Sunday, May 31, 2009

Lyric of the Week + Video / RADIOHEAD - STREET SPIRIT (FADE OUT)


Rows of houses, all bearing down on me
I can feel their blue hands touching me
All these things into position
All these things we'll one day swallow whole
And fade out again and fade out

This machine will, will not communicate
These thoughts and the strain I am under
Be a world child, form a circle
Before we all go under
And fade out again and fade out again

Cracked eggs, dead birds
Scream as they fight for life
I can feel death, can see its beady eyes
All these things into position
All these things we'll one day swallow whole
And fade out again and fade out again

Immerse your soul in love
Immerse your soul in love

Friday, May 29, 2009

"Tu sei Atom, giusto?"

Prima ci ha mostrato il vero volto di un mostro.
Poi come un gioco inventato da dei bambini conduce alla fine del mondo.
Adesso il grandissimo mangaka Naoki Urasawa prende quella che è forse l' opera più famosa del maestro Osamu Tezuka, Tetsuwan Atom (Astro Boy), e la riscrive dal punto di vista di un personaggio secondario, il detective Gesicht, impegnato nella caccia all' assassino che ha preso di mira i sei robot più potenti del pianeta.
Al momento in cui scrivo è uscito qui in Italia solo il primo volume ma è gia difficile non gridare al capolavoro.
L'ultima tavola poi (per quel che mi riguarda almeno) è da groppo alla gola.

Thursday, May 28, 2009

Far East Film Festival 11 - Day 8

THE STORY OF A CLOSESTOOL
Regia di Xu Buming

Oltre ai grandi nomi, la selezione cinese del festival conta autori minori come Xu Buming, che porta a Udine il suo film incentrato su di un gabinetto, o meglio, su di una ragazza che costruisce un gabinetto in casa sua. Così sulla carta non sembra poi questa gran cosa ma volete mettere la comodità e l'igiene della cara classica tazza di ceramica soprattutto se paragonata ai vasi da notte da svuotare e pulire ogni santo giorno? Siamo nella Cina ultra tradizionalista degli anni '80 e l'introduzione del moderno gabinetto con scarico a vasi comunicanti al posto dei classici pitali, è simbolico della voglia e della necessità (sia della protagonista che della Cina tutta) di liberarsi dai vincoli sociali. Una pellicola che si presenta con premesse così originali fa ben sperare e fin da subito appare molto piacevole. Poi, come spesso accade con i film cinesi, la narrazione procede a singhiozzo fino a sedersi del tutto portando i tempi a dilatarsi in maniera impressionante: il film avrebbe anche potuto convincere pienamente se i suoi 90 minuti di durata non sembrassero tre ore.

LOVE EXPOSURE
Regia di Sono Sion

Quelle che seguono sono le prime confuse impressioni su quello che è a conti fatti potrebbe essere considerato, senza necessità di sbilanciarsi troppo, il film più bello del festival. Giudizio del tutto soggettivo il mio ma è oggettivo invece che questo è sicuramente il film più coraggioso visto al FEFF. E considerata la selezione giapponese di quest' anno, il coraggio non è cosa da poco: tra le pellicole visionate infatti, nessuno ha raggiunto e superato i limiti come Sono Sion. Innanzi tutto questo è stato il film più lungo dell' intero festival (4 ore) risultando miracolosamente mai pesante: questo perché Love Exposure presenta una varietà incredibile di situazioni e tematiche, anche scomode, ma che un' autore come Sion non si fa problemi ad affrontare e ad esempio basterebbe citare al suo Suicide Club. E qui si parla di religione, l' ipocrisia che si nasconde spesso dietro la fede, le sette religiose (vera piaga nella Terra del Sol Levante). Il tutto unito da una storia d'amore, guardoni, combattimenti, umorismo e tanto splatter (la migliore evirazione vista in un film, alla faccia di Eli Roth). Un film che fortunatamente si eleva dal piattume dei titoli giapponesi, e non solo, visti quest' anno (se si escludono Drop e in parte Departures).

IP MAN
Regia di Wilson Yip

Terzo ed ultimo film della selezione del FEFF che avevo già visto prima della trasferta in quel di Udine (le mie impressioni a proposito le potete leggere qui) e terzo ed ultimo film per il quale e davvero valsa la pena mettersi in fila per entrare in sala. La regia di Wilson Yip, le coreografie si Summo Hung, l' agilita di Donnie Yen unite al calore del pubblico del Far East, creano un alchimia così perfetta da rendere veramente speciale la visione festivaliera del film. Praticamente invariate le mie impressioni su questo film dove i combattimenti spettacolari si sposano con una bella ricostruzione storica, sia a livello scenografico che di contesto. Considerata la nazionalità del film, la rigidità con la quale si rappresentano in maniera parziale cinesi e giapponesi, ci può anche stare senza che questa pregiudichi in alcun modo la visione. Questo perché in un film dove è il kung fu a farla da padrone, sono solo i calci e i pugni che fanno la differenza. Sicuramente il migliore (proprio perché più "completo") tra i film di arti marziali presentati in questo FEFF.

FIREBALL
Regia di Thanakorn Pongsuwan

Omadonnamiasantissima!!! “Muay Thai Basketball” recita la breve sinossi del programma del FEFF e questo basta ad accendere l'interesse per questo film. Cosa si può chiedere di più se non calci, pugni e gomitate unite alla pallacanestro? E questa pericolosa e dolorosissima versione del gioco è il cuore della quarta ed ultima pellicola dedicata al focus sui Thai Action Movies che si rivela essere, senza mezzi termini, una grandissima cagata e pure fatta male. Non è certo la banalità della storia a far precipitare Fireball nel baratro dell' inutilità cinematografica (la storia non è mai stata importante o rilevante in questo genere di film) quanto una regia deturpante che distrugge l'unico motivo d'interesse del film, i combattimenti, facendo una bella iniezione letale ad una pellicola già agonizzante. La macchina da presa traballante rende veramente difficile capire la dinamica degli scontri per non parlare poi di come questi vengono tagliati fuori dall' inquadratura in diverse occasioni. Somtum in confronto è per davvero un capolavoro.

Wednesday, May 27, 2009

"Una donna che piange è una donna che trama"

Lars Von Trier se ne fotte, questo è un dato di fatto. Che i suoi film piacciano o meno, per lui non fa differenza quindi, se decide di sbatterti in faccia il cazzo di Willem Dafoe dopo neanche un minuto all' inizio del film, o stai al gioco o è meglio che lasci perdere perché questo è solo il principio. Quando impari a conoscerlo sai che da lui puoi aspettarti di tutto ed il contrario di tutto. Sai che detta le regole solo per il gusto di essere il primo ad infrangerle. Gode a colpire duro allo stomaco e sotto la cintura, a farsi ricoprire di risate di scherno e di insulti.
Non contento di ciò, afferma candidamente di essere il miglior regista vivente e vista la maniera in cui plasma a suo piacimento la materia cinematografica, potrebbe non essere affatto strano se dentro quella contorta testolina crede pure di essere Dio. Così, nel suo personalissimo Creato, trova posto anche un "Eden", una versione distorta del Paradiso Terrestre, localizzato in un bosco dalla rigogliosa e fitta vegetazione all' interno del quale c'è una piccola baita in legno dove una coppia si rifugia per guarire dal gravissimo lutto che li ha colpiti, la morte del loro figlioletto precipitato dalla finestra mentre loro ci davano dentro come conigli lasciandolo incustodito. Lui, terapeuta, cerca di aiutare lei a superare il lutto, scoprendo che la fonte delle paure che la tengono in qualche modo imprigionata nel dolore, risiede nei boschi che circondano Eden.
Von Trier, abile manipolatore, prende la materia horror e la trasforma sotto gli occhi degli spettatori con cambi repentini di registro, andando da atmosfere sospese come in un sogno (sottolineate da una musica straniante che ricorda tanto Lynch) fino ad arrivare al più crudo e spietato dei torture porn. Si diverte poi a giocare con le simbologie (i Tre Mendicanti rappresentati anche dal cerbiatto, dalla volpe e dal corvo, ma anche la tana della volpe e i piedi deformi del bambino) e a indicare un facile percorso che passa per richiami al satanismo.
Ma la portata principale del regista danese è anche una delle sue ossessioni, quella rivolta all'universo femminile che qui arriva ad identificare addirittura come l'anticristo partendo da riferimenti biblici (lei -Eva- cede alle lusinghe del demonio - la natura come "chiesa di Satana- e l'uomo - Adamo- ne diventa complice/succube cedendo alle tentazioni sessuali), passando per l'immaginario che vedeva il gentil sesso emissario del maligno (l'inquisizione e la caccia alle streghe), e giungendo ad identificare il male come parte integrante della natura umana in generale, della donna nello specifico.
Il ruolo dell' uomo in questo Eden-Zona (la dedica finale a Tarkovski non sembra essere messa li a caso) è quello di una figura razionale/passiva in contrapposizione alle credenze/superstizioni della compagna, che comunque finisce per assimilare lui stesso piuttosto che accettare la realtà dei fatti e la sua parte di responsabilità. Rispetto a quanto visto nei film precedenti di Von Trier, la protagonista (la sempre brava Charlotte Gainsbourg) non subisce passivamente la violenza ma la infligge, si accanisce contro la sessualità maschile per poi diventare carnefice di se stessa privandosi "fisicamente" di quel piacere (la famosa e disturbante mutilazione genitale che tanto scalpore ha generato) che è costato la vita del figlio.
Paradossalmente il "percorso" dei due protagonisti, segnato e scandito anche dai capitoli del film in Dolore, Ansia e Disperazione, è lo stesso a cui sono sottoposti gli spettatori, pesantemente e a più riprese provocati come solo il buon Lars sa fare. Il sesso e la violenza mostrate (in maniera che definire "esplicita" potrebbe anche essere riduttivo) sono talmente esasperate e portate all' estremo da risultare anche ridicole se le si considera fini a se stesse o avulse dal quadro generale. E se a qualcuno scapperà una risata sappia che il "Grande Capo" è sempre quello che ride per ultimo.

Tuesday, May 26, 2009

Far East Film Festival 11 - Day 7

TACTICAL UNIT : COMRADES IN ARMS
Regia di Law Wing-cheong

Torna la Police Tactical Unit honkonghese, nata nel celebre film PTU di Johnnie To, con il quarto film a loro dedicato, il primo ad approdare direttamente nelle sale (i precedenti e l' imminente seguito sono prodotti per la televisione). Dopo The Code, portato lo scorso anno al FEFF, si arriva a Comrades in Arms con un bel salto temporale che però non pregiudica il godimento della visione, nonostante la situazione per molti personaggi sia diversa da come l'avevamo lasciata. Questa volta, dalla giungla urbana ci si sposta in mezzo ai boschi dove un gruppo di rapinatori si sta nascondendo. Due squadre di PTU divisi da profonde rivalità, dovranno imparare a lavorare assieme e a collaborare in quella che diventerà presto una lotta per la sopravvivenza. PTU è ancora lontano e irraggiungibile ma i passi avanti rispetto a The Code si vedono eccome, così come si vede emergere la natura cinematografica di questo Comrades in Arms, molto più "film" rispetto al precedente. Un diversivo divertente (merito anche del grande Lam Suet) e mai noioso nonostante sia intaccato da qualche sporadica ingenuità.

CRUSH AND BLUSH
Regia di Lee Kyoung-mi

Me-sook è una professoressa di scuola media, bruttina, impacciata e con la tendenza a diventare paonazza in volto. La sua vita è una lotta continua per emergere dall' indifferenza nella quale il resto della società l'ha relegata e per strappare dalle grinfie della sua rivale di sempre l'uomo che ama, un professore della sua stessa scuola, anche se questo significa diventare amica con la figlia di lui ed impedirne il divorzio dalla moglie. Il secondo esordio coreano, prodotto questa volta da Park Chan-wook, è una storia da “rivincita dei perdenti” nel quale i brutti si prendono con forza quello che gli è dovuto dopo una vita passata alle spalle dei belli. Una commedia sugli “outcast” piena di isterismi e paranoie (la comicità è sviluppata soprattutto su questi due aspetti) molto semplice a tratti divertente ma, proprio per questi aspetti appena elencati, potrebbe anche risultare molto irritante e inconsistente. Mi sembra giusto però dare merito all' attrice Gong Hyo-jin per la sua interpretazione di Me-sook, personaggio riuscitissimo secondo me e forse la cosa migliore di questo film.

FICTION.
Regia di Mouly Surya

Tra la selezione di film indonesiani di quest' anno, spicca questo Fiction, film “elegantissimo” stando a sentire il modo in cui è stato presentato. E' nessuno toglie all' opera di Mouly Surya la sua eleganza, perché il film vanta sicuramente una confezione precisa e curata. Ma come spesso accade, ad una bella scatola non corrisponde per forza un bel contenuto ed infatti ben poco sembra di particolare interesse in questa storia che vede protagonista una ragazza proveniente da una famiglia ricca che non conosce il mondo se non quello in cui il padre la tiene a suo modo “rinchiusa”. Scappata di casa per seguire un ragazzo del quale si è invaghita, il suo approccio con la vita vera, non solo la sua ma anche quella degli altri, sarà molto particolare (qualcuno ha detto psicotico?). Comprensibile l' enfasi nel portare all' attenzione del pubblico festivaliero prodotti di una cinematografia in piena espansione, non altrettanto comprensibile invece il mettere sotto i riflettori prodotti come questo Fiction, psico-thriller di scarso interesse che spesso ricorda un' Attrazione Fatale in salsa asiatica, ma che rimane oltremodo pesante e insopportabile.

THE GOOD THE BAD THE WEIRD
Regia di Kim Jee-woon

Altro film che ho già avuto modo di vedere tempo fa (e ne ho anche già scritto qui) ma che meritava una seconda visione festivaliera (tra l'altro alla presenza dello stesso Kim Jee-woon e Dante Spinotti). Questo bockbusterone western omaggio all' opera eterna del maestro Sergio Leone, continua a mostrare pregi e difetti della prima visione: una sceneggiatura traballante che si fa dalla seconda metà in poi inconsistente fino a perdersi del tutto. E sembra a suo modo superflua visto che il film, non tradendo la sua natura commerciale, punta tutto sulla spettacolarità e sulla messa in scena delle grandissime scene d'azione orchestrate dal regista coreano per il quale non posso proprio astenermi dal tesserne le lodi . Devo ammettere che vista sullo schermo del Teatro Nuovo, la sequenza dell' inseguimento nel deserto, lascia veramente a bocca aperta. Secondo me un film che riesce anche ad esaltare, a patto che si riesca a chiudere un' occhio sui difetti citati in precedenza.

Monday, May 25, 2009

Get ready for a killer ride!!!

Tra qualche anno la situazione economica americana potrebbe portare ad un vertiginoso aumento della disoccupazione e della criminalità con un conseguente collasso del sistema carcerario. Società private inizieranno a gestire gli istituti detentivi cercando un facile guadagno a discapito delle vite dei detenuti costretti a partecipare a Reality show dove in ballo c'è la libertà o la morte. Quello organizzato nel penitenziario di Terminal Island, ne è l'esempio più famoso: programma con indici da ascolto vertiginosi, Death Race è incentrato su di una corsa automobilistica dove i detenuti si sfidano fino alla morte per ottenere cinque vittorie e di conseguenza la libertà. L' ex pilota Jensen Ames, accusato ingiustamente per l'omicidio della moglie, viene trasferito a Terminal Island e "ingaggiato" dalla direttrice del penitenziario per partecipare alle gare impersonando Frankenstein, pilota leggendario molto amato dal pubblico recentemente deceduto all' insaputa di tutti. Paul W.S. Anderson, nella sua carriera di scrittore, produttore regista, ha sempre avuto una particolare predilezione per gli adattamenti cinematografici di importanti videogiochi. Un legame tanto forte che, anche quando il materiale su cui lavoro è preso da un film degli anni '70 (tra i cui protagonisti spunta anche Silvester Stallone), il buon Paul non resiste a trasformare il film in un gigantesco giocattolone tutto corse, incidenti, esplosioni, un po' di splatter, tipi truzzi che guidano auto ancora più truzze (e armate come un esercito) e qualche bella e indispensabile gnoccolona. Ma sono soprattutto le gare, spina dorsale del film, a seguire quelle dinamiche tipiche da videogames: basti pensare ai piloti che devono passare sopra degli specifici spot per attivare armi e difese delle vetture. In Death Race non c'è molto altro, anzi, non c'è proprio nient'altro: le vicende drammatiche del protagonista, la sua vendetta sono solo piccole appendici, così come i personaggi ridotti a delle macchiette. In fondo provare ad approfondire maggiormente questi due aspetti sarebbe apparso anche ridicolo, ma dispiace vedere Jason Statham, apprezzatissimo dal sottoscritto negli action Transporter e Crank (di cui si aspetta, rispettivamente, il terzo e il secondo capitolo) e unico motivo che mi ha avvicinato al film, sacrificato in un ruolo abbastanza piatto. Trascurabile quasi nel suo complesso, risulta difficile consigliarne la visione. Magari se facendo zapping lo beccate in seconda e terza serata potete anche dedicargli un po' di tempo a patto che mettiate in stand-by il cervello e vi prepariate a dimenticarlo appena comparsi i titoli di coda

Sunday, May 24, 2009

Lyric of the Week + Video / THE LONELY ISLAND - LIKE A BOSS (FEAT. SETH ROGEN)

**CHOP MY BALLS OFF!!! ^__^**


Mr. Samberg, Thanks for coming to your performance review
No problem
So you're in charge around here, is that fair to say?
Absolutely, I'm the boss
Okay, so take us through a day in the life of the boss
Well the first thing I do is...

Talk to to corporate (like a boss)
Approve memos (like a boss)
Lead a workshop (like a boss)
Remember birthdays (like a boss)
Direct workflow (like a boss)
My own bathroom (like a boss)
Micromanage (like a boss)
Promote Synergy (like a boss)
Hit on Debra (like a boss)
Get rejected (like a boss)
Swallow sadness (like a boss)
Send some faxes (like a boss)
Call a sex line (like a boss)
Cry deeply (like a boss)
Demand a refund (like a boss)
Eat a bagel (like a boss)
Harrassment lawsuit (like a boss)
No promotion (like a boss)
Fifth of vodka (like a boss)
Shit on Debra's desk (like a boss)
Buy a gun (like a boss)
In my mouth (like a boss)

Oh fuck man I can't fucking do it... shit!

Pussy out (like a boss)
Puke on Debra's desk (like a boss)
Jump out the window (like a boss)
Suck a dude's dick (like a boss)
Score some coke (like a boss)
Crash my car (like a boss)
Suck my own dick (like a boss)
Eat some chicken strips (like a boss)
Chop my balls off (like a boss)
Black out in the sewer (like a boss)
Meet a giant fish (like a boss)
Fuck its brains out (like a boss)
Turn into a jet (like a boss)
Bomb the Russians (like a boss)
Crash into the sun (like a boss)
Now I'm dead (like a boss)

Uh huh. So that's an average day for you then?
No doubt
You chop your balls off and die?
Hell yeah
And I think at one point there you said something about sucking your own dick
Nope!
Actually I'm pretty sure you did
Nah, that ain't me
Okay, well this has been eye opening for me
I'm the boss
Yeah, no I got that. You said it about four-hundred times
I'm the boss
Yeah yeah I got it!
I'm the boss
No I heard you, see ya later
LIKE A BOSS!

Friday, May 22, 2009

LIFE - SEASON 02 -

TITOLO ORIGINALE: LIFE
TITOLO ITALIANO: LIFE
NUMERO EPISODI: 21

-TRAMA-
Scoperto e fatto arrestare il vero colpevole degli omicidi che lo fecero incarcerare per dodici lunghi anni, Charlie Crews è ancora alla caccia delle persone che l'hanno voluto incastrare, alternando le sue indagini personali con quelle da detective della polizia di Los Angeles.

-COMMENTO-
Ecco, ipotizziamo una classifica dei migliori personaggi di serie tv. Lasciamo da parte le serie "corali", come Lost ad esempio, e concentriamoci su quelle dove c'è un protagonista ben definito. I primi due posti, Jack Bauer e Dexter Morgan, sono decisamente inattaccabili ma nella terza posizione non faticherei a piazzarci Charlie Crews, in barba anche ad Hank Moody. Il detective "zen" mi ha conquistato, non fatico ad ammetterlo, con la sua passione per la frutta, con quella calma apparente che cela una profonda risolutezza, con quel suo essere fuori dal tempo (anche se sta recuperando il gap pian pianino), ma gran parte del merito, diciamolo, va soprattutto a Damian Lewis, l'attore che lo interpreta.
Il successo di una serie non grava però solo sul main character e se Life, dopo i primi undici episodi si conferma, con la seconda stagione, un' ottimo prodotto, il merito va anche ai personaggi comprimari, a delle storie sempre originali e perfettamente scritte e, perché no, anche una colonna sonora molto curata. Così, senza sciopero degli sceneggiatori di mezzo, la nuova stagione di Life arriva a ventuno episodi mantenendo un ritmo ed una freschezza encomiabili: anche se la sottotrama che unisce tutti gli episodi è sempre molto interessante, sono le singole storie autoconclusive (e se ne potrebbero citare veramente tantissime) il fiore all' occhiello della serie creata da Rand Ravich.
Ma la cosa che fa piacere è vedere una serie tutto sommato "minore", mostrare come si può ottenere quella continuità qualitativa fondamentale per un prodotto seriale, obiettivo che serie ben più grosse e ambiziose hanno fallito miseramente.
Non rimane che attendere la terza stagione.

-DVD-
Nessun cofanetto della seconda stagione è disponibile al momento.

Thursday, May 21, 2009

FREEDOM - COLLECTOR'S BOX - (R2 - ITALIA)

Mi sembra giusto dedicare un poco di spazio ad un' anime, anche piuttosto recente, che può vantare (è proprio il caso di dirlo) un character e mecha design come pochi, il grandissimo Katsuhiro Otomo (Akira vi dice niente? No? Allora probabilmente siete morti).
La serie arriva in Italia grazie alla Dynit che al solito si prodiga per presentare i propri prodotti rispettando i parametri tecnici fondamentali dei DVD e confezioni molto curate. Oltre ai DVD venduti singolarmente (sette in tutto) è disponibile il classico box a tiratura limitata (1000 copie) con all' interno il primo disco e naturalmente lo spazio per contenere gli altri che andranno a completare la serie. Ma anche le confezioni dei DVD singoli sono parecchio curate infatti, all' interno di una slipcase in cartoncino non troviamo la solita e ormai classica amaray ma un elegante jewel box che non si vedeva da tempo (e che se non sbaglio utilizzava solo la Sony/Columbia nelle sue prime pubblicazioni).
Come si diceva in precedenza, le caratteristiche tecniche fanno tirare un sospiro di sollievo: il video è presentato in formato anamorfico nel rapporto 1.78:1, audio Italiano e Giapponese con la codifica Dolby Digital multicanale. I sottotitoli sono presenti sia per i dialoghi e i cartelli che per i soli cartelli se la si guarda con l'audio italiano. Extra, se escludiamo il Making Of, nella media delle edizioni Dynit.

Caratteristiche Generali e Tecniche:
(Dati relativi a tutti i DVD che compongono la serie)
Produttore: Dynit
Distributore: Dynit
Video: 1.78:1 Anamorfico
Audio: Italiano, Giapponese Dolby Digital 5.1
Sottotitoli: Italiano (Dialoghi & Cartelli o solo Cartelli)
Extra: Making of, Digital Gallery, Freedom Preview, Sigla di coda versione originale, Sigla di coda senza credits, D-trailers
Regione: 2 Italia
Confezione: cofanetto contenente i sette jewel box che compongono la serie











Wednesday, May 20, 2009

L' orrore al confine francese

Bisogna necessariamente constatare che, se si vuole trovare un po' di soddisfazione nel cinema horror di oggi, è alla Francia che ci dobbiamo rivolgere: l' horror psicologico trova un ottimo rappresentante in Them di David Moreau e Xavier Palud, mentre il ramo prettamente splatter può annoverare diversi titoli veramente interessanti. Lo slasher movie francese nudo e crudo ha mostrato le sue capacità già qualche anno fa con Alta Tensione di Alexander Aja (poi successivamente tentato e sedotto da Hollywood) seguito poi da film come A l' interiour, Martyrs e questo Frontiers, datato 2007, scritto e diretto da quel Xavier Gens che si è fatto tristemente conoscere qui da noi con l' inutile Hitman. Pur non aspirando a raggiungere le vette del genere, Gens dimostra una maggiore dimestichezza con l' horror piuttosto che con le trasposizioni videoludiche, confezionando un film onesto e molto godibile (sempre che il cenone di Capodanno '99 non vi si riproponga a causa di smembramenti e sangue) se inquadrato nel genere a cui fa riferimento. Come quasi ogni slasher che si rispetti, anche Frontiers è un diretto discendente del capolavoro assoluto del genere, quel Texas Chainsaw Massacre dal quale ricalca fedelmente alcuni elementi (la provincia "cannibale", la famiglia di aguzzini pronta ad "accogliere" gli sventurati visitatori, ecc.) aggiungendoci tanto gustoso gore ed un sottotesto politico, a dir la verità, piuttosto superficiale (poliziotti fascisti/manifestanti comunisti) e trascurabile ma comunque segno di un certo malessere diffuso dei tempi in cui stiamo vivendo. Siamo in Francia (ma va?) e il vantaggio del candidato dell' estrema destra alle presidenziali porta il caos nelle strade. I protagonisti della storia, ideologicamente vicini ai manifestanti, pensano però di approfittare degli scontri tra polizia e manifestanti per compiere una rapina. Braccati dalla polizia decidono di lasciare la Francia e trasferirsi in Olanda. Scelgono però di passare la notte in un piccolo hotel sul confine gestito da una famiglia molto particolare. Gens, come già detto in precedenza, non inventa nulla di nuovo e pur percorrendo una strada sicura e ben battuta in precedenza, realizza un film veramente apprezzabile e godibile grazie anche ad una sceneggiatura che non si dilunga in elementi accessori ma punta a portare gli sfortunati protagonisti il più velocemente possibile al macello (e chi cerca del buon splatter difficilmente rimarrà deluso), azzeccando anche un paio di personaggi come il patriarca ex-gerarca nazista desideroso di portare avanti la razza pura nei suoi discendenti. Il gesto stizzito con il quale si sistema i capelli ad un certo punto del film, è qualcosa da imitare negli anni a venire.

Tuesday, May 19, 2009

Far East Film Festival 11 - Day 6 - HORROR DAY

RULE #1
Kelvin Ton
g
Al MAD (Miscellaneous Affairs Department) c'è un' unica e importante regola: i fantasmi non esistono. "E 'sti cazzi!" verrebbe da dire. Peccato che la verità sia l'esatto opposto e che l'agente Lee Kwok-keung, da poco trasferito all' agenzia dopo un' evento drammatico che l' ha visto protagonista, si trovi a difendere la segretezza della loro esistenza per la salvaguardia del bene comune. L' horror di Hong Kong punta su di una ghost story dove i fantasmi vivono tra di noi e molti di loro, quelli pieni di rancore, si impossessano dei vivi semplicemente toccandoli. Non è certo l'originalità il punto forte della pellicola di Kelvin Tong dove gli spaventi sono prevedibili e accompagnati da apparizioni pop-up e impetuosi interventi sonori, miscela di elementi vista e rivista ormai centinaia di volte, segno di una totale mancanza d'ispirazione per il genere. La pellicola comunque alza la testa in alcuni brevi momenti dove riesce ad essere sufficientemente inquietante, soprattutto nel doppio finale "trappola" (nel senso che ci si casca con tutte le scarpe) per nulla accomodante.

RAHTREE REBORN
Yuthlert Sippak

A quanto pare questo è il terzo capitolo di una saga horror che ha come protagonista lo spirito di una ragazza che, armata di rasoio, fa a pezzi gli abitanti maschi di un condominio. Questo soltanto per essere morta dalla disperazione per essere stata lasciata dal fidanzato (almeno credo). Figurati poi se non ci deve passare tutto il genere maschile per colpa di uno soltanto! Il solito spettro vendicativo non è certo segno di originalità ma non è a quello che punta questa produzione tailandese votata più al demenziale che all' horror. Impressionante infatti la quantità di minuti spesa a cazzeggiare tra donne strabiche, ubriaconi molesti, guardie giurate balbuzienti ecc. Alla fine si arriva a chiedersi quando lo spettro [questa volta incarnatosi in una bambina (non chiedetemi ne come ne perché) maltrattata a scuola e a casa] comincerà finalmente a fare a pezzi qualcuno. La trama risulta confusionaria e quasi totalmente incomprensibile e non credo che dipenda dal fatto che siamo al terzo episodio senza aver visto i precedenti due. Tra l'altro, quando meno ce lo si aspetta, il film finisce, senza preavviso, senza una vera conclusione. Anzi, si vedono le immagini dell 'imminente seguito intitolato Rathree Reborn 3.2. Praticamente un capolavoro assoluto.

THE FORBIDDEN DOOR
Joko Anwar

Presentato come l'evento principale della giornata dedicata all' horror orientale, il film dell' indonesiano Joko Anwar (conosciuto l'anno passato per la sceneggiatura del simpatico Quickie Express) si è rivelato al di sopra delle basse aspettative che i paragoni con Lynch avevano creato, facendo pensare ad un film alquanto pretenzioso. Eppure la storia di questo scultore che nasconde i feti abortiti dalla moglie all' interno delle sue opere (donne gravide), è un thriller psicologico dal quale, tra porte che non devono essere aperte, misteriosi club privati e snuff movies, emerge una chiara matrice lynchana. Ma quello che Joko fa non è un copia incolla (cosa a mio parere impossibile) ma un omaggio (al limite della dichiarazione d'amore) al cinema di Lynch: impossibile non trovare paralleli con Strade Perdute (forse il film al quale si è più ispirato), non cogliere le citazioni da Velluto Blu o Twin Peaks o citare l'uso della colonna sonora o la fotografia. Un film ambizioso (con una deriva splatter un po' inaspettata) dal quale comunque sono rimasto piuttosto colpito e affascinato, nonostante un finale (ma questo è un' aspetto del tutto soggettivo) un po' prevedibile.

COMING SOON
Sophon Sakdaphist

Ma si può arrivare a fine giornata senza un film di "cacca"? Soprattutto quando si parla di pellicole dell' orrore? Mi sembrava che la qualità media dei film visti nell' Horror Day fosse stranamente troppo alta ed infatti, a notte fonda, ecco arrivare il filmaccio tailandese diretto discendente (se non ideale seguito) di quel The Screen at Kamtchanood visto lo scorso anno al FEFF. Anche qui si provano ad affrontare carpenteriani percorsi metacinematografici raccontando di come il personaggio di una pellicola horror si materializzi nella realtà per uccidere chi ha avuto la sfortuna di vedere il film. Peccato solo che Coming Soon sia un semplicissimo, banale e scontato horror orientale che punta tutte le poche carte che ha in mano sullo spavento indotto da musiche e rumori fortissimi, apparizioni improvvise che si susseguono in maniera continuativa per quasi tutto il film, risultando solo stancanti piuttosto che terrorizzanti. Proprio come in The Screen at Kamtchanood insomma. Sconsigliato anche a chi ha intenzione di schiacciare un pisolino in sala, troppo e inutilmente rumoroso.

Monday, May 18, 2009

Far East Film Festival 11 - In Pictures - Road to FEFF

Dopo aver esaminato i primi cinque giorni di proiezione è arrivato finalmente il momento di mettere a disposizione di voi cari lettori un' accurata selezione del materiale fotografico prodotto durante il festival. I post a riguardo al momento sono tre. Questo primo vuole raccontare visivamente il viaggio è tutta una serie di momenti prima dell' inizio della manifestazione:

Non che il viaggio in aereo sia così lungo ma...si fa il possibile per far passare il tempo!


Due grandi pensatori


Due profughi ^__*


"From B&B to B&B" ovvero una prova della potenza del nuovo obiettivo di Deiv



L' infopoint del FEFF allestito in un vecchio autobus. Abbiamo molto gradito l' idea ^__^




Il Mercatino orientale organizzato per i primi tre giorni della manifestazione. Alcuni stand avevano fumetti, artbook e action figures...bellobellobello ^__*


Tanto per rimanere in tema, eccoci al ristorante orientale


AH AH, beccata Shiho ^__^


Va bé, qui l'idiozia si commenta quasi da sola ^__^"


Un tappeto di pesci ci guida fino all' entrata del Teatro Nuovo


Ed eccoci qui, ad un passo dal cominciare la nostra nuova avventura al FEFF di Udine!!!

Per il momento ci si ferma qui. Il più presto possibile nuove foto ^__^

Nota a margine: gli scatti di questo post sono opera di (in ordine sparso) Rosuen, Deiv, Shiho e miei naturalmente ^__*

Sunday, May 17, 2009

Lyric of the Week + Video / ASH - UNCLE PAT


I set off this morning
Down the road along the river
Which I take but once a year
My walk will take me by the shore
Then inland for a mile or more
From the cold sea spray

A small wood stands upon the hill
An old house near it lies in ruins
Forgotten long ago
And here in a clearing, overgrown with moss and ivy
Is your lonely grave

At dusk I will make my way
Along the lanes and through the fields
To where my cottage is
But before I step inside for bed
I'll look up at the stars as we had
All those years ago

So here's for Uncle Pat

Friday, May 15, 2009

"...what's a ROCKNROLLA?"

C'è chi dopo Revolver aveva proprio gettato la spugna, ma tanti altri ancora ci credevano.Una schiera di fedelissimi che non poteva limitarsi a credere che la mente dietro due gioiellini come Lock & Stock e Snatch, l' uomo che ha tirato fuori Jason Statham (uno dei migliori, se non il migliore, attori action degli ultimi anni) dal suo magico cilindro, avesse deciso di buttare completamente al cesso la sua carriera. Pare che il matrimonio nello Star System sortisca a volte questo tipo d'effetto, specie se un giovane e talentuoso regista inglese si sposa con un personaggio come Madonna, che non fa neanche ad insultarla perché sembra quasi di bestemmiare. La presenza ingombrante o se vogliamo, l'influenza di quella che sembra universalmente riconosciuta come una massima autorità della musica pop mondiale, si è palesata in quell' Innominabile Remake che ha segnato anche la prematura fase calante nella carriera del Nostro. Risalire la china poi non è facile, specie se hai una Vecchia attaccata alle palle con le unghie e scrollartela di dosso potrebbe fare più danni che altro. La fine (anche piuttosto prevedibile) di questo matrimonio ha acceso una speranza in noi tutti, una piccola luce alla fine del tunnel alla quale possiamo anche dare un nome: RockNRolla. Con il suo ultimo film Guy Ritchie non inizia un nuovo capitolo della sua carriera ma prosegue dal punto in cui l'aveva lasciato. In RockNRolla infatti tornano le tematiche a lui più care, la Londra brulicante di gangster, tutti gli strambi personaggi che si muovono tra le sue strade e tutte le loro storie che il buon Ritchie si diverte come un matto a raccontare. Questa volta tutto ruota intorno ad un misterioso quadro che è anche il portafortuna di un imprenditore Russo e a un mucchio di soldi che servono ad ungere gli ingranaggi burocratici per avere facilmente delle autorizzazioni edilizie. Il quadro sparisce dopo essere stato prestato ad uno dei più pericolosi gangaster londinesi e spariscono anche i soldi, elementi che porteranno in scena tutta una serie di piccoli criminali ed un rocker che si finge morto. Condite tutto con la solita regia frenetica, un ritmo incalzante dal primo fino all' ultimo minuto, dialoghi a valanga, coloriti e divertenti, ed avrete così il film del ritrovato Ritchie, che sa di "già visto" e bisogna ammetterlo, ma lo si accoglie con un sorriso e a braccia aperte per questa volta. 

Thursday, May 14, 2009

Far East Film Festival 11 - Day 5

MY DEAR ENEMY
Regia di Lee Yoon-ki

Hee-soo vuole recuperare un vecchio credito dall' ex-fidanzato Byung-woon, perciò lo raggiunge nel luogo dove abitualmente va a scommettere scoprendo però che è completamente al verde. Non fidandosi della sua promessa di accreditargli la somma dovuta direttamente sul suo conto, lo segue e lo accompagna per tutto il giorno mentre lui racimola i soldi da alcune sue conoscenze (tra le quali molte donne). Interessante il film di Yoon-ki, road movie intimista che, a dispetto del piano sequenza iniziale, si concentra unicamente sui dialoghi e sulla splendide interpretazioni degli attori. Il film, abilmente sceneggiato, ci da subito un' immagine ben definita dei personaggi (lui paraculo, lei ferita e abbandonata) per poi rivelare anche, indirettamente, tanti piccoli dettagli (ma mai così tanti da rivelarsi troppo esplicativi) che definiscono e ribaltano le due figure principali senza però mai arrivare ad averne un quadro completo e definito (non sapremo mai ad esempio perché Hee-so ha tutta questa necessità di recuperare i suoi soldi). Considerati i ritmi con i quali si muove, My Dear Enemy potrebbe scoraggiare e stancare chi non è disposto ad entrare lentamente nella storia e nei personaggi. Tutti gli altri potrebbero invece avere una bella sorpresa proprio come l'ho avuta io.

THE WAY WE ARE
Regia di Ann Hui

Dopo averle dedicato una retrospettiva incentrata sui suoi primi e quasi introvabili lavori televisivi, il FEFF presenta l'ultimo lavoro cinematografico della regista di Hong Kong. Girato in digitale ad alta definizione, The Way We Are è quasi un documentario attraverso il quale la Hui racconta la vita in un quartiere ai margini di Hong Kong, muovendosi tra altissimi palazzoni per raccontare la piccola gente e le realtà che esistono alla loro ombra. La sua macchina da presa segue, senza mai essere invadente, madri provenienti da un passato di stenti che lavorano senza sosta per dare un' istruzione ai figli. Anziane, rimaste senza più nessuno, abbandonate a se stesse. Non c'è una vera e propria storia da raccontare ma semplicemente l'intenzione di rappresentare uno spaccato di quotidianità, lucido e spesso toccante, anche attraverso l'uso di foto di repertorio che creano un ponte tra presente e passato, la vita com'era e com'è oggi: i tempi cambiano, la gente è la stessa.

DEPARTURES
Regia di Takita Yojiro

Kobayashi Daigo è costretto a ripartire da zero quando l'orchestra dove suonava viene sciolta. Si trasferisce allora con la moglie nella sua città natale e incomincia a lavorare in un' agenzia funebre. Grandi aspettative per il film vincitore del premio Oscar come miglior pellicola straniera. Aspettative non tradite ma neanche soddisfatte in pieno, a mio parere, perché Departures, per quanto bello, non è certo esente da difetti. Nel film di Takita Yojiro la morte non rappresenta necessariamente la fine ma l'inizio, non l' arrivo ma la partenza. Assolutamente splendido il rituale di preparazione dei cadaveri per il loro ultimo “viaggio”, un' approfondimento sentito e spesso commovente su di una cultura così diversa dalla nostra e dalla quale si impara sempre qualcosa. Si pecca forse quando si calca la mano in eccessi drammatici dove si cerca la lacrima facile, amplificati da un uso (ad arte) della colonna sonora, aspetti che trovo parecchio irritanti, disonesti e purtroppo ricorrenti nel cinema mainstream giapponese. Potenzialmente uno dei più bei film del festival, irrimediabilmente imperfetto.

ROUGH CUT
Regia di Jang Hun

Primo dei due esordienti coreani di questo FEFF, Jang Hun è stato uno dei tanti aiuto regista di Kim Ki-duk che qui produce e appare anche tra gli sceneggiatori. La storia vede un gangster, appassionato di cinema e con il pallino per la recitazione, ed un attore, che invece interpreta solo ruoli da gangster, finire per una serie di coincidenze a lavorare insieme nello stesso film. La cosa più interessante di questa pellicola è vedere i protagonisti provenienti da background così diversi, assomigliarsi comunque molto tra di loro, prigionieri dei loro ruoli nella vita aggrapparsi alla finzione cinematografica come via di fuga dalla realtà anche se il confine che le separa, così come quello tra ruolo e interprete, si fa sempre più labile. Un film non completamente riuscito (forse un po' troppo romanzate le vicende private dei personaggi) che però si distingue per una pregevole confezione, qualche sequenza veramente degna di nota, nonché una citazione di Bad Guy dello stesso Ki-duk.

Wednesday, May 13, 2009

Far East Film Festival 11 - Day 4

DROP
Regia di Shinagawa Hiroshi

Graditissima sorpresa questo comic/drama del giovane regista Shinagawa Hiroshi, progetto che nasce come romanzo autobiografico dello stesso regista, per poi diventare un manga e successivamente film, un percorso nel quale le varie "tappe" finiscono per fondersi assieme, arrivando addirittura ad inserire nel montaggio immagini prese dal manga stesso. La storia vede il giovane Hiroshi abbandonare la sua scuola privata per quella pubblica con il desiderio di entrare così a far parte di una banda di teppisti. Tra violente risse e rivalità tra bande, si racconta una storia di amicizia, crescita personale e collettiva, il passaggio all' età adulta e la presa di coscienza delle proprie responsabilità. Uno spaccato molto particolare della gioventù giapponese infarcito di citazioni da otaku (degne di nota quelle di Gundam e Dragonball), vivace e ironico anche nei suoi frangenti più violenti. Drop non è Crows 0 così come Shinagawa non è Miike (però ci sono due splendidi cameo di Sho Aikawa e Kenichi Endo), ma il suo film è da tenere in attenta considerazione.

THE TRIUMPHANT GENERAL ROUGE
Regia di Nakamura Yoshihiro

Il mini focus su Nakamura Yoshihiro prosegue e dopo Fish Story, il regista giapponese torna con il medical thriller The Triumphant General Rouge, seguito del piacevole The Glorious Team Batista (visto l'anno scorso al FEFF), con le indagini della dott.ssa Taguchi e dell'ispettore del ministero della salute Shiratori, questa volta incentrate su di un determinatissimo medico di pronto soccorso, soprannominato General Rouge, accusato da una lettera minatoria di legami poco chiari con una importante casa farmaceutica. Così come il precedente, anche questo si rivela essere un film investigativo ad ambientazione ospedaliera, forse maggiormente incentrato a mostrarci il funzionamento della sanità giapponese (soprattutto in ambito di pronto soccorso). Il tutto condito da una leggera vena ironica e dagli ottimi personaggi protagonisti tra cui spicca sicuramente quello di Taguchi Kohei (Shiratori) che è anche il motivo per il quale ho guardato questo film, meno pretenzioso di Fish Story e forse anche per questo decisamente più convincente.

K-20 LEGEND OF THE MASK
Regia di Sato Shimako

In un mondo dove la seconda guerra mondiale non c'è mai stata, la popolazione mondiale vive sotto il giogo di una società pseudo nazista, divisa nettamente in classi sociali, ricchi e poveri. Heikichi, giovane acrobata da circo, nella speranza di guadagnare qualche soldo in più, viene incastrato ed accusato di essere K-20 il misterioso criminale/terrorista che si oppone al governo. Fa sinceramente piacere vedere una donna dietro la macchina da presa di una grossa produzione come questa, film dal grossissimo budget, accostato per la spettacolarità degli effetti speciali a blockbuster americani come Spiderman. Peccato che, a parte qualche ottimo e funambolico movimento di regia durante gli allenamenti di Heikichi, il film risulti abbastanza piatto, non aiutato certo da una sceneggiatura senza infamia e senza lode. Sicuramente una grandissima pellicola di richiamo per il pubblico ma, per mio personale gusto, tanti effetti speciali senza una base sotto non mi restituiscono nulla se non la sensazione di avere le palle a fisarmonica alla fine del film. Sempre piacevole comunque vedere all' opera Takeshi Kaneshiro e sentire gli Oasis nella colonna sonora durante i titoli di coda...ma molti potrebbero anche trovarlo un ennesimo difetto.

CONNECTED
Regia di Benny Chan

Una donna viene rapita e dalla cascina dove è tenuta prigioniera riesce a effettuare una chiamata da un telefono semi distrutto. La chiamata la riceve un giovane esattore che decide di aiutarla presto coaudivato anche da un volenteroso poliziotto. Se la storia non sembra proprio nulla di nuovo, non c'è nulla di strano. Connected infatti è il remake di Cellular, film di qualche anno fa (2004 forse) con Jason Statham, Kim Basinger e William H. Macy tra gli altri. Non avendolo visto non posso fare paragoni, ma senza ombra di dubbio posso dire che la pellicola di Benny Chang è una vera bomba. E' il motivo non è certo da ricercarsi in una storia dai risvolti fin troppo prevedibili ma più che altro in un ritmo instancabile, un crescendo di azione adrenalica che lascia incollati allo schermo dall'inizio alla fine. Impossibile veramente non citare lo splendido e spettacolare inseguimento in auto (da applausi) o la piacevolissima sensazione vintage, cha fa tanto cinema d'azione anni '80, che trasmette l'ironia con la quale il film è infarcito. Signore e signori, il grande cinema d'azione di Hong Kong. Figata.