa di coscienza della differenza tra amore romantico e fisico, sono tutti cose che riescono sempre a fare presa anche se dette e ridette. Anche il contesto storico scelto, i primi anni '70, danno alla storia una bella atmosfera tra vinili, Bob Dylan, hyppie e voglia di libertà. Si ride anche, ma sono risate già fatte per cose già sentite, cambia la copertina ma il libro è sempre lo stesso e sono limiti che inchiodano la pellicola all' insufficienza.

IP MAN 2
Regia di Wilson Yip

Il secondo grande colpaccio del FEFF è certamente l'anteprima internazionale di Ip Man 2. A due giorni dall' uscita in patria anche il pubblico di Udine ha avuto la fortuna di godersi sullo schermone del Teatro Nuovo le gesta del maestro Wing Chun Ip Man. Le vicende prendono piede dopo la rocambolesca fuga di Ip dal Foshan. Trasferitosi ad Hong Kong decide di aprire una scuola di arti marziali ma tra l'affitto da pagare, l'ostilità delle altre scuole e la rivalità con i colonizzatori britannici, la vita non è facile. Come il precedente film anche in questo non ci troviamo di fronte ad una vera e propria pellicola biografica ma ad una versione romanzata degli eventi che, come nel primo Ip Man, riportava tutto ad una semplificazione estreme delle parti in lotta tra di loro che si traduce in uno scontro, non solo culturale, dove i cinesi sono un popolo unito e solidale, e gli inglesi sono sbruffoni e prepotenti. Ma di questo poco ci importa alla fine, perchè quello che si vuole da questo film è il puro spettacolo che giustamente ci si aspetta. “Squadra che vince non si cambia” ed anche in questo caso è più che corretto: Wilson Yip alla regia e Sammo Hung alle coreografie garantiscono quell' esaltazione che nasce spontanea dai combattimenti, sempre attentamente coreografati che, da duelli uno contro uno, vedono il nostro Ip fronteggiare decine di uomini armati. Il carisma e l'agilità di Donny Yen e di Sammo Hung, che qui si ritaglia una parte tutta per lui, fanno il resto. Un film godibilissimo per gli appassionati ed anche per gli altri a patto che si sia disposti ad accettare i limiti poco sopra elencati.

Tuesday, June 15, 2010

"The battle of the sexes just got bloody"

Un gruppo di amici decide di passare un weekend fuori città per dare supporto morale ad uno di loro fresco fresco di divorzio. Il programma è semplice: "no girls allowed" e tutti a bordo di un pulmino noleggiato in direzione di un piccolo paese immerso nella campagna inglese. Ma il loro programma subisce un' improvvisa variazione quando, giunti nella piccola cittadina, scoprono che tutte le donne si sono trasformate in feroci assassine con istinti cannibali e gli uomini sono il loro pasto preferito. Doghouse di Jake West è facilmente inseribile nel filone britannico delle commedie horror, sicuramente più vicino a Shawn of the Dead che a Lesbian Vampire Killers. Pur non raggiungendo le vette del film di Edgar Wright, Doghouse è indubbiamente uno zombie-movie con tutti le carte in regola, partendo dalla natura sperimentale dell' infezione fino splatter più gustoso tutto amputazioni, sangue a fiumi e interiora varie. Niente di nuovo fondamentalmente, il che non è un bene per un film che si va ad inserire in un sotto-genere già ricco (per non dire saturo) dove è necessario giocarsi le carte migliori per emergere dalla massa. Ma Doghouse riesce comunque a fare la sua parte indipendentemente dagli aspetti più truculenti che tanto piacciono in questo pellicole, ma soprattutto riesce a divertire. E tutto parte dall' impostazione stessa del film, i maschi contrapposti alle donne. Una battaglia tra i sessi portata al suo estremo dove le donne sono (letteralmente) delle mangia-uomini che vogliono prendersi la loro rivincita sul sesso opposto profondamente maschilista. Su questo aspetto sviluppa tutta la sua comicità, una misoginia impenitente che non lascia spazi per prese di coscienza ma anzi compatta il gruppo di protagonisti anche quando si trovano faccia a faccia con la morte. Il risultato potrà non piacere a tutti ma è profondamente ironico e tanto, tanto divertente.

Monday, June 14, 2010

THIRST - FIRST PRESS LIMITED EDITION - (R3 - COREA)

Credo di averlo scritto un po' ovunque ma è bene ribadirlo: Thirst di Park Chan-wook è uno dei migliori film usciti nel 2009 il che comprensibilmente spiega il perchè da noi ancora non si veda ancora (si vedrà? Bo!). Curiosamente il DVD è uscito prima in America (forse per via della co-produzione con Focus Features), poi in Corea e poi un po' ovunque (Inghilterra, Hong Kong ma niente Italia). Ora, è chiaro che le edizioni europee sono le più comode per via del codice regionale ma il vero collezionista, l' appassionato, il fanatico feticista (chiamatelo un po' come vi pare) punta direttamente all' edizione coreana, possibilmente la prima stampa, quella limitata. Nel caso di Thirst, il DVD si presenta in un elegante cofanetto digipack al cui interno sono alloggiati tre dischi. Ce ne uno tutto dedicato agli extra, sfortunatamente non sottotitolati (tenete presente che le altre edizioni non ne hanno mezzo di contenuto accessorio) me è soprattutto per gli altri due che vale la pena imbarcarsi nell' acquisto e nella spesa (su Yesasia è ancora disponibile e viene poco meno di 30 Euro): se nel primo disco troviamo la versione cinematografica del film con tanto di commento audio opzionabile, il secondo è dedicato alle versione "extended" del film (anche questa con commento) una vera chicca per cinefili. Naturalmente il resto del comparto tecnico è a regola d'arte a partire dal video presentato nel corretto formato anamorfico, che l' audio al quale è possibile abbinare dei comodi sottotitoli in inglese.

Caratteristiche Generali e Tecniche
Produttore: CJ Entertainment
Distributore: CJ Entertainment
Video: 2.35:1 anamorfico (Theatrical and Extended)
Audio: Coreano Dolby Digital 5.1 (Theatrical and Extended)
Sottotitoli: Coreano e Inglese (Theatrical and Extended)
Extra: Disco1 - Commento del cast artistico e tecnico; Disco2 - Commento del cast artistico e tecnico; Disco3 - Making of, Featurette sulle scenografie, Featurette sulle musiche, Teaser poster making of, Trailers, Galleria fotografica, Bloopers (easter egg)
Regione: 3 Corea
Confezione: cofanetto

Contenuto Cofanetto:
1 DVD film Theatrical Cut
1 DVD film Extended Cut
1 DVD extra
3 cartoline






Sunday, June 13, 2010

Lyric of the Week + Video / STEREOPHONICS - LOCAL BOY IN A PHOTOGRAPH

Questa settimana era l'unica scelta possibile...


There's no mistake, I smell that smell
It's that time of year again, I can taste the air
The clocks go back, railway track
Something blocks the line again
And the train runs late for the first time

A pebble beach, we're underneath, a pier that's just been painted red
Where I heard the news for the first time

And all the friends lay down the flowers
Sit on the banks and drink for hours
Talk of the way they saw him last
Local boy in the photograph
Today

He'll always be 23, yet the train runs on and on
Past the place they found his clothing

There's no mistake, I smell that smell
It's that time of year again, I can taste the air
The clocks go back, railway track
Something blocks the line again
And the train runs late for the first time
Today

And all the friends lay down the flowers
Sit on the banks and drink for hours
Talk of the way they saw him last
Local boy in the photograph
Today

He's gone away

Thursday, June 10, 2010

La radice dell' equazione di Cao Baoping

Amore e morte stanno su due espressioni opposte nell' equazione di Cao Baoping, entrambi contenenti una variabile identificabile nell' individuo, nelle sue scelte o nelle semplici coincidenze volute dal destino. Li Mi fa la taxista e da quattro anni aspetta il ritorno del suo fidanzato, Fang Wen del quale ha solo lettere che lui continua a spedirgli, mostrando la sua foto a tutti i clienti che carica a bordo. Lui ora si fa chiamare Ma Bing e probabilmente frequenta un' altra donna. Le loro vite si incrociano nuovamente a causa di una sprovveduta coppia di criminali. In netto contrasto con l' "intellettuale" titolo internazionale (The Equation of Love and Death) e con una narrazione che fa della frammentazione il suo punto di forza, il secondo film del talentuoso regista cinese Cao Baoping è in fondo piuttosto semplice. Letteralmente il titolo originale significa "le supposizioni di Li Mi" ed è quello che la protagonista fa sin dalle prime sequenze, trovare una spiegazione razionale o matematica che dia un senso al fatto che la persona che ama continui a promettergli di tornare da lei ma non lo faccia mai rendendosi totalmente irrintracciabile. Le sue vicende si mischiano, per una serie di giochi del destino, a quelle di altri individui e l'intrecciarsi delle loro storie da al film un ritmo che è quasi un andare controcorrente rispetto ai tempi dilatatissimi del cinema cinese. In questo, Baoping, che scrive anche la sceneggiatura, si dimostra sicuramente bravo anche se i meccanismi del racconto (dall'equivoco iniziale fino alle "coincidenze") appaiono alla fine abbastanza scontati: insomma scrollandosi di dosso questi "orpelli", il centro del film ruoto intorno alle "conseguenze dell' amore" e il suo cuore, ma soprattutto il suo peso, è un carico che si porta dietro la bella Xun Zhou con una interpretazione intesa e sofferta che sarà difficile dimenticare. Il nuovo cinema cinese insomma, fa ben sperare per l'immediato futuro soprattutto se potrà contare su di un regista talentuoso come Baoping.

Wednesday, June 09, 2010

"Who the hell is interrupting my kung fu?"

Un riverbero della blaxploitation dagli anni '70 arriva fino ad oggi grazie al regista Scott Sanders. Black Dynamite è il titolo del film. Black Dymanite è anche il nome del personaggio protagonista, orgogliosamente afroamericano, ex agente della CIA, donnaiolo dal grilletto facile e dalle letali tecniche di Kung Fu. La sua reputazione è talmente nota che quando la polizia rinviene il cadavere del fratello la prima preoccupazione è la violenza che una sua vendetta potrebbe portare nelle strade. E' bene chiarire che non è nelle intenzioni di Sanders rinverdire i fasti del genere ma omaggiarlo attraverso i meccanismi della parodia, prendendo tutti gli elementi del cinema black anni '70, miscelalandoli assieme e estremizzandoli fino a renderli volutamente ridicoli. La ricostruzione dell 'immaginario di quel decennio comincia dai costumi, passando per le acconciature, le scenografie, fino ad approdare alla colonna sonora (nuova di zecca ma volutamente vintage) e alla fotografia. Rifacendosi soprattutto alla blaxploitation della West Coast, Black Dynamite, scritto tra gli altri dallo stesso attore protagonista Michael Jai White, porta sullo schermo le tematiche del quartiere da proteggere, la lealtà tra "fratelli", prostitute, papponi e spacciatori, tutto naturalmente ritratto ricercando con dovizia di particolari lo stereotipo più sfacciato e i luoghi comuni più blasonati (non ultimo le "dimensioni intime" degli afroamericani). Ma nel calderone ci finiscono anche lotte sociali, arti marziali, scienziati cinesi, fino ad arrivare al complotto politico che vede un noto ex-presidente muovere tutte le file nell' ombra. E per quanto possa apparire folle questo minestrone funziona e se si decide di stare al gioco, ci si diverte pure.

Tuesday, June 08, 2010

Far East Film Festival 12 - Day 8

HEAR ME
Regia di Cheng Fen-Fen

Dopo il convincente gangster movie Monga, il secondo ed ultimo film taiwanaese inserito nel programma del FEFF è una commedia romantica che racconta la storia d'amore tra un giovane ragazzo delle consegne e una ragazza sordomuta. Il tutto farebbe pensare a “A Scene to the Sea” di Kitano ma il film della regista taiwanese Cheng Fen-Fen ha degli intenti ed un' approccio all materia molto più "easy". Che poi, a parte dire che lui è il classico romanticone generoso e pronto a tutto che poi rimane scottato, e lei è troppo presa dalle responsabilità per pensare di coronare qulasivoglia sogno d'amore, poco altro si può aggiungere sul film per evitare di rovinare il simpatico ma prevedibile equivoco su cui si basa tutta la vicenda. Il resto è abbastanza risaputo, il film si muove su percorsi sicuri e già abbondantemente battuti da altri film di questo genere che tra lacrime, risate e colonna sonora molto orecchiabile e furbetta, ha tutte le carte in regola per il classico successo commerciale. Dall' altra parte però, i lunghi dialoghi portati avanti unicamente con il linguaggio dei segni, appare una scelta coraggiosa, controcorrente ma assolutamente apprezzabile e coerente.

IDENTITY
Regia di Aria Kusumadewa

Escludendo le cinematografie asiatiche più importanti, quella indonesiana si sta dimostrando certamente una delle più coraggiose e sperimentali. Certo, sicuramente acerba ed imperfetta ma le potenzialità ci sono ed il film Identity, incentrato su di un uomo solitario che lavora nella morgue di un ospedale e che come hobby colleziona le targhette con i nomi dei cadaveri, ne è una dimostrazione. Pervaso di un umorismo quasi grottesco, il film di Aria Kusumadewa è soprattutto una critica politica e sociale, uno sguardo inquietante ai gradini più bassi della società, riassunto in un brillante e lungo pianosequenza in cui assistiamo agli orrori di cui sono testimoni e vittime i pazienti dell' ospedale dove il protagonista, Adam, lavora. La sua particolare collezione è quasi una missione per salvaguardare ciò che i più poveri o i più sfortunati rischiano di perdere dopo la morte, la propria identità: senza un nome non sono altro che carne da macello. In tutto questo, il voler proteggere a tutti i costi il corpo della bella e giovanissima prostituta da lui ribatezzata Eva, assume un significato ancora più profondo e toccante. Che si questa la vera sorpresa del FEFF?

BODYGUARDS AND ASSASSINS
Regia di Teddy Chen

Nei primi del '900 i sostenitori della dinastia Quing cercano di assassinare l'esiliato Sun Yan-set intenzionato a muovere una rivoluzione destinata ad unificare tutta la Cina. Un gruppo rivoluzionario si adopera allora per fare qualsiasi cosa pur di proteggerlo. Bodyguards and Assassins è una mega produzione divisa tra Cina e Hong Kong alla quale il regista Teddy Chen lavora da quasi dieci anni per poterla portare sul grande schermo. Un lavoro di proporzioni colossali per quello che che sembra a tutti gli effetti un kolossal fin dalle prima immagini dove è possibile ammirare la cura riposta nelle scenografie per ricostruire in studio Hong Kong. Bodygurads and Assassins è un film storico, narra di aventi realmente accaduti, di persone realmente esistite ma naturalmente il tutto filtrato attraverso l'ottica del più classico film action di arti marziali. Il film di Teddy Chen ha infatti due anime che in fase di sceneggiatura si è deciso di tenere ben distinte e saparate. La prima parte è sicuramente quella narrativa, destinata ad inquadrare storicamente gli avvenimenti che ci vengono mostrati e la preparazione all' arrivo di Sun ad Hong Kong. Quasi un conto alla rovescia per la seconda parte, un vero spettacolo, una non stop d'azione e combattimenti (e qui si parla di un' ora buona) che vedono coinvolti volti noti del numeroso cast tra i quali spicca sicuramente la super star Donny Yen. Uno spettacolo (ma non solo) dai tempi dettati con maestria.

BOYS ON THE RUN
Regia di Miura Daisuke

Tanishi coltiva come tanti il classico ideale della relazione sentimentale romantica ma i suoi sogni sono frustrati dalla sua passione incontrollabile per pornografia e derivati. Anche con Chiharu, la collega con la quale sembra posa nascere qualcosa, il rapporto è minato dal suo essere erotomane compulsivo. Quello che troviamo in Boys on the Run è un ritratto piuttosto fedele di uno dei molteplici aspetti della società giapponese questa volta incarnato nel personaggio di Tanishi, perdente, onanista le cui prospettive per il futuro non vanno oltre il vivere giorno per giorno. Una visione cinica e misogina che non lascia spiragli ad un ribaltone, a quella rivoluzione alla quale il protagonista aspira ma che non andrà oltre un tentativo (alla Taxi Driver scorsesiano) miseramente fallito. Una commedia che all' inizio diverte in maniera piuttosto elementare fino a sostituire le risate con un retrogusto amaro perchè in fondo Tanishi sarà anche un "loser" ma non si può fare a meno di simpatizzare con lui.

Monday, June 07, 2010

Il "momento della verità" per la collaborazione Giappo-Russa

E' quanto mai curioso vedere Russia e Giappone, non direttamente avversari ma comunque su due fronti opposti durante la Seconda Guerra Mondiale, trovarsi coinvolte assieme in un progetto cinematografico incentrato sulla campagna tedesca in terra sovietica durante il conflitto, momento che segnò l'inizio del declino dello strapotere nazista sul fronte orientale. First Squad: The Moment of Truth nasce dall' unione dello studio giapponese Studio 4°C e quello russo, la Molot Entertainment, un film d'animazione che vede alle regia Yoshiharu Ashino e alla sceneggiatura la coppia Aljosha Klimov e Misha Sprits. La storia è incentrata sullo scontro tra le divisioni occulte dell' esercito tedesco e russo le cui sorti potrebbero decidere l' esito della guerra. La prima è intenzionata a riportare in vita un gruppo di cavalieri non morti, mentre la seconda, la 6^ Divisione, si oppone con una giovane telepate/veggente di nome Nadja, i cui poteri possono riportare nel nostro mondo i membri deceduti della First Squad di cui anche lei faceva parte. In poco più di un' ora di durata quel che viene narrato nel film è essenziale sia in termini di background storico che per quel che riguarda i personaggi, ritratti con dei flashback abbastanza concisi anche se introdotti da un' interessante sequenza dove la protagonista, sospesa tra la vita e la morte, osserva i suoi ricordi in una deserta sala cinematografica come se si trattasse di una retrospettiva. Questa linea essenziale sembra una scelta dettata più dall' intenzione di non lasciare First Squad: Moment of Truth come un caso isolato (e il finale aperto lascia intendere che potrebbe esserci un seguito) che da delle vere e proprie mancanze in fase di scrittura. Quel che rende il film di Yoshiharu veramente interessante è la natura stessa di questo progetto, basata su continue contaminazioni: ci sono due scuole cinematografiche diverse, russa e giapponese. C'è un fondere assieme nella storia elementi fantastici con una cura per il dettaglio "reale" della guerra (ambientazioni, divise, armamenti ecc.). Ma c'è soprattutto una contaminazione di generi davvero stimolante, l'animazione che si fonde con il mockumentary: la narrazione "animate" è infatti intervallata da interviste (naturalmente fittizie) fatte nei giorni nostri a storici e veterani che raccontano memorie di guerra spesso legate agli avvenimenti della storia principale. Siamo sicuramente lontani dalle grandi produzioni animate nipponiche, ma First Squad possiede delle caratteristiche (o meglio qualità) che meritano sicuramente la giusta attenzione.